La donna fiorentina del buon tempo antico. Isidoro Del Lungo

La donna fiorentina del buon tempo antico - Isidoro Del Lungo


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nel nome di qualsiasi delle suore volevano innanzi consigliarsene col padre e con gli altri della casa: eccezione dagli scrutatori respinta come disonesta e contro diritto, e a noi evidente esser suggerita da rispetti e legami di parte, i quali avvincevano dunque anche le donne, e quelle stesse che ogni vincolo mondano avevano professato d'infrangere.[70]

      Non vi ricorda di Montecatini,

      come le mogli e le madri dolenti

      fan vedovaggio per li Ghibellini,

      e' babbi e' fratri e' figliuoli e' parenti?

      sonar per gli alti e spazïosi tetti

      s'odono gridi e feminil lamenti:

      le afflitte donne, percotendo i petti,

      corron per casa pallide e dolenti,

      e abbraccian gli usci e i genïali letti

      che tosto hanno a lasciare a estranie genti....

      Nell'Omero fiorentino del medio evo la figurazione è meno plastica, ma forse più potente; e la satira mesce nell'epica intonazione la sua stridula nota:

      Ma se le svergognate fosser certe

      di quel che il ciel veloce loro ammanna,

      già per urlare avrian le bocche aperte;

      chè, se l'antiveder qui non m'inganna,

      prima fian triste, che le guance impeli

       Indice

      Il Trecento, adunque, è nella storia di Firenze, comparativamente all'età che lo precede, secolo di confermamento e di stabilità. «Nuovo popolo», come dicevano, non si fa più. Non mancano le grandi commozioni, i grandi pericoli, i grandi rovesci eziandio: la città è assediata da Arrigo VII; minacciata da Uguccione, e più gravemente da Castruccio; stremata del suo miglior sangue nelle battaglie di Montecatini e dell'Altopascio; le calate imperiali del Bavaro, di Carlo IV, mettono alla prova il senno e la borsa de' suoi mercatanti; questa è munta gagliardamente dai sovrani quasi di tutta Europa; i reali di Francia e di Napoli vengono a spadroneggiarci in casa; un loro venturiero crede di essercisi insediato signore e duca; la travagliano, con le armi e con le cupidigie, Scaligeri e Visconti, i Papi Avignonesi e le Compagnie di ventura; le epidemie, ed una sopra tutte spaventevole, la disertano; la tirannide guelfa turba l'equilibrio delle Arti, e provoca gli eccessi della demagogia: ma lo Stato rimane pur sempre saldo a tutti questi urti, fra tutte queste burrasche; saldo tanto, che il rivolgimento verso l'oligarchia si compie senza mutazioni, nè di forma nei magistrati, nè di sostanza nella politica del Comune. E così può Firenze, durante questa età gloriosa, svolgere nelle forme più ampie e sino a' più alti gradi la civiltà sviluppatasi faticosamente dalle tenebre dei bassi tempi; d'industrie e commerci alimentarla, afforzarla, propagarla nel mondo; farle ministre le arti del bello figurato, che Arnolfo, Giotto e l'Orcagna, maestri e operai del Comune, improntano di quella gentil compostezza che d'ora innanzi si chiamerà toscana; ai dispersi elementi dell'eloquio latino, che di regione in regione italica vennero atteggiandosi a lingua di popolo, dare Firenze la forma, farne il verbo della nazione, anzi già il valido istrumento d'una letteratura, che, intorno a un altro grande triunvirato fiorentino, si afferma italiana.

      Di questa vita, tanto più spirituale e civile quanto meno agitata e procellosa, la donna, resa quasi ad aere più spirabile, partecipa, com'è naturale, e ne gode largamente. Nella istoria di lei, il dramma fa luogo alle contingenze, or liete or tristi, del familiare e cittadino consorzio; è finalmente ai tesori della bellezza e della tenerezza sua, ispiratrici, ricomposto il nido domestico, com'era a tempo delle avole buone, ma ora la ricchezza e l'arte gareggiano in adornarlo: e i mercatanti di Calimala e di Por Santa Maria, quasi a consolarla de' lunghi abbandoni, serbano a lei le primizie de' panni che recarono d'oltremonte, e che trasformati e triplicati di pregio rivarcheranno le alpi ed il mare.


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