Augusto De Angelis: Tutti i Romanzi. Augusto De Angelis

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più grande mistero che il prigioniero è il presunto assassino di Magni… Più gente lo saprà e meglio è…».

      «Ho capito, dottore…» e uscì in fretta.

      «E adesso a noi, Sani… Bisogna che tu vada da Harrington…».

      «Nella sua Agenzia!?…».

      «Eh! Già, proprio nella sua Agenzia e devi trattarlo col massimo riguardo. Digli pure che io stanotte ero stanco… nervoso… Digli quel che vuoi, che il lavoro mi ha esaurito… e che non ho più la testa a posto. Insomma, cerca di dargli la sicurezza che noi abbiamo bevuto la sua storia e che il giudice ha mandato il Ravizzani a San Vittore, come autore del duplice assassinio…».

      «Tu credi che Harrington?…».

      «Harrington non sa nulla. Forse, è persino in buona fede. Ma è indispensabile che il suo cliente ritenga chiusa l’istruttoria o quasi… Hai capito?».

      «Ho capito. Ma il cliente chi è?».

      «Eh! Se lo sapessi!… Che vuoi, tu?».

      Sulla porta era comparso il piantone.

      «C’è una signora che chiede di parlare con lei, signor commissario».

      «Com’è? Giovane? Bionda?».

      «No, cavaliere. E grande, bruna… Molto bella, ma bianca in volto come fosse di cera… E vestita a lutto…».

      De Vincenzi trasalì.

      «Falla entrare subito».

      Il piantone scomparve.

      «E la vedova del senatore! Oh! Perché mai s’è indotta a venir qui?…».

      Sani andò incontro alla visitatrice, l’introdusse nella camera del commissario e chiuse la porta dietro di lei.

      De Vincenzi, in piedi, l’attendeva coi segni del più profondo rispetto.

      La signora Magni aveva rialzato sul volto bellissimo il pesante velo vedovile e avanzava lentamente, con un pallido sorriso sulle labbra laccate di rosso. Aveva sempre quella sua aria da gran signora, quell’incedere matronale e aristocratico; ma c’era in lei, negli occhi soprattutto, alcunché di turbato e di turbevole, come se un sentimento nuovo e ambiguo la tenesse, un sentimento di cui ella stessa non sapesse valutare la portata.

      «Sono venuta io, per non farla disturbare a recarsi lei da me…».

      De Vincenzi le porgeva una seggiola. Sedette. Si accomodò il velo dietro le spalle, si appoggiò allo schienale, con un movimento di stanco abbandono. Ma si vinse subito ed eresse il corpo.

      «Sarei venuto io da lei, signora, anche nei giorni scorsi, se non avessi temuto di risvegliare con la mia presenza un dolore tanto più profondo quanto inasprito dalle circostanze. E poi… purtroppo non potevo ancora dirle nulla di nuovo e di sicuro, sulla morte del suo povero marito…».

      «Ancora nulla?» mormorò lei, con un accento, che voleva essere di tristezza, ma che era soprattutto di delusione. «Lo immaginavo».

      «Eppure, troveremo, signora!».

      De Vincenzi era andato a sedersi al suo tavolo e non perdeva uno solo dei movimenti del volto di lei, pur facendo mostra di occuparsi delle carte, che aveva dinanzi.

      «Lei è scettica circa l’opera della Questura…».

      «Ma no… Anche loro fanno quel che possono… Ma la morte di quella povera ragazza… quella cosa orribile e mostruosa… ha finito per darmi il colpo di grazia… Creda che vivo in un vero terrore!… Chi può essere ad accanirsi con tanta ferocia contro di noi?! Una povera figliola innocente!… Ma perché?… Perché?…».

      Era profondamente commossa.

      «Sì, è stato atroce!… Ma vendicheremo suo marito e vendicheremo Norina!… Lei può supporre quale scopo abbia mosso l’assassino, nel sopprimere la sua cameriera?».

      «Io? E come potrei supporlo? Non so vedere…».

      «Ci sarebbe da credere» lasciò cadere il commissario con voluta indifferenza «che il povero senatore fosso stato ucciso, perché possessore d’un segreto… e che tale segreto egli avesse confidato a Norina…».

      «Ma che dice? Una cameriera!…».

      C’era tanto sdegnoso disprezzo in quelle parole, che De Vincenzi comprese come il solo orgoglio avesse potuto dare a quella donna la forza di fingere per tanto tempo una felicità coniugale, che non esisteva.

      «E follia, la sua!».

      «Lo ammetto. Infatti, non ho mai dato alcun peso a una simile ipotesi… Le ragioni dell’uccisione di suo marito sono altre!… Ah! Se lei avesse potuto aiutarci, dicendoci quali erano le abitudini del senatore… le persone, che frequentava… le relazioni che aveva…».

      Colpo secco del capo all’indietro, sfavillar di pupille diamantine, voce di ghiaccio: «Le ignoro! Le ho sempre ignorate!».

      «Naturalmente…».

      Il commissario giocava con un tagliacarte d’avorio, tutto macchiato d’inchiostro. Aveva assunto un’aria da buon fanciullo, mortificato e quasi trepidante.

      «Stamane, il giudice istruttore ha firmato un mandato d’arresto…».

      La signora si volse. Ansava leggermente. Le si vedeva il petto sollevarsi sotto l’abito di crespo sottile.

      «Chi?… Chi hanno arrestato?…».

      «Un losco figuro, signora… Un uomo capace di tutto… C’è un testimonio, che afferma di aver ricevuto da lui la confessione dei due delitti… E sembra sia stato visto nascondere il cappello di suo marito e il soprabito della ragazza…».

      «Ma allora!… E chi è costui? Perché ha compiuto il delitto?».

      «Gliel’ho detto: un delinquente comune… Un ladro… Fino a oggi non aveva mai assassinato; tuttavia si trovano in lui istinti abbastanza sanguinari…».

      «Ma se mio marito non è stato derubato?».

      «Infatti!…».

      La signora ricadde in una specie di atonia, distaccata e lontana. Soltanto per un istante aveva vibrato. Era chiaro che non credeva che suo marito fosse stato ucciso a quel modo, da un delinquente comune, più di quanto non lo credesse De Vincenzi.

      «E debbo confessarle anche, che a trovare questo uomo… non è stata la Polizia… non siamo stati noi…».

      «E chi, allora?».

      «Così, il suo scetticismo a nostro riguardo aumenterà, signora…» continuò con un sorriso. «È stato un detective privato… un certo Harrington…».

      «Ah!».

      Aveva abbassato gli occhi. Sembrava imbarazzata.

      «Lo conosce?».

      «Ha l’Agenzia in via Dante…».

      «Precisamente!».

      Seguì un silenzio.

      «Ha avuto occasione d’incontrarlo? Non è un catti vo uomo ed abile nel suo mestiere lo è di certo. Naturalmente, si muove soltanto se pagato e io mi domando chi lo abbia pagato, questa volta. Lui non ha voluto dirmelo».

      La signora arrossì leggermente. Appena un’ombra rosata sulle guance d’avorio.

      «Io sono andata da lui… Me ne avevano parlato come d’un uomo molto abile… Gli ho dato l’incarico di cercar l’assassino e, poiché temevo che questo potesse dispiacere al Questore e a lei, gli ho messo come condizione di non dir mai da chi lo avesse ricevuto…».

      «Già!».

      Questa volta De Vincenzi dovette fare uno sforzo davvero violento, per non mostrare


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