Augusto De Angelis: Tutti i Romanzi. Augusto De Angelis

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l’infermiera accorse.

      La signora giaceva ancora sul divano; ma s’era riavuta e guardava attorno a sé con occhi smarriti.

      De Vincenzi si ritrasse, per lasciare il posto alla giovane vestita di bianco, che avanzava lentamente, senza affrettarsi e soprattutto senza ansia. Si tenne diritta accanto al divano e si limitò a prendere il polso della signora.

      Anche lei era bella. Non c’erano che donne belle in quella casa!… Un innamorato della bellezza, un gagliardo amatore… Tutte le studentesse erano innamorate di lui…

      De Vincenzi osservava la sopravvenuta con interesse crescente.

      Non molto alta, era d’una bellezza assolutamente diversa da quella della donna, che giaceva sul divano. La signora Magni poteva dirsi il classico tipo della bellezza milanese, nobile, matronale, che s’impone subito, attraendo tutti gli sguardi. L’infermiera, invece, aveva i pomelli sporgenti, gli occhi profondi, la fronte convessa, le labbra procaci e sollevate superiormente. Il piccolo mento era segnato da una fossetta graziosa. Gli occhi, dalle pupille castane, dorate, come i capelli tagliati corti, avevano qualcosa d’ironico e di torbido. Il corpo piuttosto pieno, dalle linee morbide, si muoveva armonico, scoprendo a ogni movimento un accenno di curva, anche sotto il camice bianco, che la cintura stringeva alle anche.

      Dal volto, da tutta la persona di quella donna emanava qualcosa di voluttuosamente perverso, come un profumo acuto, che dava alla testa.

      Fissava la signora sul divano con freddezza quasi ironica.

      La signora si alzò a sedere sul divano.

      «È passato. Perdonatemi!».

      E subito aggiunse: «Può andare, signorina. Non è nulla. Torni pure di là».

      L’infermiera ebbe un sorriso e si voltò per andarsene. Ma guardò i due uomini che non conosceva e una ruga le si disegnò sulla fronte bianca, sotto l’aureola dei capelli soffici, che dovevano essere dolci al tatto come seta.

      Quando fu scomparsa, la signora continuò a guardare la porta per la quale era uscita. De Vincenzi andò a chiuderla.

      «È morto?» chiese la donna, fissando il Questore, dopo aver seguito il movimento del commissario.

      Il Questore tacque. Si sentì un singhiozzo, ma quando i due uomini si volsero verso di lei, non videro che un volto immobile, come impietrato, bianco di cera.

      «Lo hanno ucciso?».

      Finalmente, il Questore trovò le parole.

      «E una disgrazia irreparabile, signora. Un delitto efferato, che puniremo. Il povero senatore è stato ucciso con due colpi di rivoltella, a tradimento. Non è stato derubato… Una vendetta, forse…».

      La donna rimaneva immobile. Ascoltava.

      «Bisogna che lei trovi tutto il suo coraggio, signora, per sopportare l’atroce sciagura, che si è abbattuta su questa casa… E anche per aiutarci… nel nostro compito, che è grave e urgente… Forse, lei può fornirci qualche indizio prezioso…».

      «Sono a loro disposizione. Ma non credo…».

      S’interruppe. Di nuovo lo sguardo le lampeggiò fieramente.

      «No, non credo di poterli aiutare».

      Il Questore ebbe un gesto di rincrescimento. Si voltò verso De Vincenzi, che si teneva presso la porta, lontano.

      Il commissario De Vincenzi è stato incaricato da me dell’inchiesta. Egli deve rivolgerle qualche domanda…

      Deve perdonarci, se procediamo immediatamente a un tristissimo dovere, ma ogni istante perduto può essere irreparabile».

      De Vincenzi sembrava assorto e non si muoveva dalla porta. Il Questore fece un passo verso di lui ed egli si scosse.

      «Sì» disse e la sua voce risuonò stranamente forte e alta. «Il senatore Magni è stato trovato stamattina… nella bottega di un libraio… con due proiettili di rivoltella nel cranio…».

      Il Questore lo fissò sbalordito. Oh! Che gli prendeva a mostrarsi di colpo tanto inumano e così villanamente rude? A che scopo dar subito tutti quei particolari? E perché gridare a quel modo?

      Ma si sentì un tonfo, nell’anticamera e il commissario si volse rapido e spalancò la porta. Sul tappeto dell’anticamera, giaceva un corpo nero e bianco, sul quale si chinava la figura di una donna tutta bianca.

      «Ah!» fece il Questore.

      De Vincenzi uscì in fretta, richiudendo la porta dietro di sé.

      «Che c’è?» chiese con energia, chinandosi sulla cameriera, che giaceva a terra svenuta.

      L’infermiera si raddrizzò e, fissandolo, pronunziò con voce sarcastica: «Le domestiche hanno la cattiva abitudine di ascoltare alle porte!».

      L’accento della donna era straniero. «E svengono?» chiese il commissario, opponendo l’ironia al sarcasmo di lei.

      «Pare! Le italiane, almeno». «Lei non è italiana?». «No».

      Poi si chinò sulla cameriera, le sollevò il capo, le fece odorare i sali, la trasse in piedi.

      «Un capogiro, è vero? Norina… Sarà bene che andiate nella vostra camera. La signora farà a meno di voi…».

      La cameriera si diresse verso il fondo barcollando e De Vincenzi non la trattenne.

      Adesso, erano loro due nell’anticamera.

      Il commissario si volse all’infermiera: «Lei è sola di là?» e indicò la stanza chiara, che doveva essere il gabinetto di consultazione del professore.

      «Sì. Il dottor Verga non viene che alle undici».

      «Chi è il dottor Verga?».

      «L’assistente del professore».

      Vi fu una pausa.

      «Anche lei ha saputo che il senatore è stato ucciso?»

      «Come avrei fatto a saperlo?».

      Ma aveva impallidito. De Vincenzi le vide l’angoscia nello sguardo.

      «È stato ucciso?».

      «Purtroppo!».

      «È tremendo!» mormorò la ragazza e il suo accento straniero si fece ancor più sensibile.

      De Vincenzi capì sempre meglio che la lotta con quella lì sarebbe stata dura. Fingeva, dicendo di non saper nulla? Certo, fingeva. E vide che lanciava sguardi verso la porta per la quale se ne era andata Norina. Poi a quella del salotto. Se potessi leggere nel suo cervello, pensò il commissario, avrei la partita assai più facile. Anche lui guardò al salotto. Come dividersi? Non voleva che il Questore facesse parlare la signora Magni, senza di lui. Quell’altra pure aveva il suo segreto e come! E questa qui… Si decise.

      «Tra poco avrò bisogno di lei, signorina. Vuole avere la cortesia di attendermi di là?».

      La giovane chinò la testa e si diresse verso la stanza bianca, con quel suo passo molle eppure fermo. De Vincenzi tornò nel salotto. «E così?» chiese il Questore, più con lo sguardo che con le parole.

      De Vincenzi fece una smorfia. «Nulla. Dopo, se crede».

      E si volse alla signora, che sembrava non accorgersi più della presenza di quei due, assorta nei propri pensieri e in un dolore, che s’indovinava chiuso e cupo. Teneva gli occhi sbarrati nel vuoto e le labbra contratte, con tutto quel rosso acceso che le insanguinava, sembravano proprio una ferita aperta sul volto cereo.

      «Se la signora crede di poter rispondere a qualche mia domanda… Sarò brevissimo». La donna si scosse. «Dica pure».

      «A che ora ieri sera il senatore uscì di casa?». «Non pranzò a casa ieri sera. Ma credo che abbia lasciato


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