Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II. Amari Michele

Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - Amari Michele


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non v'ha ricordo sotto gli Aghlabiti, e pare trovato del Mehdi per lusingare i Berberi e attizzare la discordia tra loro e gli Arabi. Al medesimo tempo fece cadi di Sicilia un Ishâk-ibn-Minhâl; il primo, aggiungono gli annali, che vi sedesse a nome del Mehdi:276 e ciò mostra che per più d'un anno s'era amministrata la giustizia secondo il dritto sunnita e da un eletto dell'emiro. Ibn-abi-Khinzîr prepose alla azienda uomini nuovi, i quali furono accusati di aggravii; o forse v'istituì nuovi oficii, secondo i voleri del principe.277 Il “Preposto della Quinta” di cui si fa ricordo poco appresso, sembra nuovo; e di certo fu posto a scemar l'autorità dell'emiro, sia che avesse carico di spartire il bottino e le terre prese ai vinti e serbarne la quinta all'erario, sia che anco amministrasse il ritratto della quinta.278 La primavera o state seguente (911) l'emiro, sostando alquanto da' negozi fiscali, conduceva l'esercito sopra Demona, ove i Cristiani avean levato la testa: ed arse il contado, predò, fece prigioni; ma non osò assalire la rôcca.279 La qual debole fazione scopre i travagli che aveano in casa i Musulmani di Sicilia e l'agitamento generale della schiatta arabica contro i Fatemiti, il quale scoppiava ad ora nelle città d'Affrica.280

      Tra così fatte disposizioni d'animi, Ibn-abi-Khinzîr volle dare un banchetto ai primarii nobili nel palagio di Palermo. I convitati sedeano nella sala, quando alcun s'addiè, o il finse,281 d'una sinistra commozione tra gli schiavi dell'emiro; d'un luccicar di spade che si porgessero l'un l'altro; e balzando in piedi sclamò: “Siam traditi;” e tutti corsero alle finestre a gridare: “All'armi; all'armi!” Fresca era la memoria dello Sciita, trucidato insiem col fratello alle soglie del Mehdi;282 Ibn-abi-Khinzîr non pareva uom da scrupoli; l'universale degli Arabi di quel secolo ridea, certo, come di romanzo della ospitalità cavalleresca de' lor padri Beduini: tra tanti vizii, tra tanti odii, credibilissimo il tradimento, e assai volentieri creduto. D'un subito, dunque, trasse il popolo in piazza; s'affollò dinanzi il palagio; trovate chiuse le porte, v'appiccò fuoco; nè si racchetò quando usciron sani e salvi i convitati, i quali al certo non dissero che avean sognato. Ibn-abi-Kinzîr, fattosi ad arringare il popolo, perdeva indarno il fiato; gli troncavan le parole con minacce e villanie; finchè vistili in punto d'irrompere nelle sue stanze, cercò scampo saltando in una casa contigua, ma cadde, si spezzò una gamba, e fu preso e messo in carcere. Per tal modo fallì il tradimento dell'emiro o riuscì la calunnia dei nobili: ch'io nol so. I nobili scriveano il caso al Mehdi; il quale perdonava ai sollevati e deponea d'oficio Ibn-abi-Khinzîr, bastandogli che fosse posato il tumulto in Palermo e preso il governo provvisionalmente da Khalîl, Preposto della Quinta.283 Seguiron cotesti avvenimenti innanzi il ventisette dsu-l-higgia del dugentonovantanove (13 agosto 912), quando giunse in Sicilia, mandato dal Mehdi, un novello emiro per nome Ali-ibn-Omar-Bellewi.284

      Vivea di questo tempo in Sicilia un Ahmed-ibn-Ziadet-Allah-ibn-Korhob;285 uom d'alto affare, di molta ricchezza, di nobil casa arabica devota agli Aghlabiti; che dei suoi maggiori, un fu primo ministro d'Ibrahim-ibn-Ahmed; un altro, forse il padre, espugnò Siracusa,286 e un congiunto o fratello avea tenuto poc'anzi il governo dell'isola.287 Par che il principe fatemita, non trovando modo a maneggiar la colonia siciliana, se ne fosse consultato con Ibn-Korhob, avversario sì, ma intero e leale; poichè sappiamo che costui scrisse al Mehdi: “Se vuoi dar sesto al paese, mandavi grosso esercito che lo domi e strappi la potestà di mano ai capi; se no, la colonia rimarrà in perpetuo disubbidiente alle leggi; ad ogni piè sospinto moverà tumulto contro gli emiri e te li rimanderà a casa svaligiati.”288 In suo laconismo, Ibn-Korhob accennava, com'io credo, con una voce sola alle due maniere di capi ch'erano nelle popolazioni musulmane dell'isola, i magistrati cioè dei Berberi e i nobili degli Arabi; capi di consorterie di due nature diverse, ma preposti in entrambe a molti negozii civili e insieme al comando delle milizie. Tale la potestà, capitaneria, dice litteralmente la cronica, che occorreva abolire in Sicilia. Mettendo da parte i Berberi e risguardando agli Arabi, cotesta espressa testimonianza, confermata da tutti i ricordi dei tempi susseguenti, mostra cresciuto ormai e soverchiante nella colonia un terzo male, non men grave dell'antagonismo di schiatta e, direi quasi, del dispotismo affricano. L'insolenza dei nobili non era apparsa per lo addietro, non essendo adulta la cittadinanza che potesse risentirsene, come quella del Kairewân e d'altre città d'Affrica. Però si notava degli ottimati la sola resistenza al principato e confondeasi col sentimento di libertà coloniale; però la plebe di Palermo parteggiava tuttavia per toro e tardò altri trent'anni a tediarsene. Mancando dunque il popolo, altro partito non rimaneva che sceglier tra due mali, dispotismo fatemita o sfrenamento d'oligarchia; e ad Ibn-Korhob parve meno intollerabile il primo. Ciò dia la misura dell'altro. E dimostri anco la virtù di quel gran cittadino, ch'era nobile, ortodosso, affezionato agli Aghlabiti e Siciliano: e diè consiglio contrario a tutti interessi e umori di parte. Non andò guari ch'ei compiva maggior sagrifizio, gettandosi nella voragine della rivoluzione; non per leggerezza, non per vanità, non per ambizione, ma ad occhi aperti, per religion d'animo generoso, quando conobbe che v'era da tentar con un dado contro cento, la liberazione della patria dall'Affrica insieme e dall'anarchia.

      Entrando l'anno di Cristo novecento tredici, tutta la Sicilia era levata di nuovo a romore: cacciato di Palermo il Bellewi, debil vecchio e molesto;289 cacciato di Girgenti Ali-ibn-abi-Khinzîr, fratello di Hasan, e saccheggiatagli la casa;290 ucciso a dì venzette gennaio dai Palermitani Amrân, Preposto della Quinta,291 il quale par abbia voluto por mano al reggimento come il predecessore Khalîl. In tal moto generale contro l'autorità fatemita, svolazzò nelle menti il solito proponimento di concordia; tanto che Arabi e Berberi insieme formavano di chiamare di governo dell'isola Ahmed-ibn-Korhob. Ei che conoscea la tempra di cotesti affratellamenti, ricusò; fuggì; corse a nascondersi in una grotta; venuti a trovarlo i notabili di tutta la Sicilia musulmana, stette saldo al niego e a dir che non si fidava di loro. Ma incalzando essi nell'inchiesta, e giurandogli d'ubbidirlo infino alla morte,292 si raccomandò a Dio ed accettò. Il lunedì diciotto di maggio, il popolo siciliano lo investiva solennemente dell'oficio di emiro.293 Esordì compiendo il primo precetto di legge musulmana, con mandare uno stuolo in Calabria, nella state del novecentotredici; il quale, assaliti i Cristiani, ne riportò bottino e prigioni.294

      Indi Ibn-Korhob levò l'animo a maggiore impresa. Dopo la guerra d'Ibrahim-ibn-Ahmed, i Cristiani di Valdemone aveano ristorato, con Demona e altre castella, anco Taormina: opera di gran momento, poichè i cronisti musulmani in questo incontro chiamanla Taormina la Nuova. Si accingeva egli dunque ad espugnarla un'altra fiata, con intendimento, come si vociferò, di riporvi sue sostanze, famiglia e schiavi, ed afforzarvisi in caso di guerra civile; ma il disegno sembra piuttosto di compiere ed assicurare il conquisto del Valdemone. Che che ne fosse, mandovvi il proprio figliuolo Ali con un esercito; il quale stette per tre mesi all'assedio, finchè molte schiere, forse dei Berberi, si abbottinaron gridando non voler combattere per mettersi un altro giogo sul collo: ed arsero bagaglie e padiglioni del capitano; e lo cercavano a morte, se non che fu difeso dagli Arabi. Ma la impresa si abbandonò.295

      Tentava Ibn-Korhob nel medesimo tempo296 di ordinare la Sicilia in legittimo e stabile reggimento, con tutta quella libertà che mai avessero imaginato i Musulmani ortodossi. Il modo, pianissimo, era di riconoscere il nome del califo abbassida Moktader-billah; il quale da Bagdad, nelle misere condizioni in cui si travagliava il califato, non avrebbe potuto nè levar tributi, nè esercitar comando di sorta, nè scegliere l'emir di Sicilia, nè altro far che investire lo eletto dei Siciliani.


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<p>276</p>

Ibn-el-Athîr e Ibn-Khaldûn, ll. cc.

<p>277</p>

Nowairi, presso Di Gregorio, Rerum Arabicarum, p. 12.

<p>278</p>

Idem, p. 13, e Chronicon Cantabrigiense, presso Di Gregorio, p. 44.

<p>279</p>

Ibn-el-Athîr e ibn-Khaldûn, ll. cc.

<p>280</p>

Baiân, tomo I, p. 158 a 172.

<p>281</p>

Il solo cronista che racconti questo episodio adopera qui una voce che può significare: “suppose o diede a credere.”

<p>282</p>

Al dir dei cronisti, più degni di fede, lo Sciita fu assassinato di febbraio 911. Il tumulto di Palermo accadde nella state seguente o più tardi; poichè Ibn-abi-Khinzîr, venuto d'agosto 910, andò all'impresa di Demona nella primavera o nella state del 911.

<p>283</p>

Sâheb-el-Khoms. Per errore del Caruso (Chronicon Cantabrigiense, an. 6421), seguito dal Di Gregorio, dal Martorana e dal Wenrich, questo titolo di oficio fu tradotto “Signore d'Alcamo:” ed è sbaglio da non perdonarsi ad orientalista. M. Caussin, che v'era caduto anch'egli, cercò di correggerlo nella versione francese del Nowairi, pubblicata in Parigi, p. 24.

<p>284</p>

Si confrontino: Ibn-el-Athîr, an. 296, MS. A, tomo II, fog. 198 verso; MS. C, tomo IV, fog. 290; Nowairi, presso Di Gregorio, Rerum Arabicarum, p. 12, 13; Ibn-Khaldûn, Histoire de l'Afrique et de la Sicile, p. 159. I particolari del tumulto e il governo provvisionale di Khalîl son riferiti dal solo Nowairi. Ho seguíto quest'ultimo per la data dell'arrivo di Ali-ibn-Omar in Sicilia.

Ibn-el-Athîr, an. 296, MS. A, tomo II, fog. 200 recto; e MS. C, tomo IV, fog. 290 verso, nel capitolo intitolato “Racconto della uccisione di Abu-abd-Allah lo Sciita,” narra la rivolta di un Ibn-Wahb in Sicilia. Riscontrandola coi capitoli dei fatti di Sicilia posti sotto la rubrica del 296 e del 300, si vede che quella narrazione non regge; e che fu tolta, senza molta critica, da qualche racconto della rivoluzione d'Ibn-Korhob nel 300, nel quale erano sbagliati il nome e la data.

<p>285</p>

Così in uno squarcio di A'rib, inserito nel Baiân, tomo I, p. 169. Gli altri cronisti, accorciando, scrivono Ahmed-ibn-Korhob.

<p>286</p>

Veggasi il Lib. II, cap. IX, tomo I, p. 400, nota.

<p>287</p>

Mohammed-ibn-Sirakusi eletto emir nel 903. Siracusa fu presa, distrutta e abbandonata nell'878. Il padre dunque non poteva esser nato in quella città, e dovea il nome di Siracusano alla vittoria.

<p>288</p>

Ibn-el-Athîr, an. 300, MS. A, tomo II, fog. 206 recto; MS. B, tomo IV, fog. 293 recto. Il primo MS. in vece della lezione “domi” ha “disperda.” Questo squarcio fu dato da M. Des Vergers, nello Ibn-Khaldûn, p. 161, nota.

<p>289</p>

Ibn-el-Athîr, an. 300, MS. A, tomo II, fog. 205 verso, MS. C, tomo IV, fog. 293; Nowairi, presso Di Gregorio, Rerum Arabicarum, p. 13; Ibn-Khaldûn, Histoire de l'Afrique et de la Sicile, p. 159.

<p>290</p>

Baiân, tomo I, p. 169.

<p>291</p>

Chronicon Cantabrigiense, presso Di Gregorio, op. cit., p. 44.

<p>292</p>

Baiân, l. c.

<p>293</p>

Ibn-el-Athîr, Baiân, Nowairi, Ibn-Khaldûn, ll. cc. La data precisa nella sola Cronica di Cambridge, l. c.

<p>294</p>

Ibn-el-Athîr, l. c.

<p>295</p>

Ibn-el-Athîr, an. 300, MS. A, tomo II, fog. 205 verso; MS. B, tomo IV, fog. 293 recto; Ibn-Khaldûn, Histoire de l'Afrique et de la Sicile, p. 159.

<p>296</p>

Nè la lettera nè il senso dei testi fan supporre che Ibn-Korhob abbia preso tal partito dopo l'ammutinamento di Taormina, e per rimediarvi.