Delitto (e baklava). Блейк Пирс

Delitto (e baklava) - Блейк Пирс


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all’Aeroporto Internazionale di Budapest Ferenc Liszt, dal nome del grande pianista, direttore d’orchestra, organista e compositore, Franz Liszt …”

      Sorrise, mentre lo stesso annuncio veniva ripetuto in francese, tedesco, italiano e naturalmente, ungherese. Fu meraviglioso svegliarsi al suono di tutte quelle lingue.

      Sono davvero in Europa, di nuovo, si disse.

      Erano ormai le otto del mattino passate, lì a Budapest, sebbene London sapesse che il suo corpo avrebbe continuato a provare a convincerla di essere ancora ore indietro. Ma da viaggiatrice esperta, aveva dei trucchi per diminuire il jet lag del viaggio transatlantico. Da un lato, aveva dormito quanto più possibile nel corso del volo della durata di otto ore mezza. Al momento, si sentiva piuttosto rinvigorita.

      Si alzò dal sedile ed aprì la cappelliera, per tirare fuori i suoi bagagli; poi, s’immise nella fila di passeggeri, per scendere dall’aereo. Si sentiva euforica persino per lo schiacciamento dei corpi, mentre proseguiva verso il controllo immigrazione e presentava il form che aveva compilato durante il volo.

      “Buona permanenza a Budapest” il sorridente ufficiale addetto all’immigrazione le disse con un accento inglese.

      London fece appello al suo coraggio per provare una parola in ungherese.

      “Köszönöm” rispose, sorridendogli a sua volta.

      Il cenno divertito dell’uomo le suggeriva che poteva non avere pronunciato perfettamente la parola “grazie”, ma che apprezzava lo sforzo.

      Poi, si recò a ritirare i bagagli, che arrivarono rapidamente sul nastro trasportatore. Visto che non aveva nulla da dichiarare, non fu necessario fermarsi alla dogana. Un facchino le sistemò i bagagli su un carrello, e lei lo seguì fino al terminal principale.

      La vista dell’ampia e moderna “Sky Court” le strappò un’esclamazione di sorpresa: si estendeva tutta intorno a lei, con un soffitto altissimo e una galleria sopraelevata, stracolma di negozietti che vendevano riviste e souvenir.

      London si sentì improvvisamente più libera di quanto lo fosse stata da lungo tempo. Si divertì particolarmente a osservare la massa di persone che si riversava in ogni direzione; notò che alcune parlavano lingue delle quali non riuscì a cogliere una sola parola. Era caotico, certamente, ma si trattava del tipo di caos che le si addiceva, certo non di quello che c’era a casa della sorella.

      Seguì il facchino all’esterno, dove fermò rapidamente un taxi e caricò le valigie nel portabagagli.

      Il tassista la portò nel cuore della parte della città nota come Pest, dove luccicanti edifici in vetro cedevano gradualmente il posto ad altri più vecchi in mattoni, e la città rivelava sempre di più il suo carattere antico.

      Infine, London sussultò di meraviglia, mentre la piccola auto gialla svoltava in Soroksári Road. Una melodia familiare riecheggiava nella sua mente: “Sul Bel Danubio Blu.”

      Il magnifico fiume era appena apparso davanti a loro, e la scena mozzafiato dimostrava che il famoso valzer aveva il titolo appropriato. Il Danubio era una seducente sfumatura di blu, baciato dalla luce del mattino, e fiancheggiato su ciascun lato da una delle più belle città al mondo.

      Budapest si estendeva intorno a lei come una sorta di sogno per metà dimenticato. I grandi monumenti di questa antica città risplendevano nei suoi bellissimi ricordi di ampi edifici in mattoni, cupole e torri, parchi, negozi e artisti di strada.

      London sorrise rammentando ciò che Ian le aveva detto prima della partenza.

      “L’Ungheria mi sembra un posto molto deprimente.”

      Si chiese come diamine si fosse fatto tale idea. Non c’era nulla di deprimente in quella splendida città.

      Abbassò il finestrino del taxi e respirò l’aria fresca e pulita. Prometteva di essere una giornata fresca e piacevole, e Budapest risplendeva tutta intorno a lei, davvero all’altezza del suo soprannome, la “Perla del Danubio.”

      Stava percorrendo il lungofiume, intenta ad osservare, fuori dal finestrino del taxi, lo splendido Danubio con i suoi bei ponti. Ogni sorta di barca era ormeggiata lungo la riva: si passava da yacht privati a lunghi battelli da tour fluviali, alcuni dei quali potevano ospitare quasi duecento persone. Lungo il fiume, si affacciava l’altra parte della città, nota come Buda, collinare e boscosa, con vecchi edifici dai tetti rossi.

      Questo sembrava un buon momento per esercitarsi un po’ con il suo piccolo vocabolario di ungherese.

      “Non vengo a Budapest da un po’ di tempo” disse all’autista in ungherese.

      “A quando risale la sua ultima visita?” l’autista chiese, sembrando apprezzare che una straniera si stesse prendendo la briga di comunicare con lui nella sua lingua.

      “È difficile da dire” London rispose, come se gli anni dietro di sé sembrassero guardarla a bocca spalancata. “Non dal secolo scorso, direi.”

      L’autista fece una risatina.

      “Questo restringe il campo a circa cento anni” rispose.

      Anche London sorrise.

      “Beh, allora, immagino che sia stato durante gli anni ’90” concluse.

      “Non è tanto tempo fa come sembra. E Budapest non cambia molto, almeno non nel cuore.”

      L’autista indicò un grande edificio moderno vicino alla sponda del fiume. Aveva enormi finestre, e sulla parte anteriore c’erano colonne dritte e semplici e forme angolari sul tetto.

      “Non può aver visto questo edificio prima” le disse. “È il Müpa Budapest, un centro culturale che ha aperto nel 2005.”

      Mentre passavano davanti al Müpa, l’uomo indicò un altro grande edificio, dalla forma particolarmente eccentrica e con un’entrata tondeggiante. “E quello è l’Hungarian National Theatre. Ha aperto nel 2002. Ha un aspetto strano, vero? Almeno, molte persone che vivono qui lo pensano.”

      Le date fecero sentire London leggermente nauseata.

      È passato davvero così tanto tempo dall’ultima volta che sono stata qui? pensò.

      Si sentì improvvisamente più vecchia di quanto in genere pensasse di essere. Ma, almeno, era ancora in grado di porre delle domande in ungherese, e, ancora meglio, riusciva a capire la maggioranza delle risposte.

      E vide che la maggior parte della città non era affatto cambiata. Per lo più, era ancora troppo tradizionale e monumentale per cedere al tempo. Dall’altra parte del fiume, vide la Cittadella, un’enorme fortezza di pietra che era stata costruita sulla cima di quella collina nel diciannovesimo secolo. Più distante, lungo la riva opposta, c’era il Castello di Buda, a più di due chilometri di distanza, un edificio mozzafiato con una magnifica cupola che sorgeva al centro. Sembrava persino più grande, mentre proseguivano lungo la sponda.

      Vedere il castello fu come un pugno nello stomaco; ricordava di averlo visitato con i suoi genitori quando era stata ancora una bambina. L’avevano portata lì per diversi giorni, ad esplorare le infinite meraviglie dell’edificio: le sue gallerie, i gioielli della corona, le sculture, le fontane e le stanze storiche.

      Sembra proprio come se fosse ieri, pensò.

      Ma erano trascorsi molti anni, e, per un momento, London sentì bruscamente quanto sua madre le mancasse. Ma rifiutò di lasciarsi scivolare in uno stato di malinconia. C’erano semplicemente troppe meraviglie da vedere.

      Appena di là dal castello, il maestoso Szécheny Chain Bridge si estendeva sopra il Danubio. London sapeva che il ponte storico era stato costruito nel 1849, per collegare tre città, Buda, Pest e Obuda, riunendole nella singola città di Budapest.

      L’autista rallentò, mentre si avvicinavano al ponte. London si sentì eccitata, quando scorse il nome Nachtmusik sullo scafo di una nave ormeggiata lì.

      Eccola lì! Si disse.

      La barca era slanciata ed aveva dimensioni inferiori rispetto alle altre barche da crociera fluviale ormeggiate lungo il molo, ma era costruita nello stesso


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