Della guerra nazionale d'insurrezione per bande, applicata all'Italia. Carlo Bianco

Della guerra nazionale d'insurrezione per bande, applicata all'Italia - Carlo Bianco


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serio effetto sulla mente del soldato operassero. Trasportato il colonello dalla contentezza di essere stato il primo di ciò, informato, lo colmò d'elogi, ed ebbe sempre una intiera confidenza in lui, della quale mai gli avvenne d'abusare, ma ben gli servì, onde poter con più sicurezza il suo santo progetto, a buon fine incamminare.

      Erano tutti gli animi degli uffiziali, compreso quello del colonello, concitati contro il maggiore, uomo pessimo, immorale, raggiratore, senza fede, e pieno di millanterie, dalla Regina sommamente protetto, perchè disertore dall'esercito napoleonico, erasi sotto le schifose, puzzolenti bandiere austriache riparato; e di questo mezzo, per mantenersi gli uffiziali amici, pure con profitto si valse; in continua guerra contro di lui, ma con tal politica, con un calcolo così maturato si mantenne, che ad ogni momento facevalo scomparire, e lo rendeva sempre più esecrato, non lasciandogli mai appicco di punirlo, nè di riprenderlo. Fù sempre, in quella lunga, e simulata tenzone vincitore, e l'avrebbe finalmente, a sortire dal reggimento, costretto, se non l'avesse la Regina fortemente spalleggiato. Dal colonnello, una volta, della verificazione dei magazzeni, delle vestimenta, e dei conti di quell'amministrazione incaricato, tanto nella commessagli incumbenza internossi che, potette in una relazione da lui sù quel particolare data al consiglio d'amministrazione del reggimento, essere stato il soldato nei conti defraudato, ed essere gli uffiziali delegati a quell'uffizio in unione con lo stesso maggiore i ladri del suo avere, irrevocabilmente provare. Andò sossopra l'uffizio, il capitano d'abbigliamento fù mandato in semestre, e rimase per via della complicità del maggiore, l'accusa soffocata. Fù posto il nostro uffiziale alla testa di quell'azienda, che solo accettò provvisionalmente, non convenendogli per stare cogli artigiani, dagli squadroni separarsi, e tanto quella sua operazione gli valse, che l'affetto di tutti i soldati gli cattò, ed in ogni squadra, in ogni camerata, con somma attenzione, ed applauso la suddetta relazione, si leggeva, e rileggeva. Andava giornalmente ed anche più volte al giorno, all'ospedale del reggimento, e colà senza affettazione, e senza che per dovere apparisse, assiso sulla sponda del letto or di questo, or di quell'altro ammalato, sulla maniera colla quale erano dagli infermieri, ed altri impiegati serviti, affettuosamente gl'interrogava; l'occhio volgeva alle distribuzioni, se di buona qualità erano, e ben regolate; se le medicine efficaci, etc. Quindi nei particolari alla persona cui parlava relativi, s'introduceva; in confidenza offriva, e dava danaro a chi conosceva abbisognarne; s'incaricava di commissioni per la sua famiglia; e sull'esito della malattia, con buone parole il confortava; per lusingare alcun tanto il suo amor proprio, dicevagli l'esistenza del Re sulla salute del soldato riposare, dover quella prima cura degli uffiziali stimarsi, perchè senza soldati non vi sarebbero reggimenti, e senza reggimenti non potrebbe sussistere il governo, epperciò essere il soldato la prima, e la più necessaria persona di uno stato; assisteva alla medicatura delle ferite, e sempre ora questo, ed ora quello, in modocchè il malato ben lo intendesse, al dottore specialmente raccomandava; in ultimo possedeva egli tutta la confidenza degl'infermi, profittavano delle sue esibizioni, e per tal modo, l'agente pei loro affari di famiglia, il loro vero amico, il loro esecutore testamentario, era insensibilmente diventato. Quando per avventura di partire col suo squadrone, in distaccamento, gli avveniva, e di dover qualche tempo dal reggimento, separato rimanere, egli allora trovandosi capo, quel sistema di condotta, più opportuno, per affezionarsi il soldato non meno, che per assuefarlo ad essere sempre in ogni ora, o momento senza saperne il perchè, pronto a sortire in armi, e bagaglio, indefessamente, e con somma cura seguiva; alla massa d'economia del reggimento, la stessa somma spedita dagli altri ed anche maggiore rimetteva, il soldato ben pasciuto manteneva, e vestito come gli era passato dal governo; ma il riso, le paste, etc.; egli stesso all'ingrosso, e non al minuto giorno per giorno comprando, e con altre simili operazioni aveva sempre un vistoso fondo nelle mani, che in nessuna parte compariva, e siccome non voleva rubarlo, dava ad ogni soldato per tutto il tempo del distaccamento, un convenevole caposoldo, regalava i più diligenti, e nelle domeniche avendo stabiliti giuochi di destrezza a piedi, ed a cavallo, dall'eccitamento de' premj sostenuti, in caserma riuniti li divertiva; amavanlo, e stimavanlo per tal modo i soldati, e quelli de' distaccamenti successivi, non avendo uffiziali, che volessero, o sapessero quei fondi far sorgere, ed all'uopo servirsene, avuta del ben essere goduto dagli antecedenti notizia, si disgustavano, servivano male, e qualche volta ai loro superiori anche si ribellavano, impazientivansi gli uffiziali di dover da meno comparire di quello, ed i soldati d'essere sotto di lui con tutto il cuore bramavano. Onde poter sempre tenere il suo squadrone in pronto, per agire secondo la sua volontà, il nostro uffiziale lo sorprendeva, e di giorno, o di notte, quando meno si pensava, udivasi dal trombetta suonare a cavallo, ed in venti minuti di tempo tutto lo squadrone doveva essere in armi, e bagaglio, dal quartiere partito, senza nessun effetto di corredo dietro di sè in caserma lasciare, il primo dragone a cavallo riceveva un premio, l'ultimo, alla prigione per quattro giorni era inesorabilmente condannato; un quarto di miglio lontano ad una esatta revista del bagaglio d'ogni individuo, procedeva, gli effetti dimenticati al quartiere, erano in prò della massa generale dello squadrone invertiti, notati erano i mancanti, ed al ritorno subitamente surrogati, ma veniva al perditore, il gastigo di quattro giorni d'arresto, inflitto, seguiva la rivista, un lungo passeggio militare, il termine del quale era in qualche villaggio dove nel mentre, che i cavalli mangiavano la biada ed il fieno portato da ciascun dragone, all'anello della sella bistorto, ed aggomitolato; un competente asciolvere veniva a spese del comandante ad ogni soldato distribuito, dopodichè ritornavasi lietamente in caserma; insomma ben conosceva quell'uffiziale che il migliore, anzi il solo veicolo, onde cose grandi, e sublimi operare, quello si era di farsi il maggior numero possibile d'amici, che tutto quanto hassi in questa vita, e sopra ogni altra cosa, la riputazione, e la stima, dall'altrui volere dipendono, che l'uomo è di vivere continuamente, o con gli amici o con nemici costretto, che in mezzo a questi ultimi non gli verrà mai fatto di potere con fondata speranza di felice risultamento buone, ed atte cose intraprendere; perchè ogni miglior impresa, verrà sempre a tutta possa da loro impedita, incagliata, ed al popolo con falsi colori dipinta, onde una sublime, magnanima e gloriosa azione, far, che un basso raggiro per particolar convenienza praticato, mosso da volgare, o vizioso incentivo, appaja, ed anzicchè la ben meritata approvazione, e la singolar gloria, dalla vera virtù non mai disgiunta, che a buon diritto le spetta, publico biasmo, e disprezzo generi, contro chi con pure intenzioni valorosamente l'imprende. Della peculiare, e delicata situazione di chi difficilissime cose desiderava portar a buon fine, il detto uffiziale facevasi carico. Epperciò bel bello nel cuore di coloro che l'avvicinavano insinuandosi col destato affetto, della lor lingua s'impadroniva; salito in fama, gli si aumentava la stima, e con questa il numero degli amici, notabilmente accresceva; tuttavolta durar dovette non poca fatica onde questa sua brama conseguire; persuaso egli, che la somiglianza di costumi, sia d'amore conciliatrice; ad ogni umore, ad ogni sorta di gente si addattava; scevro di antipatia, e fermo di volere il loro cuore cattare, studiosamente la dominante passione di ciascuno de' suoi compagni investigata, la blandiva, e vezzeggiava; ora parlava da savio, ora da volgare, pensava sempre come il primo, ma per lo più come il secondo, si dimostrava; i giusti encomj rendeva alla virtù trattando co' virtuosi, e ad una qualche opera, non diremo men che onesta, ma anzi alla licenza tendente che no, propostagli dagli oziosi, non si negava, senza mai però alla pania del mal vezzo lasciarsi invescare. Per acquistare la buona riputazione ed in essa mantenersi, i suoi propri difetti occultava, senza darsi a vedere degli altri più savio, mai apparentemente negli affari particolari de' suoi colleghi immischiavasi, ma per trar partito dai loro difetti, passioni, abilità, e bisogni tenevasene segretissimamente informato; non parlava mai di sè stesso; diceva cose piacevoli, ed i compagni di tanto in tanto, e separatamente senza affettazione, di prendere all'esca di begli atti, modi, e parole si studiava; mai non mentiva, sebbene sempre tutta l'intiera verità non palesasse; senza boria, nè maldicente, nè riprenditore, il tempo, e le cose per addattarvi le sue azioni, di continuo studiava; di apertamente, e chiaramente manifestarsi, e dare i suoi pensieri a conoscere, avvedutamente sfuggiva, e gl'impegni soprattutto quando appariva dubbia la vittoria, in tal maniera schifava. Con accortezza, cautela, giudizio, ed acume, con simulazione operando, si serviva d'ingegni ausiliarj per deludere l'arte con l'arte, ed essere alle contrarietà superiore; e come quello, che ben conosceva, essere l'arte di saper intraprendere a proposito in affari d'alto rilievo, la principale, e decisiva, con calma le occasioni aspettava, e con profondo calcolo le bilanciava, nel mentre, che con somma accuratezza si disponeva, e coll'ingegno, le forze sue prima d'intraprendere, con quelle dell'avversario, ponderatamente misurava. Con sì fatto seguitato,


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