Augusto De Angelis: Tutti i Romanzi. Augusto De Angelis

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Vincenzi gli fece un cenno cordiale, con la mano.

      «Non importa!» mormorò, andando diritto nella sua stanza».

      «Vuoi che ti dica?» gli chiese Sani, seguendolo sull’uscio.

      «Aspetta!».

      E prese il ricevitore del telefono.

      «Qualcuno ha chiamato?».

      «Come, dottore? Ho già chiamato quattro o cinque volte la Squadra Mobile, stamattina…».

      «Tu sei lo stesso telefonista che c’era alle sette?».

      «Sì, cavaliere…».

      «Allora, quella voce di donna… ricordi?».

      «Sì, dottore. Non s’è fatta più viva».

      «Bene. Se dovesse telefonare ancora, chiama sempre la Squadra, veh!».

      «Sta bene, cavaliere».

      De Vincenzi si volse a Sani, che gli si era seduto di fronte.

      «Stamattina alle sette una voce femminile ha chiamato la Questura e ha chiesto con agitazione di parlare a un commissario… Il telefonista l’ha messa in comunicazione con me… A quell’ora, sai… sono l’unico sveglio qui dentro… Io ho risposto subito, ma non ho sentito nulla… Era scomparsa… Capisci?».

      «Capisco…».

      «Se mai telefonasse quando sono assente, prendi nota di quel che vuole e informami. M’interessa».

      «T’interessa, perché è una donna?».

      Il commissario alzò le spalle.

      «Curiosità, null’altro. Bene. Adesso, parla tu e parla in fretta, giacché immagino che il Questore mi stia aspettando».

      «Sì» fece Sani. «È presto detto. Conoscevi il professore Magni?».

      «Il chirurgo?».

      «Sì, il chirurgo».

      «È lui il morto?».

      «Già. Due palle di rivoltella nella nuca».

      «In una libreria?!» esclamò De Vincenzi. «Oh! E che ci faceva in una libreria di notte?».

      «Questo è uno dei punti misteriosi. Ma non è il solo. Appena scoperto il cadavere, un’ora fa, il Questore, data la personalità del morto… Tu sai che Magni era senatore, presidente di non so quante Opere di beneficenza, credo sia stato anche Ministro dell’Istruzione molti anni fa… quando i Ministri duravano tre mesi a dir molto…».

      «Lo so, va’ avanti».

      «Dunque, il Questore ha voluto telefonare personalmente alla famiglia. Ebbene la moglie, appena il Questore ha cominciato a parlare, lo ha interrotto dicendogli: «Vuole mio marito? Dorme ancora, ma posso destarlo». Allora, il commendatore ha chiesto: «È sicura che suo marito si trovi in camera sua?». «Ma certo» ha risposto la signora. «Dove vuole che sia?». «Ieri sera non è uscito?». «Sì, è uscito. Ma è tornato a mezzanotte». «Come lo sa che è tornato?». «Ma lei, perché mi fa tutte queste domande?» ha chiesto quella povera donna, cominciando ad allarmarsi. «Lo so, perché quando è rientrato, è venuto a salutarmi in camera come fa sempre». Allora il Questore ha capito che darle la notizia per telefono sarebbe stato troppo brutale e le ha detto di non chiamare il marito, che non importava. Adesso, aspetta te e poi certo andrà lui stesso a casa Magni».

      «Strano!» mormorò De Vincenzi e dopo una pausa: «Preferirei andarvi io…».

      Fissava Sani. Si alzò, ma rimase in piedi davanti alla scrivania. Mosse alcune carte. Gli caddero gli occhi sopra la busta bianca e il foglio, che qualche ora prima aveva esaminati e sussultò.

      Corse all’armadio, lo aprì, ne trasse il camice bianco e i ferri chirurgici. Tornò e li mise sul tavolo. «Sono i ferri di Magni!» disse. Sani lo guardava stupito. «Chi te li ha dati?».

      «Forse, l’assassino stesso. O, forse, non l’assassino, ma qualcuno che mi aiuterà a trovare l’assassino… Adesso vado su dal Questore… Tu lascia quei ferri sul mio tavolo e non fare entrar nessuno qui dentro, nella mia assenza…».

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      Il Questore accolse il commissario in piedi in mezzo alla camera. Piccolo, grassottello, tutto curato nella persona, dai capelli grigi divisi sul cranio e lucidi di pomata alle scarpe di copale brillanti come specchi, lo si sarebbe detto un placido commerciante in articoli per signora, se non avesse avuto due occhi piccini in mezzo alla grascia, ma così vivi e azzurri e penetranti da dar l’impressione che forassero.

      «Ah! Bravo. Un poco in ritardo; ma sempre a tempo. Stamane alle otto, hanno trovato il cadavere del senatore Magni in una libreria di via Corridoni. Un omicidio. Ma non un omicidio volgare. Non un delitto di teppa. Il morto aveva su di sé portafogli, denaro, orologio, anelli, spilla di brillanti, tutto. La cosa è gravissima. Stasera, appena ne avranno parlato i giornali, avremo tutta la curiosità pubblica accesa attorno a noi. Vada lei. Le do carta bianca. Questa è la volta in cui si decide non soltanto la sua posizione; ma tutta la sua carriera. Siamo intesi?».

      «Sì, signore» rispose De Vincenzi, cercando di sopportare lo sguardo di quegli occhi traforanti. «Io vado. Ma posso chiederle di attendere il mio ritorno, per recarsi in casa Magni? Vorrei esserci anch’io, fin dal principio…».

      «Sta bene. Magni abita in viale Bianca Maria…».

      «Non lo so…».

      «Lo so io. E via Corridoni…».

      «Comincia dal viale Bianca Maria, per finire in via Cesare Battisti…».

      «Già. Allora, mi aspetti. Verrò con lei a fare il primo sopralluogo, poi andremo assieme in casa del senatore… del fu senatore…».

      S’infilò il soprabito, tolse dall’occhiello il garofano che c’era sempre, lo mise in un bicchier d’acqua, s’infilò i guanti.

      «Le dispiace d’avermi con sé?».

      «Onore…» mormorò il commissario.

      «Onore… ma non piacere! Stia sereno. Non le darò fastidio. Guarderò soltanto. È lei che deve lavorare».

      E s’avviò giù per le scale.

      De Vincenzi lo seguiva, pensando tra sé: «Purché quella donna torni a telefonare!».

      E neppur lui sapeva, perché pensasse a quell’ignota voce di donna, che non aveva sentita.

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      Gualtiero Gerolamo Pietrosanto

      Quella mattina, Gualtiero Gerolamo Pietrosanto era uscito di casa sua a Loreto, ch’eran le sette e mezzo.

      Le sette e mezzo era davvero troppo presto per Gualtiero Gerolamo Pietrosanto e la moglie lo scrutò con apprensione: «Ti senti male, Gualmo?».

      Gualmo — abbreviazione affettuosa dei due nomi troppo lunghi — si sentiva benissimo e fissò la consorte coi suoi dolci occhi di cane intelligente e fedele: «Ma no, Rita!».

      «Hai qualche preoccupazione, Gualmo mio?».

      Neppure. O per lo meno non più degli altri giorni. Aveva preso il caffè, aveva le due lire per le sigarette quotidiane, altre due per gli imprevisti, a casa c’era da mangiare; no, decisamente non aveva preoccupazioni.

      «Ma allora… allora, arriverai al negozio alle otto!» esclamò la donna, quasi con raccapriccio.

      «Che vuoi?» sorrise il marito, infilandosi il pastrano nuovo di quell’anno. «Una volta almeno!».

      E la baciò sulle gote.

      «Bene!


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