Olocausto. Alfredo Oriani
* *
Sul pagliericcio accanto alla mamma Tina invece non dormiva.
Siccome la griglia era rimasta aperta, la luce della notte diventava più serena, entrava pei vetri a rischiarare la camera. Sul letto non avevano che una vecchia coperta imbottita, dalla quale nel giorno si vedevano uscire per gli strappi i ciuffi biancastri della lana, ma in quella stagione, già mite, era più che sufficiente. Anzi Tina, cacciandovisi sotto, ne aveva provato sulle prime una inconsueta oppressione.
Poi la madre aveva insistito per sapere che cosa desiderasse l'indomani, perchè di quei quattro scudi le rimanevano ancora diciassette lire, una somma relativamente enorme nella loro abituale miseria; ma la ragazza non aveva più voglie.
Il suo spirito era rimasto come sconnesso dalla violenza di quella scena senza che dal cuore le si alzasse alcuna voce di rimprovero contro la mamma, giacchè tutte e due si amavano ancora con la tenacità così frequente nelle vite povere, che condensano in uno solo tutti gli affetti. La fanciulla infatti non si ricordava quasi più i giorni lontani, dai quali lo stormo delle speranze aveva potuto involarsi gaiamente pel cielo, ma dopo era sempre stato presso a poco così, una caccia ostinata ed infelice ai pochi soldi della loro esistenza quotidiana, discendendo nella miseria come dentro ad un pozzo oscuro, nel fondo del quale un'acqua morta rifletteva le loro due figure.
Improvvisamente la mamma si volse: con ambo le mani le prese il collo e la baciò silenziosamente.
—La tua mamma! Le vuoi bene, Tina, non è vero?
L'altra rispose con un bacio.
—Non era per me, non era per me: seguitava con voce piagnucolosa, ma non posso più vederti così. Poi vedi che ho ragione; ci sono degli uomini generosi, che s'innamorano davvero e diventano capaci di qualunque sacrificio per una donna. L'essenziale è di uscire da questa miseria, che toglie ad una donna qualunque valore, perchè, te l'ho detto cento volte, gli uomini vogliono potersi vantare della loro amante. Sono tutti vanitosi, anche quando amano: sciaguratamente quel signore non è ricco.
—Come lo sai?
—Me ne sono accorta subito alle maniere, a quel certo non so che dei veri signori. Ma egli è giovane, dev'essere buono, tornerà.
—Tornerà!
—Ti piace? È brutto, me lo hai già detto.
—Sì, sì, brutto.
L'altra tacque, poi stringendosele ancora più addosso ripigliò:
—Hai ragione. Però, Tina mia, un uomo non è mai come ci pare la prima volta: bisogna conoscerlo, e poi mutiamo anche noi a suo riguardo. Egli è brutto, ne convengo. Lo hai guardato nella faccia quando ti ha dato i quattro scudi e ti ha detto: vado via, fammi lume subito perchè potrei pentirmi?
—No.
—Io ho sentito che la sua voce tremava: ero coll'orecchio incollato all'uscio.
Tina fu scossa da un brivido.
—Ho paura, ho paura.
—Sì, figliuola mia, come sarebbe diversamente? Ma tornerà, a quest'ora è già innamorato di te, altrimenti non avrebbe potuto agire così. Pochi, sai, Tina mia, ben pochi avrebbero saputo resistere alla tentazione con te: ci vuole un po' di cuore per questo.
—Ma se mi vedeva la prima volta!
—Non importa, è così. Peccato che egli non sia ricco.
Dopo una pausa la ragazza disse improvvisamente:
—La signora Veronica ti ha mangiato tutto.
—Sì, è il suo solito: lo sai che è golosa.
—Ma essa mangia tutti i giorni: ne sa cavare dei danari, non è come noi.
—Hai ragione,—l'altra rispose tristamente:—e tu hai fame? Come ti senti?
—Sto meglio.
—Cerca di dormire.
—Sì, anche tu.
Si baciarono: poi la mamma le chiese ancora, prima di voltarsi sull'altro fianco:
—Mi vuoi bene?
—Oh mamma!
* * *
Ma un'ora dopo Tina piangeva silenziosamente col volto dietro la schiena della mamma addormentata.
Senza intendere bene il perchè, la fanciulla si sentiva vinta da una profonda pietà di se stessa. Le sembrava quasi che la vita si distaccasse dalla sua anima come qualche cosa, che non le apparteneva più e che un altro poteva prendere fra le mani con la indifferente crudeltà dei fanciulli, quando nella effervescenza di un capriccio smembrano un piccolo animale.
E anch'essa era così, perduta in un pericolo mortale, con un freddo di febbre nelle carni, che la faceva tremare di paura, pur sapendo di essere amata dalla mamma con una tenerezza, della quale non aveva mai dubitato. Ma le condizioni della vita non avevano mai permesso loro di potere come tante altre donne abbandonarsi alla negligente sicurezza che l'indomani sarebbe come l'oggi; invece ogni mattina ricominciava il medesimo problema con la necessità di mangiare, di vestirsi, di avere le scarpe, e il terrore di ammalarsi sprovviste di tutto come in quell'ultimo inverno, quando la mamma era rimasta a letto quasi due mesi. Era stata un'agonia lenta, muta: le notti diventavano più lunghe, i giorni non finivano più. Avevano dovuto a poco a poco vendere quasi tutto, rimanendo senza materassi, senza lenzuoli, quasi senza camicia: ella non ne aveva che due così rappezzate che si vergognava d'indossarle: ecco perchè quella sera non aveva indosso che un corsetto della mamma; ma le scarpe non le permettevano quasi più di uscire.
Mentre piangeva così raggomitolata sotto le coperte, non si ricordava più distintamente di nulla: era soltanto una tristezza simile a quella che debbono provare i prigionieri a certe ore, quando ripensano che non usciranno mai di carcere o che uscendone non troverebbero più alcuno ad aspettarli. La scena stessa, violenta e fortunata, nella quale la sua giovinezza era quasi perita, le si confondeva nella memoria sotto uno sgomento di sogno. Poi rivedeva ancora quell'uomo giovane, che l'aveva accarezzata sino all'ultimo momento, gittandosi su lei con le mani febbrili; ma anche allora i suoi occhi accesi sorridevano e le sue mani nel farle male non erano come quelle della mamma, le poche volte che da piccina l'aveva percossa. Improvvisamente, come se una fiamma l'investisse, si era sentita ardere sino dentro la carne, colla testa assordata da un tumulto, mentre dal fondo dell'anima una ripulsa acuta, spasmodica, le saliva impetuosamente alle labbra facendola urlare, E aveva gridato nella difesa della propria vita, disperatamente.
Eppure sapeva già tutto.
Anzi si era preparata al sacrifizio ascoltando molti giorni prima le esortazioni della mamma e i consigli indiretti della signora Veronica. Ma la sua giovinezza, troppo diversa da quella delle fanciulle cresciute nelle famiglie oneste o nei conventi, se conosceva già le miserie e le vergogne della vita, non ne aveva ancora perduta l'ingenua delicatezza, poichè la primavera sonnecchiava nel suo bel corpo pallido come in uno di quei fiori cresciuti nascostamente senza sole.
Così una ripugnanza di spavento e di orrore le faceva quasi credere di dover subire una mutilazione, qualche cosa di avvilente e di straziante come sotto il ferro di un chirurgo, che vi taglia la carne, e dopo si resta per tutta la vita deformi davanti al sorriso della gente. Perchè dunque le si voleva imporre questo? La mamma aveva parlato tristamente, mentre la signora Veronica ne sorrideva come di una cosa inevitabile, alla quale si volesse dare troppa importanza: secondo lei si trattava soltanto di cavarne tutto il vantaggio possibile.
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