La donna fiorentina del buon tempo antico. Isidoro Del Lungo
al povero per goderle insieme con lui: i giovani armeggiavano, le donne ballavano, sulle piazze, all'aria aperta, non al fumo di candele, nell'uggia de' salotti». Queste cose, di quella età democratica del Comune fiorentino, scriveva nel 1836 un giovine patrizio; il quale doveva poi da vecchio, a tutta Italia anzi alla civile Europa venerando, essere il degno storico della nostra Repubblica: il marchese Gino Capponi.[91]
Altra materia, che di siffatte osservazioni morali, non è da aspettarsi ci offra, intorno alla donna, come già dissi, la storia fiorentina di quel secolo: non la storia de' fatti politici, per le ragioni che vedemmo; non la storia della cultura, in tempi ne' quali i limiti di questa erano tracciati così rigidamente, che la denominazione di uom colto era «cherico», e gran mercè se alla donna rimaneva posto fra il laicato. La Compiuta Donzella, se è, come pare, «non ombra, ma donna certa», rimane un'eccezione, come tutte le regole hanno la sua: nè della cultura della donna in Firenze dal Due al Trecento altre testimonianze sapremmo indicare, all'infuori di qualche volgarizzamento dal latino che vedesi fatto a loro istanza, come quello delle Eroidi d'Ovidio (che chiamavano «Libro delle donne»), a istanza di madonna Lisa Peruzzi condotto da ser Filippo Ceffi notaio;[92] o, più spesso, i volgarizzamenti che religiosi o altre persone spirituali, pure ad istanza di donne, facevano di testi sacri od ascetici.[93] E dovremmo poi dire che il precettor cortigiano che la donna fiorentina di quella età ebbe in Francesco da Barberino, mostra evidente che di qualunque virtù più che di cultura preme a lui che la sua donna ideale si addobbi; fino a porre in dubbio (tutto ben considerato, anche i pericoli) se sia bene o male ch'ella sappia «lo leggere e lo scrivere», ancorachè sia di grande condizione; e sole eccettuando, manco male, le destinate a monacarsi.[94] Ma oltre la storia politica e la storia della cultura, noi possiam pure interrogare una storia, le cui pagine, scritte senza intenzione d'arte anzi non per un pubblico qualsiasi, a null'altro quasi hanno servito sin oggi che a documento di lingua, e sono le Croniche o Ricordanze domestiche: ed una di queste,[95] che proprio comprende nel suo bel mezzo il Trecento, offre al nostro studio, non geste e imprese di certo, bensì più d'una fisionomia femminile.
Le parole di messer Donato Velluti, che io riferirò testuali e dal manoscritto suo autografo, vi faranno qui rivivere coteste donne, quali egli, nella casa propria o de' consorti, le vide: «care e buone» le più; testimonianza affettuosa, e troppo in quelle schiette sue pagine frequente,[96] cosicchè io non debba ripeterla, anche a compenso di giudizi sulla donna, e del Trecento e dell'Ottocento, non sempre benigni. Sceglierò tipi diversi. E prima, poichè abbiamo avuto testè a parlare di fogge e mode, sia d'una alla quale l'avere il capo ben assettato giovò a qualche cosa. «Monna Diana fu una bonissima donna, e molto amore mi portava...., e assai mi teneva a Bogoli quando era fanciullo. Portava molto in capo: intanto che essendo una volta al palagio vecchio de' Rossi, dirimpetto a Santa Filicita, ove oggi è l'albergo, e cadendo d'in sul palagio una grande pietra, e cadendole in capo, non la sentì, se non come fosse stata polvere venuta giù per razolire di polli: onde ella, sentendosi, disse: — Chisci, chisci; — e altro male non le fece, per cagione de' molti panni ch'avea in capo». Resistente, del resto, e gagliarda, era soprattutto la fibra, non meno di quelle donne, che degli uomini loro; e sentite come guardavano in faccia la morte: «Sopravvenne la mortalità del 1348: ed essendo già morti il detto Gherarduccio e sua figliola e le serocchie, et essendo il detto Cino», l'ultimo rimasto di tre fratelli, «e sua donna in contado al detto podere dal Poggio, infermarono; et essendo infermi, deliberarono di venire», cioè alla città. «Ed essendo presso i fratelli della moglie, gli feciono fare testamento.... E poi si partirono: e la donna ne fu recata in istanghe, e giunta l'andai a visitare; e egli ne venìa a cavallo in sella, e uno gli era in groppa. Di che dopo la detta visitazione, essendo io ito in Borgo San Iacopo a la sepultura di Bernardo Marsili, il quale era morto essendo de' Priori,» (e lo stesso, di morire essendo de' Priori, in Palagio, toccò allo scrittore ventidue anni appresso) «e tornando, essendo in capo del chiasso, vennono due a una ora, e l'uno disse: — Monna Lisa è morta; — e l'altro disse: — Cino è morto a l'Olmo da San Gaggio, a cavallo, venendo di villa. — Fecili sotterrare.....». Ritratto di due buone ragazze, invecchiate in casa co' fratelli: «Le dette Cilia e Gherardina non si maritarono: stettono un grande tempo pulcelloni, con speranza di marito; poi fuggita la speranza per non potere, si feciono pinzochere di San Spirito. Guadagnavano bene, e francavano la loro vita, e più, dipanado lana; sanza che, non fece mai bisogno a' detti fratelli tenere fante. Erano amorevoli molto, e grandi favellatrici. Morirono per la detta mortalità del 1348, essendo ciascuna d'età di quaranta anni e più». Ma ben altra donna una madonna Gilia, che in casa dei fratelli ritorna da vedova, e piena d'affari e di brighe, e «consumò molto in piatire, nel quale molto si dilettava, però che era et è molto astuta e rea; e tanto vi consumò, che non vogliendo vendere delle possessioni, vilmente vivea e vestiva, tutto dì cercando Firenze....., e oggi vive in mendicume». Ma ecco qua due figure simpatiche: di una donnina da casa, «monna Lisetta, piccola della persona, ma savia e buona donna», che dopo la morte del marito rimane in casa co' figliuoli, onestamente vivendo, e governando i detti suoi figliuoli», che le muoion giovanissimi, ed ella pure nella mortalità del 1363; — e di una bella sposa, di quelle che, guardate negli affreschi o nelle tavole de' nostri maestri, ci fanno non solamente ammirare ma pensare, «monna Ginevra Covoni, più bella e maggiore di niuna sua serocchia, e sanza vergogna delle altre, fu delle vertudiose savie e facenti donne che io vedessi mai, e quella che per l'amorevolezza sua e piacevolezza e bontà si facea volere bene a ogni persona». Finalmente la madre del cronista e la moglie: «Monna Giovanna, mia madre, fu savia e bella donna, molto fresca e vermiglia nel viso, e assai grande della persona onesta e con molta virtù. E molta fatica e sollecitudine durò in allevare me e' miei fratelli; considerato, che si può dire non avessimo altro gastigamento, e spezialmente di padre, però che quasi del continuo nostro padre stette difuori: per la qual cosa ella fu molto da lodare, e lodata fu, di sua onestà e vita, essendo bella, e stando il marito tanto di fuori. Di carnagione e freschezza fui molto somigliato a lei. Fu grande massaia; e bisogno ebbe di ciò fare, avendo nostro padre poco come avea, poi si divise da' fratelli, e avendo grande famiglia.... E la cagione della morte sua fu, che essendo nostro padre in Tunisi, avendo noi ricevuto in pagamento.... uno podere...., e essendovi ella andata a stare là di state, tornando poi qua, e essendo salita a cavallo..., si mosse il cavallo, e corse un pezzo, e gittolla in terra; di che si sconciò la gamba. Soprastette alcuno dì là su, e non si fece trarre sangue; e poi essendo recata in Firenze in stanghe, si rincannò la gamba: e stando così uno dì di San Martino nel letto, ed essendo con lei molte donne, e favellando e cianciando, subitamente dicendo O me!, passò di questa vita. Iddio abbia la sua anima; chè così dovè essere, essendo buona e cara donna, e essendosi confessata il dì dinanzi....». E la moglie, monna Bice Covoni: «La quale fu piccola e non bella; ma savia, buona, piacevole, amorevole, costumata, e d'ogni vertù piena e perfetta, e la quale si facea amare e volere bene a ogni persona: e io molto me n'ò lodare, chè me amava e desiderava con tutto quore. Era bonissima dell'anima sua: ed è da credere che Nostro Signore Iesù Cristo l'abbia ricevuta nelle sue braccia, faccendo buone e ottime operazioni, limosiniera e d'orare e visitare la chiesa.... Vivette meco in santa pace, e accrebbe il mio assai di grazia onore e avere.... Ebbe grandissima infermità per la mortalità del 1348, e campò di quello che non ne campò una nel centinaio. Fu grazia di Dio e in iscampo di me, chè di certo ho per opinione, che s'ella fosse morta, io non sarei scampato, per gli accidenti m'avvennono, che che di quella infermità non sentissi.... Morì di luglio 1357: sì che vivette meco da diciassette anni. Iddio abbia la sua anima.»
VI.
Tale, nella realtà dei fatti, la donna che i Fiorentini dei primi secoli ebbero compagna della vita, a tutto il periodo schiettamente democratico del Comune; fermandoci sul declinare del Trecento, quando, sfuriati i Ciompi, l'aristocrazia borghese piglia campo, e paladini del popolo, pericolosi paladini, si fanno avanti i Medici. Tale la donna di quella antica Firenze: austera e gentile figura, che a sè dice della gloria di cotesta età tanta parte esser dovuta, quanta fu quella ch'ella prese nella operosità, nei dolori, ne' virili propositi, ne' luminosi concetti, ne' passionati traviamenti, d'un popolo forte, d'una democrazia degna veramente di tal nome, perchè senza declamazioni operante con gagliardia e per sentimento di cose