Al di là. Alfredo Oriani

Al di là - Alfredo Oriani


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stata una delle tue solite distrazioni.

      — Mai.

      — Non è vero, Mimy, che ho avuto un buon pensiero?

      — Ebbene? insistè la marchesa.

      Mimy le alzò gli occhi nel viso, e guardandola con aria di dolce rimprovero mormorò un sì fievolissimo. La marchesa le prese allora il capo con dolcezza, e chinandoglielo quasi all'altezza della propria bocca le mise l'amorino in un riccio, così che pareva caduto dal cielo.

      Si riprese la conversazione: poco dopo, una carrozza si fermò al cancello e la mora entrò ad avvisare la marchesa.

      — In viaggio, signori, ella disse gaiamente.

      L'avvocato fe' qualche osservazione, perchè aveva egli pure la carrozza, ma dovette arrendersi.

      Quella della marchesa era un magnifico calesse ad otto molle, tappezzato di un damasco azzurro a fiorami più cupi: due cuscini ricamati distinguevano i posti delle signore. Giorgio cavalcava allo sportello: ultima veniva la mora.

       Si udì un nitrito: era Bothaina che rimasta libera pel prato aveva girato dietro la casa, senza che niuno le badasse nei preparativi della partenza, e accorreva colle orecchie tese.

      — Bothaina! gridò la marchesa; l'intelligente animale accostandosi alla carrozza dal lato di Mimy mise dentro la testa per ricevere una carezza.

      — Come si fa adesso? domandò l'avvocato.

      — Bothaina può seguirci così.

      Partirono; una nuvola di polvere densa e leggiera li accompagnò lungo la strada.

       Indice

      Et veritablement je ne sache rien de plus hideux a voir pour quelqu'un de sang froid que... et ce visage enflammé de la plus brutale concupiscense: mais si nous sommes ainsi près des femmes il faut qu'elles aient les yeux bien fascinés pour ne nous prendre en horreur.

      Les Confessions. — Rousseau.

      La sera dello stesso giorno Giorgio, Mimy e l'avvocato si trovarono assieme nel salottino, per chiacchierare dopo cena, ma non parlavano che a monosillabi. I due uomini erano pensierosi, nei movimenti quasi irrequieti.

      Carlo si alzò come chi prenda una risoluzione.

      — Te ne vai? gli chiese Giorgio con uno sguardo.

      — Ho una causa che mi preme: poi sono stanco. Tu resti con Mimy.

       — Buona notte, ella ripetè senza levare il capo dal ricamo.

      Rimasero soli: egli sdraiato sulla poltrona fumando lo sigaro; ella china sopra un fazzoletto ricamando.

      La luna, che illuminava lenemente la camera, si nascose dietro una nuvola; e Giorgio rimase nell'ombra, mentre sul volto di Mimy la luce della fiamma a petrolio velata da un cappello di rose tremava lievemente. Era ancora più pallida, quindi più bella del consueto, coll'abito bianco e sui capelli l'amorino appassito della marchesa; solamente la pettinatura cominciava a scomporsi per l'indocilità dei ricci, alcuni dei quali le coprivano le orecchie e avanzandosi sulla fronte unita e liscia le cadevano sulla radice del naso come il fiocco di un cavallo.

      — Mimy...

      Ella lo guardò interrogando.

      — Non dici nulla? penserai forse: anch'io penso a te in questo punto.

      Ella si strinse famigliarmente nelle spalle ripiegandosi sul ricamo.

      — Sai che cosa mi figuravo? Che questa tua placidezza copre molta rassegnazione e il tuo pallore molta malinconia.

      — A proposito di che tutto questo?

      — Di tutto e di nulla: un'idea che mi ha traversato la mente e, se non fossi con te, aggiungerei, che mi ha fatto battere il cuore. Mimy, mi fai un piacere?

      — Sentiamo.

      — Fai o non fai?

      — Cugino, peggiori tutti i giorni: sei stravagante, diventerai pazzo, rispose con un sorriso di carezzevole compiacenza.

      — Forse per colpa tua. Levati e va alla finestra.

      — E poi?

      — Niente altro.

      Ella comprese, e levandosi con mollezza andò lentamente ad appoggiarsi sul davanzale.

      — Sei bella così! esclamò Giorgio, che l'aveva seguita con un gesto di ammirazione.

      Ella non rispose.

      Col capo chino sulla spalla stava addossata a uno sportello in una attitudine di fantasticaggine: l'abito, le treccie, la finestra, la luna che omai riappariva, l'oblio forse in un pensiero d'amore, nulla mancava per comporre una romanza; se Giorgio non fosse stato poeta nell'animo, forse ne avrebbe provato il solletico. Invece le si venne al fianco, posando i gomiti sul davanzale e voltandole il viso nel viso. Ella non se ne commosse; la luna scaturì con poetica compiacenza dalla sua nuvola come un brindisi alla fine del banchetto e li avvolse nel suo sguardo luminoso.

      — «Povera Emilia, l'idolo dilegua e il cavalier,» mormorò fra i denti.

       — Che cosa canti?

      — Niente: un notturno che canto spesso; è molto malinconico.

      — Come la tua vita.

      — Chi te lo ha detto?

      — Forse è necessario che ci si dicano certe cose? Il fiore del loto, dice un gran poeta, non può sopportare il raggio del sole e amoreggia la luna. Credi che sia felice quest'amore? Luce e calore, amore e voluttà: ecco l'atmosfera della vita. Sai, Mimy, come passi pel mondo? Pallido fantasma traversi la terra come in processione accanto al marito trovata per via, coperta di un gran velo nero: la tua gioventù è una salmodia monotona, la tua bellezza una statua nel fondo di uno studio, che pochi conoscono e nessuno ha sentita ancora, tuo marito pel primo.

      — Ebbene? chiese punto meravigliata di quelle comparazioni e quasi approvandole.

      — Ebbene: non so quello che mi dica; ma pensando di te, e mi accade spesso, provo un senso di pena. Mi pare che tu debba aver bisogno di uno che animandoti col suo spirito ti cangi la processione in una scorreria fantastica di un mattino di primavera, e dalla monotona salmodìa tragga una musica come il terzo atto del Faust.

      Mimy appoggiò la testa allo sportello e rimase pensierosa.

       Era una notte stupenda. In fondo al cielo sereno oscillavano nuvole turchine che la luna salendo imbiancava della propria luce; un immobile splendore dormiva sui campi lontani, mentre qualche raggio penetrando tra gli alberi del bosco sembrava volervisi nascondere; ogni cosa taceva. Una molle stanchezza pesava sulla natura. Nessuna stella brillava: solo quelle nuvole oscillavano lentamente aspettando un soffio di vento per proseguire il loro misterioso viaggio.

      Giorgio si scosse: fe' qualche passo per la stanza, poi fermandosele innanzi,

      — Vuoi scendere in giardino?

      — A che?

      — A passeggiare.

      — Se non ti dispiace preferisco di restar qui.

      — Allora suonami il tuo notturno favorito.

      — Per carità...

      — Dunque... parliamo se non vuoi far nulla.

      — Ascolto.

      Invece di parlare tacquero: la conversazione era impossibile, ma intanto che Giorgio vi si sforzava Mimy rimaneva insensibile. Allora la prese famigliarmente per le mani e sollevandosele al volto come per osservare il ricamo al lume di luna la staccò piano piano dalla finestra, senza che opponesse resistenza — si trovarono quasi nel mezzo della camera, Giorgio al buio, Mimy sull'orlo della striscia luminosa segnata sul pavimento; avevano i volti accanto, così


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