Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II. Amari Michele

Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - Amari Michele


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osservare più rigorosamente le pratiche sciite nei punti di disciplina ecclesiastica o diritto civile in che differivano dalle sunnite: le parole mutate nell'appello; un digiuno sostituito a una preghiera; maledire i compagni del Profeta fuorchè Ali; permettere altre forme di divorzio; dar più larga parte alle figliuole nei retaggi; e somiglianti novazioni, qual ridicola e qual seria, odiosissime tutte agli Arabi d'Affrica.255 Con peggior consiglio ei tentò d'incorporar lo Stato alla setta. Ai capi berberi di Kotâma richiese il giuramento di fedeltà “per la Verità di chi intenda i misteri:” al qual gergo ismaeliano erano avvezzi, e passò. Ma la schiatta arabica vide con orrore seder pro tribunali a Rakkâda una mano di dâ'î preseduti dallo Scerif, più alto dignitario, i quali, chiamavano i cittadini per affiliarli alla setta con lusinghe, poi con minacce; e mandavano in carcere i ricusanti; e quattromila ne furono uccisi, per comando del principe o brutalità dei satelliti kotamii. Contuttociò i proseliti arabi si contarono a dito. Il Mehdi, necessitato alfine a smetter la violenza, riempì le logge ismaeliane come potea.256 Fallì lo scopo d'imbeccare alle moltitudini quella sua ipostasi, onde avrebbe regnato con doppio comando, di re e d'Iddio. Trapiantata poi la sede in Egitto, i successori rincalzarono la propaganda: il più pazzo, il più codardo, il più crudele tra i Fatemiti, l'empio Hakem-biamr-illah, arrivò per tal modo agli onori divini; e i Drusi l'adoran tuttavia.

      Ma il Mehdi, non potendo soggiogar le coscienze, assestò ogni altra cosa da uom di Stato. Prodigò facoltadi, carezze, oficii militari e civili ai Kotamii più che non avesse fatto lo Sciita; e pur non si abbandonò tutto alle milizie loro, ordinò un esercito stanziale di liberti e schiavi, parte di schiatta greca e italiana,257 e parte negri. Pose diligenza e regola nell'amministrazione delle entrate pubbliche; onde fe' sentir meno il peso ed ebbe abilità di aggravarlo senza romore.258 S'impossessò non solo dei beni degli Aghlabiti,259 ma sì dei lasciti pii e dei patrimonii pubblici d'alcune città;260 tolse le armi serbate nelle torri della costiera; abbattè i palagi fortificati degli Aghlabiti; cancellò per le castella e moschee i nomi dei principi fondatori, e scolpivvi il suo.261 Oltre le novazioni che accentravano l'autorità, il Mehdi come i predecessori sedette nel Tribunal dei soprusi, e trattò dassè le faccende pubbliche.262

      Varie tribù e città berbere levaron la testa; ed ei le domò con milizie di Kotâma capitanate dallo Sciita. Poi risapendo che questi sparlava, che capi kotamii gli davan orecchio, e che si mettea in forse se stesse in sul trono il verace imâm guidato da Dio, un giorno convita Abu-Abd-Allah e il fratello; li fa appostare all'uscita e trucidare; con ippocrita pietà recita egli stesso la preghiera su i cadaveri (febbraio 911); e quetamente li seppellisce nel giardin della reggia. Spense gli altri capi di Kotâma disaffetti. Ad un che gli domandava miracoli in prova di sua divinità, fe' di presente troncar la testa.263 Un altro Kotamio spacciò sentirsi addosso lo spirito divino; nol provò con la vittoria; e fu preso e mandato al supplizio.264

      Non cessavano con tutto ciò i tumulti del popolo di Kairewân e d'altre città arabiche, la pertinace nimistà dei giureconsulti e nobili, la petulanza degli sgherri kotamii, le ribellioni d'altre genti berbere; tra le quali quella esaltazione del nome d'Ali provocò novello furore delle sètte kharegite, e ne sorgeva, a capo di parecchi anni, un terribile demagogo del ramo detto de' Nakkariti. Il Mehdi dunque, non potendo fondarsi sopra alcuna schiatta nè vasta opinione, ma sol su quella sua macchina di governo, dovea metterla in salvo da un impeto degli elementi ostili, con maggior cura che non avessero fatto gli Aghlabiti; nè parvegli acconcia Rakkâda, sì vicina a Kairewân; nè altra città di Arabi. Con alto consiglio volle porsi in sul mare, ove l'armata gli servisse a difesa ed a minaccia sopra stranieri e Affricani e Siciliani impazienti del giogo; ed ove il commercio creasse ricchezze e nuova popolazione. Percorsa tutta la costiera a levante di Cartagine, elesse una penisoletta ch'esce tra i golfi di Hammamet e di Kabes, in forma di palma di mano aperta, e l'istmo raffigura il polso. Le diè nome di Mehdîa, ma fu detta anco Affrica, come capitale. Ampliò con maravigliose opere il porto, da renderlo capace, dicon, di settecento galee; costruì arsenale, castelli, torri, porte di ferro massiccio di mole non più vista, fosse di grano, cisterne d'acqua; soprantese in persona ai lavori; sciolse problemi meccanici;265 trovò in sua astrologia il giorno e l'ora di gettar la prima pietra, spuntando in cielo il Lione; profferì facili profezie; usò la scienza e impostura dei suoi veri antenati persiani, che per esser nuova parea tanto più miracolosa in Occidente. Ed a capo di cinque anni (920), quando vide fornita la inespugnabile capitale, sclamò: “Or sì regneranno i Fatemiti.266

      CAPITOLO VII

      La colonia siciliana, dissanguata nella guerra civile del novecento, stette cheta o quasi, per nove anni; nel qual tempo la ressero quattro emiri: Ziadet-Allah (902-903); Mohammed-ibn-Siracusi, surrogatogli dal padre (maggio 903);267 e, dopo il parricidio, Ali-ibn-Mohammed-ibn-Abi-Fewâres; e Ahmed-ibn-abi-Hosein-ibn-Ribbâh, di nobil casa modharita, stanziata in Sicilia da una sessantina d'anni, illustre per valorosi capitani e governatori. Ali, al dir d'una cronica, fu deposto da Ziadet-Allah:268 probabil è che lo avesse eletto il popolo di Palermo, quando vide insanguinato il trono dal parricidio, e ne sperò uno scompiglio che gli desse agio a ripigliare suoi dritti.

      Non prima si riseppe in Palermo la fuga di Ziadet-Allah, che il popolo, stigato dal medesimo Ali, sollevossi all'entrar d'aprile del novecentonove: irruppe in palagio, saccheggiò la roba, prese Ahmed, ed esaltò in suo luogo Ali.269 Poscia venuti avvisi della occupazione di Rakkâda, i Palermitani mandavano Ahmed prigione in Affrica, e chiedeano allo Sciita la confermazione di Ali. Concedettela; raccomandò con questo di ripigliar la guerra sacra, smessa sotto il regno di Ziadet-Allah;270 nel qual tempo i Cristiani erano tornati ad afforzarsi in loro rôcche del Valdemone, per incuria di chi reggea le cose in Sicilia o forse per trattato con l'impero bizantino.271 Del resto non seguì evento d'importanza fino alla esaltazione del Mehdi. Nè altrimenti si ricorda il nome di Sicilia che nella persecuzione di Abu-l-Kâsim-Tirazi, cadi di Palermo sotto gli Aghlabiti; cacciato probabilmente con Ahmed e vergheggiato in piazza pubblica di Kairewân, insieme col dotto cadi di Tripoli, entrambi rei di costanza nel rito ortodosso.272

      Ove si consideri l'esser della Sicilia in questo interregno, si vedrà la rivoluzione del novecento d'un subito tornata a galla, quando mancò con gli Aghlabiti la man che l'avea represso. Oltre le forze proprie ristorate in un decennio, la colonia rinvigorì, com'ei sembra, di nobili arabi che per avventura si fossero rifuggiti d'Affrica nel primo terrore273 o nelle persecuzioni sempre crescenti; la lealtà dei quali a casa d'Aghlab ormai s'accordava con gli umori d'independenza siciliana. Ma avendo al fianco quella piaga dei Berberi di Girgenti, l'aristocrazia palermitana, titubante a ripigliare le armi contro l'Affrica, contentavasi di tener lo stato con l'antico espediente d'un emiro tutto suo. Ali sembra, in fatti, il caporione della nobiltà; sì ch'essa fece come volle nell'interregno. Sperando poi di raggirare il Mehdi ed appagarlo con ubbidienza nominale, Ali chiesegli di andare a Rakkâda per abboccarsi con lui; e il Mehdi tutto lieto assentì. Avutolo in Affrica, lo fa imprigionare; manda a regger l'isola un uom suo, provato in missioni così fatte, Hasan-ibn-Ahmed-ibn-Ali-ibn-Koleïb, soprannominato Ibn-abi-Khinzîr, ch'era stato prefetto di polizia di Kairewân sotto lo Sciita.274

      Gli intendimenti del principe e le condizioni della colonia appariscono da' primi atti d'Ibn-abi-Khinzîr. Sbarcato a Mazara il dieci dsu-l-higgia del dugento novantasette (20 agosto 910), deputava un suo fratello per nome AliСкачать книгу


<p>255</p>

Confrontinsi: Riâdh-en-nofûs, MS. di Parigi, fog. 67 verso; Ibn-el-Athîr, MS. A, tomo II, fog. 197 verso, seg.; MS. C, tomo IV, fog. 290, seg., an. 296; Baiân, tomo I, p. 158, 159; Makrizi, Mokaffa', MS. di Parigi, Ancien Fonds, 675, fog. 222 recto; Ibn-Hammâd, MS. di M. Cherbonneau, fog. 3 recto.

<p>256</p>

Confrontinsi Ibn-el-Athîr e Makrizi, ll. cc. Veggasi anche nel Riâdh-en-nofûs, fog. penultimo, verso, un curioso aneddoto che si narra nella iniziazione d'Ibn-Ghâzi.

<p>257</p>

Iahîa-ibn-Sa'îd, continuatore di Eutichio, scrive Rûm, il qual nome si dava ad ambe le schiatte e comprendea perciò i Siciliani. La più parte probabilmente erano cristiani di Sicilia, convertiti o no. Uscì da questi giannizzeri fatemiti Giawher conquistatore del Marocco e dell'Egitto, ch'è chiamato ora Rûmi ed or Sikîlli, ossia siciliano.

<p>258</p>

Si legge nel Baiân, tomo I, p. 175 e 184, che il Mehdi nel 303 (915-16) fece il catasto dei poderi tributarii (dhi'â) prendendo la media tra il massimo e il minimo fruttato; e che nel 305 (917-18) levò una tassa addizionale sotto pretesto di arretrati. La sottile avarizia della finanza fatemita si ritrae da tante altre fonti.

<p>259</p>

Iahîa-ibn-Sa'îd, fog. 89 recto.

<p>260</p>

Riâdh-en-nofûs, fog. 67 verso. Il testo dice: “Prese i beni de' lasciti pii e delle fortezze.” Quest'ultima voce significa senza dubbio le città di provincia.

<p>261</p>

Riâdh-en-nofûs, l. c.; Ibn-Hammâd, MS. di M. Cherbonneau, fog. 2 recto.

<p>262</p>

Iahîa-ibn-Sa'îd, l. c.

<p>263</p>

Confrontinsi: Ibn-el-Athîr, an. 296, MS. A, tomo II, fog. 198 verso, e MS. C, tomo IV, fog. 290 verso; Ibn-Khallikân, nella vita di Abu-Abd-Allah lo Sciita, versione inglese di M. De Slane, tomo I, p. 465; Baiân, tomo I, p. 158, seg.; Ibn-Abbâr, MS. della Società Asiatica di Parigi, fog. 38 recto; Ibn-Hammâd, MS. de M. Cherbonneau, fog. 2 recto e verso.

<p>264</p>

Iahîa-ibn-Sa'îd, fog. 89 verso.

<p>265</p>

Non si trovava modo di pesar coteste masse di ferro. Egli usò una barca da bilancia idrostatica, caricandovi le porte e segnando ove arrivasse il pel dell'acqua. Alle porte fu sostituita poi tanta zavorra; e questa si pesò coi modi ordinarii.

<p>266</p>

Confrontinsi: Bekri, versione di M. Quatremère nelle Notices et Extraits de MSS., tomo XII, p. 479, seg.; Iahîa-ibn-Sa'îd, Continuazione d'Eutichio, MS. di Parigi, Ancien Fonds, 131 A, fog. 89 verso; Ibn-el-Athîr, an. 303, presso Tornberg, Annales Regum Mauritaniæ, tomo II, p. 373; Ibn-Abbâr, MS. della Società Asiatica di Parigi, fog. 38 recto.

<p>267</p>

Ibn-el-Athîr, an. 289, MS. A, tomo II, fog. 172 recto; MS. C, tomo IV, fog. 279 recto; Ibn-Khaldûn, Histoire de l'Afrique et de la Sicile, p. 146; Nowairi, presso Di Gregorio, Rerum Arabicarum, p. 11.

<p>268</p>

Nowairi, l. c. I fasti della famiglia Ribbâh si veggano nel Vol. I della presente istoria, p. 321, 322, 330, 343, 353, principiando da Ia'kûb-ibn-Fezara, padre di Ribbâh.

<p>269</p>

Confrontinsi: Nowairi, l. c., e Chronicon Cantabrigiense, p. 44, dove si legga Ibn-Ribbâh, in luogo di Ibn-Ziagi.

<p>270</p>

Nowairi, l. c.

<p>271</p>

Si legge nella Cronica di Gotha, versione del Nicholson, p. 79, che nel 294 (906-7) Ziadet-Allah mandò ambasciatori a Costantinopoli ed accolse onorevolmente a Rakkâda un oratore bizantino.

<p>272</p>

Riâdh-en-nofûs, manoscritto di Parigi, fog. 67 verso.

<p>273</p>

Abd-Allah-ibn-Sâigh, ultimo vizir di Ziadet-Allah, s'era imbarcato per la Sicilia quando il principe prese la fuga. Veggasi Nowairi, Storia d'Affrica, in appendice alla Histoire des Berbères par Ibn-Khaldoun, versione di M. De Slane, tomo I, p. 444. Certamente Ibn-Sâigh non fu il solo a tentar questa via.

<p>274</p>

I fatti esteriori si ritraggono riscontrando Ibn-el-Athîr e Nowairi, ll. cc.; Ibn-Khaldûn, Histoire de l'Afrique et de la Sicile, trad. di M. Des Vergers, p. 158, 159; Abulfeda, Annales Moslemici, an. 296, presso Di Gregorio, p. 78; Scehab-ed-dîn, ibid., p. 59.

Il nome compiuto di Ibn-abi-Khinzîr si legge nel Baiân, tomo I, p. 148; al par che l'oficio di wâli, conferito dallo Sciita, a lui nella città di Kairewân e ad un altro fratello per nome Khalf nel Castel-vecchio. Ibn-Khaldûn, l. c., afferma che Ibn-abi-Khinzîr fosse stato dei notabili della tribù di Kotama. Lo credo, piuttosto dei principali della setta, ma di schiatta arabica. L'Haftariri che si legge tra i nomi di questo governatore di Sicilia nella versione latina di Abulfeda, è falsa lezione di Abi-Khinzîr. Questo soprannome poi del padre, suona in lingua nostra “Quel dal cinghiale.”

È bene avvertire che il Rampoldi, Annali Musulmani, an. 909, tomo V, p. 119, 123; sognò un viaggio del Mehdi in Sicilia e parecchi aneddoti della sollevazione di Palermo contro Ahmed-ibn-abi-Hosein-ibn-Ribbâh; i quali non sembrano errori di compilatori arabi ch'egli avesse avuto per le mani, ma particolari aggiunti del proprio al Nowairi e agli annali chiamati di Scehab-ed-dîn.