In faccia al destino. Albertazzi Adolfo

In faccia al destino - Albertazzi Adolfo


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che acqua! l'acqua di Valdigorgo! Non vantarla sui giornali, amico (egli mi prega): se no, ce la portan via, o vengono a bercela!..

      Segue una pausa, perchè le ragazze e Mino possan chiedere:

      – La lana, babbo?

      – La trottola?

      – La lana?! la trottola?! Oh credete che non abbia per la testa, laggiù, che i vostri capricci? La fabbrica, i capomastri, gli artieri, le seccature; corri in provincia, in comune, allo studio, dai clienti: chi mi cerca, chi mi sfugge… Paga questo; licenzia quest'altro… E voi, come se nulla fosse, la lana? la trottola?

      Ma poi egli trae di tasca il cartoccino della lana e lo getta alle ragazze; mentre parla a me:

      – E tu hai scoperto finalmente la quadratura del circolo?

      Rispondo: – Eureka! – quando già le ragazze strillano:

      – Dio! che lana!

      – Che colore! Cos'hai fatto, babbo? Ma il campione?

      – Il campione! il campione! – brontola il padre. – Dunque non ci ho colto?..

      – Un orrore!

      – Eh… se l'avessi avuto, il campione!..

      – Te l'ho dato!

      – Te l'abbiamo involto in un pezzo di giornale. Lo mettesti nel gilet!

      – Sì! E io sono corso dal negoziante, prima di partire. «Mi vuole della lana così…» Se non che il campione non si trova. Fuori tutte le tasche; cerca tra le carte, sul banco, sotto il banco, per la strada: irreperibile! Non importa: «mi dia della lana verde per pantofole… da regalarmi nel mio onomastico…»

      Altro grido delle ragazze: – No! Non è vero!

      Tuttavia, rifacendo la scena, prosegue egli:

      – «Di verdi, signore, ce ne sono molti…»

      «Bene, me li mostri…» Che volete? Io mi ricordavo tanto bene il tono della voce di Marcella quando mi disse «un verde così», che ho scelto tra le matasse a colpo sicuro.

      – Vergogna!

      – Cattivo!

      – Scegliere la lana a orecchio!

      – Eh… per pantofole…

      – No: per un berretto da notte!

      È questa la vendetta delle ragazze.

      – Ah! infami! Un berretto da notte a me?.. a me?!

      Infine Claudio si ricorda che è stanco e si rimette a sedere con le mani in tasca. Allora, non senza sua grande meraviglia, come a un miracolo, leva la destra con qualche cosa fra le dita…: il campione della lana.

      Ma segue Mino, che richiede il giocattolo.

      – Non mi amareggiare, figliolo! Non ho potuto comprarlo; non avevo più soldi…

      Il ragazzo si vendica puntando, senza piangere, l'indice al viso del padre e accusandolo alla madre.

      – Mamma: il babbo ha detto una bugia! Guarda! guarda che bugia!

      Talora giunge anche Roveni, per il viale, con quel suo passo da conquistatore.

      – Oh! Roveni! Novità?.. Andiamo!

      E quell'uomo, stanco morto, corre col giovane nello studio; dove rimane fino a che, chiamato una terza volta a desinare, precipita in camera da pranzo, arrabbiandosi contro di me.

      – Bravo, Sivori! Che uomo sei, perdio? Neppur buono a dar scodelle! Come fate quando non ci sono io?.. Vedi: si fa così!

      Ma non è raro il caso che un ritardo ad afferrarla, o un disguido, rovesci, tra le grida e le risa, la scodella sulla tovaglia.

      Egli, Moser, fu più lieto dopo che ebbe visto rischiararsi la mia faccia.

      – Finalmente Valdigorgo ti fa bene anche a te – mi diceva. – Bada che sino alla prima neve non si parte di qua: nessuno!

      Negli occhi e nei modi d'Eugenia io notavo invece il dubbio che mi facessi forza a stento.

      Talvolta il cuore intende meglio dell'ingegno.

      Al consueto luogo, nel giardino, colsi una di quelle occhiate per dirle:

      – Claudio ha ragione: sto meglio. Quest'aria fa bene non solo a voi; ed ero forse più esaurito, più debole di voi, io!

      Eugenia scosse il capo, e arrossendo lievemente:

      – Voi – disse – non siete debole. Ora vi dominate per non affliggerci.

      – Perchè pensate così? – domandai io con impeto. – Che cosa pensate, che cosa avete pensato di me? Voglio saperlo! Non temete di svelarmi tutto il vostro pensiero, se davvero credete che io non sia debole… Vi prometto che non torneremo mai più su quest'argomento.

      – Dirvi quel che penso? quel che ho pensato di voi? Ecco: i primi giorni ch'eravate qua dubitavo soffriste per una passione.

      – Una passione d'amore? – feci ridendo.

      – Sì – rispose senza ridere. – Non ci sarebbe stato da meravigliarsene; nulla di strano. Ma presto capii che il vostro male era molto più grave.

      – Perchè?

      – Una passione… – esitava; indi risoluta: – forse me l'avreste confidata o, almeno, non avreste tentato di nasconderla così, a noi, a me. Il vostro male doveva essere molto più grande, perchè avevate timore che io e Claudio ce ne accorgessimo…; eppure non potevate nasconderlo. Non eravate più quello d'una volta. Perchè? Da prima ero un po' curiosa, lo confesso; ma l'altra sera, quando vi costrinsi io a svelarvi un poco, indovinai, e avrei voluto non indovinare.

      – Come? Che cosa indovinaste?

      – Ricordavo con che entusiasmo mi parlavate una volta dei vostri studii. Io sono una povera donna; non so nulla. Ma quante volte mi dissi: «E se non fosse possibile arrivare dove Sivori vuole?» Comprendevo le fatiche che doveva costarvi il vostro ideale; comprendevo che voi non avevate nulla, non volevate nulla fuori di quello. Tutta la vostra vita era là. Mi dicevo: «Sivori non vuole ammogliarsi… Come vive? perchè vive? Per i suoi studii. Non ha altro bene al mondo. Ma: e se per una causa qualunque perdesse la sua fede?..»

      – Avete indovinato! – esclamai stringendomi il capo tra le mani e coprendomi la faccia con le palme.

      Perplessa, col timore d'avermi fatto troppo male a vedermi in quel modo, essa ristette un poco. Poi riprese:

      – Debbo dirvi tutto. Avere un ideale come il vostro e perderlo, deve essere un dolore immenso, una sventura immensa! Ma voi avete resistito. Avete sostenuto una lotta terribile, è vero?; ma avete resistito! Vedete dunque che siete forte. E siete ancora giovane. Perchè non volete persuadervi che potete avere altri affetti, altre consolazioni, forse un'altra fede?

      – No! Quando si è perduta, la fede non si riacquista più; e io ho perduta la fede più bella, la fede di me, del mio ingegno, del mio cuore In chi credere? in che cosa? L'altra sera vi dissi: «temo che la mente mi abbia divorato il cuore»; poco fa vi ho detto; «sto meglio», e infatti il mio cuore non è più di pietra. Ma adesso mi domando: «Non è forse peggio? Soffrire senza affetti, senza speranze, senza uno scopo, non è forse peggio che non sentir nulla?»

      Eugenia avrebbe voluto parlare ancora. La trattennero dei passi che venivano alla nostra volta; e tacque, pensosa. Confrontava la mia miseria alla miseria di chi per vivere non chiede che un tozzo di pane? o alla squallida miseria d'un uomo roso da un morbo insanabile?

      – Una sorella… – mormorò in fretta, seguendo il corso del suo pensiero mentre Ortensia veniva a noi. – Perchè Dio non vi ha dato una sorella?

      Ancora il sentimento le aveva detto il solo bene che avrebbe impedito o mitigato il mio male. Per risponderle, il mio cuore palpitò. Ma Ortensia, senza badare a noi, a voce alta e lieta, riferiva non so che ambasciata, o notizia.

      – Cervellina! – le


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