Augusto De Angelis: Tutti i Romanzi. Augusto De Angelis

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oramai, dopo trent’anni di mestiere, il senso umoristico della vita, anche davanti al macabro e al terribile, si svegliava istintivo e inconsapevole.

      «Vediamo il cadavere!» disse poi con un sospiro e il cappello gli scese ancor di più sulla nuca, formandogli raggera attorno al capo rotondo e al faccione pieno.

      «Per di qui, signor commissario».

      Maccari lo seguì.

      Il cadavere giaceva supino attraverso la porta, che si apriva dalla prima stanza del retrobottega nella seconda.

      Era un bellissimo uomo d’una quarantina d’anni. Un volto nobile, che la rigidezza della morte rendeva anche più fine e aristocratico. Indossava un soprabito chiaro di taglio perfetto. Aveva i guanti alle mani. La testa era nuda e Maccari guardò attorno per cercare il cappello e non lo vide. Vide, invece, una gran macchia scura di sangue, dietro la nuca del morto, che dava risalto al biondo argenteo dei capelli. «Ma come è morto?…».

      Forse un colpo di bastone o di martello sul cranio, pensò. Ma si chinò sul cadavere e vide un foro rotondo in una guancia. Un colpo di rivoltella, evidentemente. Ma quel foro non faceva sangue: da lì doveva essere uscito il proiettile se mai. «È il padrone del negozio?».

      «L’altro dice di no» rispose il vigile. «Il padrone è vecchio e basso».

      «Portatemi qui quello che sta di là. Chi è, un commesso?», «È l’impiegato della libreria…».

      «E stato lui che ha trovato il morto?». «Lui mi ha chiamato. Deve aver avuto un gran spavento!».

      Pietrosanto arrivò. Teneva sempre il cappello in testa ed era pallido.

      «Guardatelo un po’, se lo conoscete».

      Gualmo inghiottì la saliva, per esclamare: «Ma come ha fatto a entrar qui dentro?».

      Si sarebbe detto che tutto il mistero per lui fosse quello.

      «Lo conoscete?».

      «No… Sì… Di vista lo conosco…».

      «Ma sapete chi è?».

      «Dovrei saperlo… credo di saperlo… Ma non ricordo!… Adesso, non riesco a ricordarmi!… Certo, l’ho veduto altre volte. Forse, lo conosco anche per avergli parlato».

      «Un cliente?».

      «No! Non mi pare che sia venuto mai in negozio».

      Maccari si chinò sul morto e gli sbottonò il soprabito e la giacca. Gli prese dalla tasca del petto il portafogli. Lo aprì e trovò quasi subito qualche tessera e biglietti di visita. Lesse il nome. Confrontò la fotografia della tessera col cadavere e mandò un leggero zufolamento.

      «Per Sant’Ambrogio!».

      «Chi è?» chiese Pietrosanto.

      «Il senatore Magni».

      «Ah! Sapevo io di conoscerlo!».

      Il commissario tirò indietro i due.

      «Venite con me. C’è un telefono?».

      Pietrosanto glielo indicò.

      E dopo una ventina di minuti, il brigadiere Cruni usciva da San Fedele per recarsi a svegliare il commissario De Vincenzi, che s’era concessa una sola ora di riposo.

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      Le prime indagini

      Maccari s’era seduto nel negozio, accanto al bancone, e, stesa la mano, aveva preso un libro a caso e se l’era messo a leggere.

      Il vigile se n’era andato. Pietrosanto, seduto al tavolo, pensava al modo con cui quel cadavere poteva essere entrato nella libreria, mentre faceva passare le schede del catalogo, senza arrivare a leggervi neppure un nome.

      Dopo mezz’ora d’immobilità contro una scansia, Giovanni si scosse, andò in un angolo, dietro lo sportello della vetrina, e prese una scopa.

      «Che fai?» chiese Maccari, alzando gli occhi dal libro.

      «Pulizia!…».

      «Un corno!».

      «Come?».

      «Dico: un corno! Non lo sai che a scopare distruggi gli indizi?».

      Giovanni non capì, ma tornò a posare la scopa dove l’aveva presa e poi si tirò su il pantalone per grattarsi una gamba.

      Maccari se ne infischiava degli indizi. E non soltanto perché sapeva che ormai quel «delitto» glielo avrebbero tolto, giacché la personalità del morto era tale da far sì che se ne dovesse occupare, e come, la «Centrale»; ma anche perché proprio non l’interessava. Lui era della vecchia scuola. E oramai ne aveva abbastanza. Dopo trent’anni di quella vita, non si sarebbe certo messo con la lente a guardar per terra i granellini di polvere e le orme… Queste, però, non erano ragioni, per non far trovare tutto in ordine al suo collega della Squadra Mobile.

      Si rimise a leggere. Erano i Promessi Sposi, un’edizione critica con tutti i raffronti e tante illustrazioni. E lui ci si divertiva. Provava un vero godimento. Sì, forse lo aveva già letto. Ma adesso gli appariva nuovo e sorprendente. Aveva aperto il capitolo dei monatti. Che orrore! Quanti cadaveri! Anche di là c’era un morto. Ma non di peste, grazie a Dio!

      «Scendeva dalla soglia di uno di quegli usci…».

      Entrò il Questore, seguito da De Vincenzi e da Cruni e il commissario saltò in piedi. Con una mano si tolse il cappello, con l’altra continuò a tenere il libro, mettendo un dito tra le pagine, per conservare il segno, a quel modo che molti anni prima di lui aveva fatto don Abbondio, poco prima di scontrarsi coi bravi.

      «Buongiorno, commendatore!».

      Il Questore gli fece un cordiale cenno di saluto.

      «Mi racconti, Maccari…».

      De Vincenzi gli si teneva dietro e guardava Pietrosanto, che s’era alzato anche lui.

      «Ecco, commendatore… Di là c’è il cadavere… Questo è il portafogli…».

      «Lei chi è?» interruppe il Questore, voltandosi di scatto verso Pietrosanto.

      «L’impiegato della libreria…».

      «Il direttore?».

      «Se vuole. Ma sono io solo».

      «E il padrone?».

      «Il signor Chirico? Vuole che gli telefoni?».

      «Dopo. Mi racconti lei, intanto».

      «Oh!… Che vuole che le racconti? Un’ora fa… alle otto, apro il negozio…».

      «Lo apre sempre lei?».

      «Mai!» esclamò Gualmo quasi con indignazione. «E la prima volta… Anche mia moglie non voleva che venissi troppo presto! Aveva ragione!».

      «E lei, perché è venuto troppo presto, come dice, proprio questa mattina?».

      «Eh?» fece Pietrosanto, sbarrando gli occhi.

      «Le domando perché lei è venuto troppo presto, proprio questa mattina» ripeté il Questore.

      «Perché?… Perché?…».

      Era turbato. Balbettava. Poi ebbe uno sfogo: «Perché sono disgraziato! Perché, se cade una tegola da un tetto, viene in testa a me! Che ne so io, perché proprio stamattina mi sono svegliato di buon’ora e sono venuto qui? Il destino!».

      C’era tanta sincera disperazione in quelle parole e nello stesso tempo tanta comicità, che il Questore e De Vincenzi sorrisero.

      «Bene. E che cosa ha trovato?».


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