Augusto De Angelis: Tutti i Romanzi. Augusto De Angelis

Augusto De Angelis: Tutti i Romanzi - Augusto De Angelis


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delle opere complete di Stephan Zweig. La passione nascosta di De Vincenzi erano i libri. Ne aveva una stanza piena nel suo appartamentino, con grande disperazione della buona Antonietta, che si ostinava a volerli spolverare uno per uno almeno una volta alla settimana.

      Il primo impulso del commissario naturalmente era stato di correre al banco del Libro dei Libri. Ma, affacciatosi al limite del Loggiato per rendersi conto dell’accaduto, alcune frasi pronunziate accanto a lui lo avevano fatto fermare.

      — È il banco di Tuama!…

      — Hanno ammazzato il vecchio!…

      La voce che diceva queste parole voleva esser scherzosa, ma suonava soprattutto sarcastica.

      — Che dici?!

      — Lo meriterebbe, del resto!

      De Vincenzi s’era voltato a guardare i due uomini, che facevano commenti di così strano genere e uno dei quali aveva annunziato quel che avrebbe dovuto ancora ignorare.

      Riconobbe subito colui che aveva parlato pel primo. Era Vittoriano Sandri, l’autore noto di romanzi storici e di romanzi d’amore. Aveva conosciuto periodi di grande fama. In quel momento, il suo genere narrativo tutto miele era in ribasso. Ma lui continuava a rimanere una personalità di primo piano nel mondo degli scrittori, appoggiato a una grande Casa Editrice e così carico di denaro com’era, per aver sposato la figlia di un industriale lodigiano.

      L’altro, che aveva previsto l’assassinio del nominato Tuama, De Vincenzi non lo conosceva. Era un giovanotto elegante, col monocolo, i baffetti all’americana, il naso aristocraticamente aquilino e affilato. Alto e sottile, teneva la persona leggermente curva e quando parlava faceva un curiosa smorfia con le labbra.

      Dopo i primi istanti di sbalordimento e di panico, tutti avevano compreso che si trattava realmente di un delitto e che il morto era proprio quel Tuama nominato dal giovane elegante e De Vincenzi, anche per l’oscuro presentimento che sempre lo guidava nelle sue azioni, non s’era rivelato, né mostrato, preferendo tenersi nascosto tra la folla. Voleva approfittare dell’incognito per conoscere l’ambiente e potervisi poi muovere agevolmente, quando avrebbe dovuto condurre le indagini a viso scoperto.

      Una volta sgomberata la piazza e mentre duravano le prime formalità, il commissario era tornato sul Loggiato, cacciandosi in mezzo ai gruppi, mescolandosi alle conversazioni, cercando di cogliere di ogni frase e di ogni occhiata il significato riposto.

      Molti di quei letterati e di quegli editori avevano avuto rapporti col vecchio evangelista, che faceva soprattutto l’usuraio, prestando denaro a un tasso strozzinesco. E tutti costoro lo temevano e lo disprezzavano, sì da accogliere la notizia della sua morte violenta, senza rammarico e senza pietà.

      Per circa due ore, fino a quando vide scomparire il gruppo degli agenti e dei testimoni e dietro a essi il Questore, De Vincenzi rimase sul Loggiato. Poi scese nella piazzetta e si avvicinò al banco delle Bibbie.

      Il banco era piantonato da un agente, che aveva per compito d’impedire ai curiosi di avvicinarsi a esso e magari di asportarne i libri. Beniamino e Bertrando erano stati condotti a San Fedele e la merce sacra sarebbe rimasta incustodita.

      De Vincenzi si chinò a esaminare il terreno attorno al banco, specialmente dalla parte interna, di dove presumibilmente era stato introdotto il cadavere. Non sperava trovar orme di sorta, naturalmente, con tutti coloro che v’erano passati. Ma piuttosto qualche piccolo indizio impercettibile. Lui di solito non si curava degli indizi materiali e non ne teneva conto che nei casi comuni, nei fattacci di cronaca nera. Il solito giro del mestiere. Le gocce, che cadono sempre negli stessi buchi. Per i casi complessi, egli teneva soprattutto conto degli indizi psicologici, dei caratteri morali del delitto. Suo assioma era: il delitto è una derivazione della personalità. E si affidava anzitutto all’onda psichica.

      Poi entrava in gioco l’ambiente. L’influenza di esso sull’assassino e sulle azioni di lui. Così, per prima cosa, De Vincenzi cercava di assorbire l’ambiente. Per questo, da due ore girava sotto il loggiato e per la piazza. Ma questa volta aveva compreso subito che l’impresa era ardua. Il delitto appariva maledettamente misterioso, oltre che per la eccezionale personalità dell’ucciso, che era uno straniero, anche per il fatto che era stato commesso in circostanze e in luogo particolarmente strani. Così che lui si attaccava adesso agli eventuali indizi materiali, per avere un punto di partenza.

      Chi era quel Giobbe Tuama che aveva tutta la apparenza di un fanatico religioso e che poi prestava denari a usura, avendo una clientela di scrittori e di editori? Da dove veniva? Per scoprire l’assassino occorreva cercare nel suo presente o nel suo passato?

      In terra non trovò nulla. Alzò il tendone e poi la tela bianca, che fasciava i lati del banco. Il corpo era stato cacciato lì sotto e necessariamente l’assassino aveva dovuto fargli posto, spingendo verso l’esterno la cassa e i pacchi dei libri. A un tratto, De Vincenzi vide luccicar qualcosa tra gli interstizi di due lastroni. Si chinò e raccolse un pezzo di catenina di platino con una chiavetta attaccata al moschettone. Alcune maglie soltanto, quattro o cinque centimetri di lunghezza. Una catena da orologio. La chiavetta era di quelle, che servono solitamente per le serrature delle casseforti. Recava un numero e una cifra: M. 368.

      L’agente lo guardava. Lui si mise la catenina in tasca.

      — Ha trovato qualcosa, cavaliere?

      — La firma dell’assassino! – disse lui, sorridendo. In verità non annetteva molta importanza alla scoperta. Sapeva troppo bene come quel pezzetto di platino e quella chiave potessero essersi trovati lì, in terra, anche prima dell’assassinio.

      — Càcciati sotto, e guarda tra i libri, se ci fosse il sacchetto col denaro.

      Aveva assistito, se pure a una certa distanza, al profondo sdegno di Beniamino, quando si era accorto della scomparsa del «denaro del Signore» e si era meravigliato che il suo collega non avesse provveduto a far cercare il sacchetto sotto il banco.

      L’agente dovette cercar poco. Quasi subito si rialzò col sacchetto in mano, facendolo suonare.

      — Dov’era? – chiese De Vincenzi, prendendolo e avvolgendolo nel giornale che aveva in mano.

      — Là, in fondo… tra due pacchi di libri…

      Così, era da escludere che Giobbe Tuama fosse stato ucciso da un ladro volgare. Questo, del resto, De Vincenzi non lo aveva mai pensato. Un ladro, occasionale e volgare non si sarebbe preso la pena di nascondere il cadavere sotto il banco e di incrociargli le mani sul petto. Il commissario aveva veduto il corpo di Giobbe, quando era rimasto sul gradino ed era stato subito colpito dalla strana compostezza che aveva il cadavere. Poiché il disgraziato doveva essersi indubbiamente dibattuto sotto la stretta del suo assalitore, era evidente che questi si era poi preoccupato di ricomporne le membra, disponendolo in terra come sopra un letto di morte.

      Ma come aveva potuto operare con tanta tranquillità? Durante la notte la Fiera non era vigilata?

      De Vincenzi si allontanò dal banco, attorno a cui, richiamata dai suoi movimenti, la piccola folla dei curiosi s’era infittita e si diresse verso il Loggiato.

      Andò al banco centrale dell’Alleanza del Libro.

      Dentro l’anello centrale di esso – il banco formava come un pozzo, il pozzo forse dell’acume esemplare – si trovavano due leggiadre fanciulle e un signore dall’aspetto severo e lugubre, conscio certo della propria cerebrale importanza.

      De Vincenzi rifiutò con un sorriso l’offerta delle due giovanette, che gli porgevano i rotolini della pesca, e si rivolse all’uomo:

      — Com’era guardata la Fiera, durante la notte? Giacché immagino che dalla mezzanotte in poi i banchi sieno rimasti deserti…

      L’uomo corrugò la fronte.

      — Come dice? Che cosa c’entra questo? Chi è lei? Parlava con sussiego, scandendo le sillabe.

      Per tutta risposta, De Vincenzi trasse dalla tasca e gli mostrò la placca di cuoio da commissario di polizia.


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