Augusto De Angelis: Tutti i Romanzi. Augusto De Angelis

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Qual’è dunque il vostro vero nome mussulmano, Nikola Cripopoulo?

      — Altre parole! Che cosa debbo fare per voi, mister Domiziani? Il chiromancien, questo è quel che conta. E il chiromancien come si chiama? Nikola Cripopoulo. Questo ha da importarvi.

      Ve l’ho detto, che è un pazzo lucido! Ma non conviene disgustarlo o peggio ancòra metterlo in sospetto. Sarà sufficiente che io diffidi e che lo sorvegli. Nikola si accorgerà presto di quel che significhi essere nato all’Equatore! E battezzato da prete copto! Cambio tattica: ti metterò nel sacco, amico mio!

      — Ebbene, Nikola Cripopoulo, quando è che intendete cominciare a servirmi?

      — Subito, mister Domiziani. Ditemi che cosa debbo fare.

      Mi raccolgo. Adesso ti servo io!... Concentro sul mio volto i segni palesi di uno sforzo mentale intenso e ordinato. Dalle mie labbra contratte lascio uscire qualche vago suono inarticolato. Con le dita nervose tamburello sul tavolo di ferro. Nikola mi guarda, mi vede assorto e fa un segno al greco: un segno misterioso che ho osservato molto attentamente. Se tu credi di farmela! Infatti, il greco scompare. Metto la mano che tamburella nella tasca e palpo il freddo acciaio brunito della rivoltella. Il greco torna, recando un piatto sudicio con un pezzo di crema giallastra, gelatinosa e semovente.

      — Buona?

      — Extraordinaire! Authentique gélatine de lukùm.

      — Insh-Allah! – esclama l’ironico Nikola.

      La mia mano torna a tamburellare sul tavolo, mentre Nikola mangia quell’immonda miscela rappresa.

      — Dunque! – esclamo d’un tratto.

      — Ah!

      Nikola ha dato un balzo, il boccone gli è andato di traverso, tossisce, strabuzza gli occhi, annaspa con le mani nel vuoto. Gli picchio col pugno chiuso sul dorso.

      — Su, su! Non è nulla! Guardate in aria!... Respirate.

      Respira e singhiozza.

      — È passato, mister... ahm!... Domiziani.... ahm!

      — Su via, bevete e non respirate, il singhiozzo passerà. Contate fino a trenta.

      — Non importa. Grazie. È passato.

      E volgendo verso di me le pupille natanti nelle lacrime, Nikola mi lancia uno sguardo bieco.

      — Dunque, Nikola. Stanno per sbarcare ad Alessandria alcuni russi... molti russi... diciamo una diecina di russi. Essi vengono...

      — Per trattare col Governo egiziano l’acquisto di forti stocks di cotone. Il cotone governativo.

      — Come lo sapete?

      Involontariamente, mi sono alzato minaccioso.

      — Sta scritto su tutti i giornali, persino su The Egiptian Gazette.

      — Perchè dite: persino, Nikola Cripopoulo? I giornali inglesi sono i meglio informati del mondo.

      — Oh! non per questo. Ho detto «persino» perchè, conoscendo voi in modesta misura l’uso della lingua araba, non è dai giornali egiziani che avreste potuto apprendere la notizia.

      Torno a sedere: decisamente è di una bella forza, Nikola Cripopoulo!

      — Dunque, è necessario che voi, Nikola, assumiate informazioni sul conto di questi russi. Informazioni, s’intende, complete, esaurienti... delicate.

      Ho il mio piano. Lancerò Nikola contro i russi e lo osserverò. Non potrà non commettere qualche piccolo insignificante atto che lo tradisca. Così, otterrò il doppio scopo di leggere nel suo cervello di avere comunque qualche informazione sui russi. Questo non può compromettermi e non può fornire a lui alcun elemento contro di me.

      — Sta bene, mister Domiziani. Io predirò la Morte a questi russi e farò loro il grande e il piccolo giuoco. Vi terrò informato. Verrò io stesso da voi in albergo oppure vi telefonerò. Però, fate bene attenzione a questo particolare. Quando, uscendo dal Claridge, vedrete fermo sul marciapiede di fronte un venditore di arance di Giaffa, osservatelo. Se lui solleva la gamba destra, rientrate in albergo: qualche pericolo vi minaccia. Se alza la gamba sinistra, uscite pure, ma rientrate chez vous il più presto possibile: io sto per recarmi da voi.

      — Un venditore?

      — Di arance.

      — Di Giaffa?

      — Di Giaffa.

      — Sta bene, Nikola.

      — Che Allah vi protegga, mister, Domiziani, e vi salvi dagli effetti debilitanti del khamsìn, che, come non ignorate, è il vento caldo del deserto.

      Nikola si leva, mette in testa il suo cappello col nastro rosso listato di blu, e si allontana lentamente, per scomparire tra la folla, che col vespro ha invaso la via Alessandro Zamar.

      Io accendo la pipa e chiamo il greco.

      — Quanto vi debbo?

      — Due piastre e mezza.

      Gli do cinque piastre.

      — Tenete tutto e rispondetemi. Se mi risponderete, avrete altre cinque piastre.

      Il greco ammicca, mentre il suo volto verdastro si illumina di soave gioia. Lo fisso dirittamente, facendogli sentire la trafittura del mio sguardo. (I miei colleghi del Secrety Service hanno sempre fatto grande assegnamento sulla trafittura di uno sguardo diritto).

      — Ditemi e non mentite. Come si chiama quel signore... quell’uomo che si è allontanato adesso?

      — Parakalò?

      — Non meravigliatevi. Voglio sapere il vero autentico nome di quell’individuo che era con me.

      — Il nome?

      — Sì, il nome mussulmano, il suo vero nome. Sapete? Di quel signore che si è ingozzato con la gelatina di lukùm...

      — Ah! mussulmano...

      — Ebbene?

      — Ecco, signore, quel mussulmano appunto... quell’ottimo egiziano servitore di Allah... Io sono un greco delle isole, corfiota, signore. Io sono un greco scismatico...

      — Ah! ah!... Ditemi il nome di colui!

      — Ma certo, signore! – e tende la mano, nella quale io metto un’altra moneta da cinque piastre.

      — Quel mussulmano si chiama Nikola Cripopoulo. À votre service, monsieur.

      Quale forza umana mi ha trattenuto dallo strangolare questo greco scismatico? Nessuna forza; ma il pensiero dell’appuntamento datomi per mezzanotte dalla signora Franzyska, leggiadra donna dagli occhi verdi e dalle gambe diritte. E inoltre, perchè non dirlo?, l’avventura mi diverte e fin quando potrò eviterò di spargere sangue.

      R

      Indubbiamente gli uomini sono cattivi con le povere bestiole innocenti e non soltanto sgozzano i polli; impallinano gli augelletti e le lepri, scannano i cinghiali e gli stambecchi, e persino i domestici porci e i mansueti vitelli privi ancòra di corna; ma fanno morire per brutale malvagità le mosche, prese alla carta vischiosa che sa di ingannevole miele, e propinano ai topi pizze degne di Tomaso Griffiths Wainewright5 ed inceneriscono le formiche nei loro buchi e lanciano esalazioni mefitiche ed avvelenate, per uccidere le libere bestiole comunque ronzanti e frinenti.

      Io non difendo gli uomini dalla accusa di crudeli. Lo spettacolo della loro crudeltà è quotidiano. Nè sostengo che il regno della forza è quello della giustizia, dacchè non ho elementi sufficienti per dare un volto alla giustizia, che non conosco se non sotto la specie di due o più policeman, tanto che ho sempre evitato di avere a che fare con lei. Ma pur riconoscendo la cattiveria degli uomini, non posso questa notte


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