Olocausto. Alfredo Oriani

Olocausto - Alfredo Oriani


Скачать книгу

      —Osservate,—proseguiva l'altra con più seduttrice intenzione, volendo farla ridere ad ogni costo,—non vi sono molte donne a Firenze di un biondo dorato come questa costoletta e queste patate, ma nelle donne a me il biondo non piace. Meglio i vostri capelli castani così graziosamente arruffati,—e glieli accarezzò colla mano corta e pesante.

      —Via, bisogna spicciarsi coi maccheroni!

      —Tina, Tina, mangiate, e anche voi, signora Adelaide; io proprio non ho fame, piuttosto, se permettete, assaggerò il vino.

      Ma a Tina i bocconi non andavano giù: quindi finì per immergere qualche crosta di pane nel vino, mentre le altre due divoravano. Anche la mamma pareva affamata, e la sua faccia melanconica si veniva rischiarando, sebbene dalla tristezza della figlia salisse sempre verso di lei una certa inquietudine.

      —Che volete?—diceva la signora Veronica, la quale aveva già finito la propria parte di maccheroni e guardava con lunghe occhiate la costoletta:—io, da giovane, ho avuto sempre un debole per le cene a notte tarda, magari fuori di casa. Mi pare che così si chiuda meglio la giornata: poi si cena sempre con qualche giovanotto allegro, si ride, si dimentica. Se al mondo non ci scordassimo le disgrazie, si dovrebbe morire presto. Quando si cena in compagnia,—e spiava di sottecchi Tina,—è un caso che qualcuno non ci piaccia più degli altri, ma bisogna essere giovane come voi, ragazza mia, per potersi divertire. Ecco, taglierò la costoletta in tre parti, ne mangerete una anche voi, Tina.

      Questa fece un gesto di rifiuto, e l'altra chinandosele con una finta carezza all'orecchio sussurrò:

      —Avete male?

      La fanciulla trasalì e rispose quasi violentemente:

      —No.

      Successe un silenzio.

      La mamma, non osando parlare, accettò dalla signora Veronica la propria parte di costoletta; nel piatto ne rimaneva ancora un pezzo con alcune patate per Tina, ma questa ascoltava nuovamente il pianto della bimba, che il dolore all'orecchio aveva destato. Pareva un cagnino che uggiolasse, e il suo lamento era così monotono che non vi si intendeva alcun appello. Soffriva indarno, abbandonata. Tina ci pensava con un senso quasi di rancore crudele, mentre poco prima il suo cuore se n'era commosso sino a piangere dentro di tenerezza. A che pro? Nella vita v'è sempre qualcuno che nasce non si sa perchè, solamente per soffrire i capricci degli altri, che lo allevano anch'essi senza motivo, perchè questo è l'istinto. Bettina aveva pianto sino dal primo giorno; quindi la madre vi si era abituata e, senza essere peggiore delle altre, non aveva per lei che i riguardi, coi quali si trattano i cani ammalati: una certa condiscendenza soccorrevole, che fa piacere a chi l'esercita come una prova della propria bontà. Null'altro: se il cane guarisce, il trattamento ridiviene quello di prima. Tina non si ricordava di essere mai stata ammalata, sebbene non avesse mai avuto troppa vivacità, e adesso le pareva di non sentire da moltissimo tempo il bisogno di mangiare. A che cosa serviva dunque comprare una simile cena, quando non si riusciva a mandarla giù? Invece le altre due avevano fame: ella le guardava senza dispetto e senza invidia, quasi con una pietà, che non avrebbe saputo spiegarsi, nel vederle così incapaci di comprendere la sua angoscia di quel momento. Anch'ella era sola come Bettina, quantunque non guaisse, non piangesse; ma invece aveva un gran freddo sotto la sottana, mentre quel piccolo dolore alla mammella si faceva sempre più sottile come se un ago ne forasse tratto tratto il tenero bocciolo.

      —Mangia dunque quest'ultimo pezzo di costoletta, altrimenti ti riprenderà il male di stomaco,—disse la mamma.

      —La mamma ha ragione, cara mia: bisogna mangiare, altrimenti le cose si veggono anche più in nero. Vedete, quando io ho mangiato, e adesso non avevo fame, considero le mie circostanze sotto un altro punto di vista: mi pare che qualche cosa verrà ad aiutarmi.

      —Che cosa vi aspettate?—chiese la ragazza.

      —Non lo so, non sono come voi, che potete ancora sperare tutto. Voi siete bella.

      —Ah! questo poi sì,—esclamò la mamma.

      —Alla vostra età non si ha che a volere. Io e la signora Adelaide non siamo più donne… mi scusate eh! signora Adelaide, mi è sfuggita. Quando si è giovane invece, e per giunta si è bella, gli uomini diventano matti per noi, si può fare qualunque fortuna. Un po' di testa, ecco il necessario, e si arriva dove si vuole. Allegri, Tina!

      Questa non potè difendersi da un sorriso.

      —Così voglio vedervi.

      La madre ne profittò per spingerle davanti il piatto, ma la ragazza lo passò alla signora Veronica e prese un arancio.

      —Badate,—osservò questa,—forse non sapete il proverbio siciliano: gli aranci al mattino sono di oro, a mezzogiorno di argento, la notte di piombo. Siccome avete lo stomaco quasi vuoto, potrebbe riuscirvi indigesto.

      —Lo sbuccio soltanto.

      —Siete anche voi di quelle che si divertono a masticare la buccia?

      Fuori un orologio suonò le undici.

      —È tardi, ma ci siamo fatte buona compagnia.

      —Restate, restate,—ribattè Tina:—non ho sonno. Tu, mamma, se vuoi, va a dormire.

      —Figurati: aspetterò quanto vorrai.

      —Che cosa ci diremo dunque?—interrogò con un risolino la signora

       Veronica, finendo di vuotare il bicchiere.

      Anche la boccia era oramai vuota.

      Questa domanda parve cadere pesantemente sulla tavola: allora Tina si alzò dirigendosi al buio verso la camera della piccina, nella quale sapeva che un lucignolo bruciava sempre.

      Le due donne rimaste sole si guardarono: la signora Veronica aspettava una confidenza, e siccome l'altra taceva, disse:

      —Tina non soffre affatto, l'ho notato subito, ma bisogna farla mangiare.

      L'altra esitava:

      —Domani mangerà, quando le sarà passata la prima impressione, perchè non le è accaduto nulla. Quel signore non le ha dato che un bacio e se n'è andato subito.

      —Oh! davvero? Era giovane?

      —Sì, forse nemmeno venticinque anni.

      —Ecco perchè è impossibile: i vecchi invece…

      Si vedeva che avrebbe voluto chiedere altri particolari, ma sapendo che o prima o poi non le sarebbero mancati, aspettava.

      —Bene, bene, adesso se avessimo del fuoco, io ho in casa un poco di zucchero, bisognerebbe farle un punch caldo con l'arancio per rimetterla in sesto: il punch dolce di alchermes è eccellente.

      —Non c'è fuoco.

      —Un vero peccato.

      Non si udiva più la piccina piangere.

      —Ella l'ha calmata, sono due bimbe che s'intendono,—disse con un sorriso la signora Veronica:—non avete più sete, signora Adelaide? bevete: a che pro lasciare l'ultimo gocciolo nella bottiglia? Tanto domani ne comprerete ancora, non è vero?

      —Domani certamente, ma e dopo?—aggiunse smozzando la voce.

      —La fortuna va presa donde viene e come viene: ecco Tina che ritorna.

      La signora Veronica guardandola camminare credette di riconoscere la verità di quanto la signora Adelaide le aveva detto, e se ne sentì dentro tutta commossa. Possibile che esistessero, ancora uomini simili! Sono fortune incredibili, proprio da festeggiare con una cena: dopo bisogna rassegnarsi a passare sulla strada comune, dove passano tutte, lasciandovi quello che si ha di meglio, la bellezza, e finalmente la pelle.

      —Assaggiate l'alchermes, Tina, vi spremeremo dentro un po' di arancio e vi farà bene.

      —Come volete.

      —Bettina?

      —Si


Скачать книгу