Al di là. Alfredo Oriani
Non le badiamo, e slanciandoci nella ridda turbinosa ci pare assai di stordirci, mentre dovremmo sublimarci. Poche ore fa mi stimavo di molto superiore a Carlo, il povero innamorato della marchesa di Monero, nel battermi con una donna, e avere volentieri sfidato il sole per osservare i suoi raggi rimbalzare in frantumi sulla mia corazza di diamante — non era diamante ma ghiaccio.
«Ti ho detto, la testa mi gorgoglia di idee e i sensi mi fremono ancora.
«Sono stato dissoluto, lo sono e lo sarò. Nato coll'animo di un grande artista, quantunque non abbia prodotto cosa alcuna, nè la produrrò per un difetto organico, una inadeguazione fra il sentimento e il linguaggio, fra la concezione e la forza di estrinsecazione; e divorato miseramente da tutte le passioni ho dovuto spossare l'ingegno cogli sbalzi della giovinezza, stordire l'anima coi piaceri del corpo; perchè incapace di mostrarmi grande non ho voluto e non voglio parere mediocre; perchè non potendo avere un Dio da adorare, e quello sarei io medesimo, mi occorrono degli idoli da infrangere, e sono le donne, che mi amano. Sono dissoluto, perchè vi è un'amara voluttà nel sentirsi al di sopra della vita che si conduce, nel porre, dilapidando le proprie ricchezze, sul capo ignobile di una cortigiana una corona, che più accuratamente brunita farebbe levare superba la fronte di una regina: sono un dissoluto che si ubbriaca per non piangere, un mendico che nasconde sotto i cenci un enorme diamante mal faccettato. E adesso, io che delle donne preferisco la qualità alla quantità, ero senza amanti se costei non mi appariva; ma dovrò battermi per conquistarla e la guerra sarà terribile e fuori del mio mondo maschile, con una forma diversa, più bella, che si difenderà con tutto il vantaggio di armi meglio temprate e di conoscere perfettamente il terreno.
«Il cimento è eroico.
«Ti confesso che scrivendoti mi sento battagliero; vorrai tu tradurre innamorato? Forse ne avrai la malignità, forse anco avrai abbastanza spirito per non ingannarti. Comunque sia, debba o no innamorarmi di quella donna, e innamorandomene sedurla o essere respinto, questa lettera è soverchiamente lunga, e sebbene la mia calligrafia mi faccia supporre che ne salterai almeno la metà, mi rassegno a troncarla.
«Una ultima parola — sono stato invitato per oggi dalla marchesa di Monero, quella signora che scandalizzò a Rimini tutte le nostre eleganti col bizzarro buon gusto delle sue acconciature e colla sua cameriera mora — me lo disse la contessina S***. Non è assolutamente bella, ma può essere affascinante. Carlo ne è una prova, sempre più ridicolmente imbarazzato dall'altera disinvoltura de' suoi modi. Ieri, incontrandoci, ella m'incaricò di portare un mazzo a Mimy; ecco come accadde l'invito e il resto. Andrò a pranzo da lei, giacchè mi preme verificare un motto della S***, la quale, poveretta, non può perdonarle di averla affatto ecclissata; un giorno che parlavamo di lei, veggendola passare a cavallo, mi disse: «Si regge meglio in sella che in conversazione.» Guai se mi ha ingannato! come temo; glie ne scriverò tante da farla inverdire per la stizza. Vanitas vanitatum, mio caro. Un poeta latino domanda: Che cosa è più leggiero del vento? la polvere; della polvere? la piuma; della piuma? la donna; della donna? Nihil.
«Che s'inganni? che della donna sia più leggiero chi se ne innamora?
«Ti lascio questo problema per obbligarti a rispondere.»
Così scriveva, ritornando a casa dalla scoperta di Mimy, il conte Giorgio De Vinci.
CAPITOLO IV
Studio i ricci che porta sulla fronte, i fiori che mette negli abiti, la maniera onde mi porge la mano, la prima parola che mi dice, il primo silenzio che mi serba. Non le ho ancora detto: Vi amo, ma forse lo sa; ho interrogato troppe cose su lei perchè nessuna mi abbia tradito.
Lettere — Ottone di Banzole.
L'indomani all'undici, Giorgio, montato su Allah, magnifico cavallo andaluso, balzano da tre e tutto nero con una stella bianca in fronte, partiva dal suo casino alla volta di quello di Mimy: era vestito con eleganza cittadina, che goffa per sè lo pareva maggiormente in campagna; ma contro i decreti del destino e della moda ogni recriminazione è vana. E davvero quel tubo lucido sulla testa, quei calzoni fino sul piede uniformemente larghi, quell'abito senza nome nella lingua e che, aperto dinanzi, terminava in coda di rondine, spaccato nel mezzo, onde ne usciva ridicolmente il grugno della sella, contribuivano mediocremente a rendere bella la persona e romantico il cavaliere; però, all'espressione del volto, pareva contento di sè e ratteneva Allah accompagnando del corpo con grazia perfetta gli ondeggiamenti del suo passo lungo e nervoso. Era giunto sulla strada maestra, che da porta San Mammolo si prolunga in serpeggiamenti per una stretta valle, e aveva rivolto il dosso a Bologna con un trotto vigoroso, quando ad una svolta distinguendo fra una nuvola di polvere come due donne a cavallo, si spinse al galoppo. In un attimo fu loro presso e ormai le pareggiava, ma esse si slanciarono a tutta carriera o prendessero la sua corsa accelerata per una sfida o glie ne gettassero un'altra. La raccolse e schioccando la lingua fe' spiccare tre balzi ad Allah, che lo portarono oltre la seconda donna, ma la prima lo avanzava e il suo cavallo baio correva come il vento.
— La marchesa! esclamò superando la mora: via, Allah: Allah si avventò disperatamente: la strada faceva un gomito: spronò, ma svoltando la vide che, frenata la cavalla, si moveva tuttavia a piccolo trotto.
La raggiunse: ella china sulla criniera di Bothaina ad accarezzarla non lo avvertiva.
— Siete voi, signor conte! disse finalmente voltandosi allo scalpito dell'altra che arrivava.
Indi con vivacità:
— Ci volevate proprio inseguire? credete che mi avreste raggiunta?
— Chi è quell'uomo che possa rattenere una donna se voglia fuggirlo o raggiungerla se fugga? Ma chi fugge o teme od abborre!
— In questi due casi mi avreste inseguita?
— Forse... per sapere il perchè.
— Sperando di raggiungermi?
— Facendo almeno scoppiare il mio cavallo.
— Ecco un complimento che un'altra potrebbe prendere per una dichiarazione.
E un superbo sorriso le contrasse le labbra.
Proseguirono senza chiedersi per dove.
Poco dopo si fermarono al cancello aperto di un casino, borghese nel disegno e peggio ancora per una specie di giardino, che gli si stendeva dinanzi rotto ad aiuole con qualche albero e due statue di gesso.
— La villa della signora Mimy?
— Sì, rispondeva Giorgio tirando indietro il cavallo per lasciarla passare.
— Mi spingete ad entrare?
— Forse che la signora marchesa non ne aveva l'intenzione?
Ella gli lanciò uno sguardo scrutatore, ma il volto di Giorgio aveva la migliore indifferenza del mondo.
— Infatti è vero.
E s'inoltrò risolutamente accennando alla mora di attendere.
Al rumore delle cavalcature sui ciottolini del viale una figura bianca apparve e si ritrasse prontissima da una finestra al primo piano, ma non tanto che la marchesa non la riconoscesse: d'un salto ella fu alla porta. Giorgio si buttò da cavallo per aiutarla, ma troppo tardi; e si avviarono a braccetto preceduti da un servo mal livreato.
Si fermarono in un salottino decente, colle pareti e la vôlta nascoste da una tenda di mussolina fiorata.
Poco stette a presentarsi l'avvocato commosso fino alla confusione.
— Lo debbo a te, senza dubbio, disse dopo esauriti i primi complimenti, questo regalo di condurmi la signora marchesa.
— Perdono, ella rispose sorridendo mordace: ma la colpa o il merito è tutto mio: il signor conte mi ha incontrata, o meglio raggiunta per strada, e scambiò seco un'occhiata, e abbiam proseguito insieme. Stamane mi sentivo uno strano bisogna di moto: il caso o, se permettete, l'amicizia mi hanno guidato verso qua e una volta sulla via... Vorrei accorgermi