Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II. Amari Michele

Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - Amari Michele


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target="_blank" rel="nofollow" href="#n356" type="note">356 Sopravvenne, del novecento ventiquattro, lo schiavo liberto slavo Mes'ud,357 con venti galee; il quale occupò la rôcca di Sant'Agata, quella, credo io, presso Reggio,358 e tornossene a Mehdia coi prigioni.359 Assaporato il qual guadagno, il principe apprestò maggiore espedizione, affidata all'hâgib, o vogliam dir primo ministro, Abu-Ahmed-Gia'far-ibn-Obeid; il quale veniva il medesimo anno con armata poderosa a svernare in Sicilia.360 Alla primavera del novecentoventicinque passò in Calabria; s'insignorì di Bruzzano361 e di molti altri luoghi; alfine andò ad osteggiare Oria, in Terra d'Otranto. Fazione importantissima, sanguinosa, notata nelle cronache cristiane con l'epigrafe: quest'anno, del mese di luglio, Oria fu presa;362 se non che oggi l'attestato d'uno scrittore ebreo che vi fu fatto prigione dà precisamente il primo luglio;363 ed un brano d'annali musulmani ci fa argomentare che si fossero ridotte in Oria le forze bizantine della Calabria, riparate le popolazioni d'un gran tratto di paese, sostenuto un assedio o almen mostrata la faccia a' nemici nell'assalto. Tanto significa il fatto che Gia'far v'uccise seimila combattenti, tra la battaglia e dopo, s'intende; che trassene diecimila prigioni e presevi un patrizio, il quale riscattava sè stesso e la città per cinquemila mithkâl d'oro,364 o vogliam dir settantaduemila lire italiane.365 Il capitan musulmano stipulò anco la tregua per tutta la Calabria, datigli statichi a sicurtà del tributo, lo stratego della provincia e un Leone vescovo di Sicilia;366 coi quali ripartì per l'isola a' diciannove di luglio.367 Par si fosse fermato il trattato a Taranto; poichè l'autore che testè citai, nato probabilmente in Calabria, il dotto medico Sciabtai Donolo, narra che preso ad Oria con molti altri Giudei, fu condotto a Taranto e quivi riscattato.368 Giunto in Sicilia Gia'far significò immantinenti la vittoria al principe fatemita; indi gli recò egli stesso il bottino a Mehdia: fece ammonticchiare in una sala della reggia drappi di seta a disegni e colori,369 gioielli, moneta e ogni roba di pregio. Il Mehdi se li godea con gli occhi, quando un cortigiano che gli era allato “Oh padrone,” sclamò, “non vidi mai sì gran tesoro!” e il Mehdi a lui: “È il bottino d'Oria.” Onde l'adulatore per bruciare incenso al primo ministro, “Puoi chiamare uom fidato,” ripigliò, “chi ti riporta a casa tutto questo.” Ma il principe avaro gli troncò la parola: “Perdio, s'è mangiato il camélo e me ne reca gli orecchi!”370 I prigioni furono venduti in Affrica.371

      Intanto si fermava tra le corti di Mehdia e di Costantinopoli un trattato che ratificò, a quanto parmi, i patti di Calabria e que' d'Ibn-Korhob. Narra il Cedreno, com'apprestandosi Simeone re dei Bulgari a nuovo assalto sopra la capitale dell'impero, mandava a propor lega al principe d'Affrica ch'aiutasse dalla parte sua col navilio; e l'Affricano assentiva e rinviava gli ambasciatori bulgari insieme coi propri per ultimar la cosa, quando gli uni e gli altri caddero in man de' Greci in Calabria e furon addotti a Costantinopoli. Romano Lecapeno, per sturbare la lega, ritenne i prigioni bulgari; rese gli affricani al signor loro, con doni e profferta di soddisfare il tributo della Calabria; e sì bene condusse la pratica, che il Fatemita fermava la pace con esso lui e gli rimettea metà della somma promessa dalla imperatrice Zoe; onde il tributo scemò a undicimila bizantini all'anno. E così rimase in dritto fino alla esaltazione di Niceforo Foca (963); ma in fatto, gli strateghi di Calabria onesti il pagavano, e i ladri si metteano il danaro in tasca.372 Tanto il Cedreno, senza data precisa e sbagliando il nome del Mehdi;373 il che non porta punto a mettere in dubbio la cosa.

      Cotesta pace e le vicende che le tenner dietro, dettero argomento a supporre altra maggiore vergogna dell'impero bizantino, che si è ripetuta infino ad oggi e sembra esagerata, anzi trasnaturata. Liutprando, trent'anni appresso il trattato,374 scrivea avere inteso a dire che Romano Lecapeno, quando gli si ribellaron le Calabrie e la Puglia, non trovando modo a ripigliarle, chiese aiuto ai Musulmani d'Affrica; ch'essi vennero in Italia con esercito innumerevole; che, soggiogate le province, reserle ai Greci; e fornita lor cortesia, “giraron verso Roma e s'andarono a porre al Garigliano:” il quale anacronismo di mezzo secolo,375 per certo non aggiugne fede al racconto. Nelle altre croniche cristiane, negli annali musulmani, non troviamo vestigia di cotesta avventura;376 a meno che il trattato riferito del Cedreno non si voglia supporre anteriore alla fazione d'Oria, e questa combattuta non contro le armi bizantine ma contro i ribelli: che sarebbe far troppo lavoro di fantasia. Pertanto io tengo falsa la tradizione; la quale nacque dal trattato di pace e dall'odio immenso e giusto che portavano tutti gli Italiani ai Greci. Liutprando l'accettò lietamente, non solo per quel suo mortalissim'odio, e disprezzo e dispetto contro la corte di Costantinopoli, ma anche per l'analogia dei fatti che seguivano al suo tempo, quando gli strateghi bizantini di Calabria sfacciatamente traccheggiavano con gli emiri di Sicilia. Il sol patto tacito o espresso da sospettarsi tra il novecentoventicinque e 'l novecentotrenta, è che i Bizantini escludessero dalla tregua e designassero ai Fatemiti le città di Calabria e Puglia che lor non obbedivano e però non pagavan la quota del tributo musulmano. A ciò dunque si ristringa il biasimo dei Bizantini; e si cancelli dalla storia quella impossibilità dell'Italia meridionale racquistata da loro con eserciti musulmani.377

      Tra gli stati independenti dall'impero greco, le città che gli si ribellavano, e gli strateghi che differivano a pagare il tributo, non mancò occasione di preda alle soldatesche slave. Di luglio novecento ventisei preser Siponto, capitanati, al dir d'una cronica, da Michele re loro,378 forse zupano, come si chiamava il primo magistrato delle repubbliche slave della Dalmazia, e però venuto a dirittura e dassè, non d'Affrica da servidore del Mehdi. Ma il costui paggio slavo Sâin, l'anno appresso, che cadde nel trecentoquindici della egira, passava d'Affrica in Sicilia con quarantaquattro navi la più parte da guerra: accozzate le sue con le genti dello emir di Sicilia, facea vela per Taranto; assediava la città, difesa virilmente dagli abitatori; entrava d'assalto; menava strage degli uomini da portar arme, e mandava il rimanente della popolazione a vendere in Affrica.379 Del novecentoventotto, par che l'esercito di Sicilia e gli Slavi si fossero divisi per portar la guerra in due province diverse. Il primo, andato a campo ad Otranto, espugnavala il diciassette agosto; distruggea le case e s'apprestava a correre altri paesi, quando una moría lo costrinse a tornarsi in Palermo.380 Sâin co' suoi Slavi assaliva i principati longobardi dalla parte del Tirreno; prendeavi parecchie fortezze, tra le quali le memorie musulmane notano una Ghirân ossian “Le Grotte,” ed una Kalat-el-Khesceb, ch'è a dir “La Rocca del Legno:” nomi da non si riconoscere agevolmente nella nostra topografia del medio evo, poi ch'è evidente che i vincitori li posero a capriccio o li tradussero in lor linguaggio. Fatto fardello quanto potè, Sâin si appresentava a Salerno; i cui cittadini comperaron la pace a prezzo di danaro e drappi di seta dibâg.381 Donde passato a Napoli, la sforzava a simil patto; se non che prese danaro e vesti, dice la cronica:382 senza dubbio per significar le pezze di tela di quel lavorío che non avea pari al mondo e facea la ricchezza della città, com'afferma il mercatante arabo Ibn-Haukal, trovatosi a Napoli una quarantina d'anni appresso.383 Sâin riscosse anco il tributo della Calabria e fece ritorno in Palermo col bottino e numero grandissimo di prigioni.384

      Ma


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<p>357</p>

Questo è dei nomi che i Musulmani solean porre agli schiavi.

<p>358</p>

In Calabria sola v'ha tre luoghi di tal nome.

<p>359</p>

Confrontinsi: Chronicon Cantabrigiense, l. c., an. 6432 (1º settembre 923 a 31 agosto 924), e Baiân, tomo I, p. 192, an. 310 (30 aprile 922 a 19 aprile 923).

<p>360</p>

Baiân, tomo I, p. 194, an. 312 (8 aprile 924 a 27 marzo 925).

<p>361</p>

Chronicon Cantabrigiense, l. c., an. 6433. Il nome è scritto senza punti diacritici; ma Bruzzano par la lezione più plausibile.

<p>362</p>

Chronicon Barense, presso Muratori, Antiquitates Italicæ, tomo I, p. 31; e Lupo Protospatario, presso Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, tomo V, p. 38; dei quali il primo attribuisce l'impresa ai Saraceni, e parla di uccisi e di prigioni; il secondo la riferisce agli Sclavi, l'anno 924.

<p>363</p>

Sciabtai (o Sabbathai) Donolo, prefazione al libro Hakmoni, nella raccolta di Miscellanee ebraiche, intitolata Melo-Sciofnayim, e pubblicata dal signor Geiger, rabbino di Breslau, Berlino 1840, p. 31; da confrontarsi col MS. ebraico della biblioteca imp. di Parigi, Ancien Fonds, 266. Il nome della città, scritto senza segni vocali aur s, fece supporre una volta che si trattasse di Aversa; ma non è dubbio che vada letto Aurias. Il giorno della occupazione è il lunedì 9 di tammuz dell'anno ebraico 4685. Debbo cotesti ragguagli al dotto orientalista signor Derembourg, che ha esaminato il MS. di Parigi.

Donolo (Δόμνουλος) ricomparisce medico famoso in Calabria verso la metà del decimo secolo, e rivaleggia in sua arte col taumaturgo San Nilo il giovane. Veggasi Vita sancti patris Nili junioris etc., greco-latina, pubblicata da Gio. Mat. Caryophilo, Roma 1624, in-4, p. 88.

<p>364</p>

Baiân e 'Arîb, tomo I, p. 195.

<p>365</p>

Il mithkâl è nome di peso, e in oro equivale al dinar, ch'io ragiono a un di presso a lire 14,50.

<p>366</p>

Chronicon Cantabrigiense, presso Di Gregorio, Rerum Arabicarum, p. 46, an. 6434 (1º sett. 925 a 31 agosto 926). La testimonianza concorde di Lupo Protospatario, del Baiân e di Sciabtai Donolo ci fa supporre che la Cronica di Cambridge abbia registrato il fatto nel settembre, quando forse arrivò in Palermo Gia'far con la preda e i prigioni. Il Baiân e la detta Cronica mi è parso che accennassero a due patti diversi; l'uno per la città d'Oria, l'altro per tutta la Calabria; sotto il qual nome andava anco la terra d'Otranto. Di quale diocesi in Sicilia fosse vescovo Leone non si ritrae. Non era egli al certo lo stratego di Calabria, come ha supposto il Wenrich (lib. I, cap. XII, § 105, p. 141), male interpretando la Cronica di Cambridge, e non riflettendo che l'impero bizantino non affidò mai governi ai vescovi.

<p>367</p>

Il 25 rebi' secondo del 313. Baiân, l. c. Il testo dice positivamente che Gia'far arrivò in Sicilia quel giorno. Le altre autorità citate mi portano a correggere che partì per la Sicilia quel giorno.

<p>368</p>

Sciabtai Donolo, l. c.

<p>369</p>

Nel testo, dibâg, che è corruzione della voce greca δίβαφος, pervenuta agli Arabi per mezzo dei Persiani, i quali la scrivono dibâh.

<p>370</p>

Baiân, l. c.

<p>371</p>

Lupo Protospatario, l. c.

<p>372</p>

Cedreno, ediz. di Parigi, tomo II, p. 650; ediz. di Bonn, II, 356, seg.

<p>373</p>

Il nome nel testo è φατλοῦν; forse dovea dire φατμοῦν, perchè il Mehdi non ebbe tra i suoi nomi questo di Fadhl; e, da un'altra mano, le lettere λ e μ si scambiano assai facilmente nei manoscritti greci. Le Beau, Histoire du Bas Empire, lib. LXXIII, § 53, pone questa negoziazione nel 923, ch'è la data d'una delle tante imprese di Simeone contro Costantinopoli. Ma la narrazione del Cedreno si può ben applicare ai tre anni seguenti, fino alla morte di Simeone. D'altronde, la pratica di Simeone col Mehdi precedette forse di parecchi anni la conchiusione della pace tra il Mehdi e Romano.

<p>374</p>

Liutprando, Antapodesis, lib. II, cap. LXV, presso Pertz, Scriptores, tomo III, p. 296. Si sa che l'autore cominciò a scrivere a Francfort verso il 958. Pertz, vol. cit., p. 264.

<p>375</p>

Romano Lecapeno salì al trono il 919; regnò solo dal 920; perdè la Calabria il 921. I Musulmani si afforzarono ai Garigliano verso l'882, e ne furono scacciati il 916.

<p>376</p>

Il monaco dello stato romano Benedetto di Sant'Andrea, che scrisse negli ultimi anni del decimo secolo una rozza cronica infiorata di romanzi, accenna (presso Pertz, Scriptores, ec., tomo III, p. 713); le ambascerie dei Romani a Palarmo et Africe, perchè venissero a pigliare il regno d'Italia, e dice ch'essi andarono per tal cagione ad Amalfi e al Garigliano. Ma ciò si riferisce evidentemente alle pratiche d'Atanasio vescovo di Napoli (879-882), e non avvalora le parole di Liutprando, nè porta ad anacronismi.

<p>377</p>

Non ci dee ritenere la grande autorità del Machiavelli, il quale accettò il racconto di Liutprando in un quadro generale (Istorie fiorentine, lib. I, nel paragrafo che principia “Era intanto morto Carlo imperatore”). Ognun sa che ai tempi del Segretario Fiorentino le sorgenti della storia d'Italia erano la più parte ignote o incerte. La stessa ragione non vale a favor del Giannone, lib. VII, cap. IV; e molto meno del Martorana, tomo I, p. 84, cap. III, e del Wenrich, lib. I, cap. XII, § 104, p. 139, 140.

<p>378</p>

Confrontinsi: Lupo Protospatario e la Cronaca di Bari, presso Pertz, Scriptores, tomo V, p. 54; Chronicon Sanctæ Sophiæ Beneventi, presso Muratori, Antiquitates Italicæ, tomo I, p. 253; Romualdo Salernitano, presso Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, tomo V, an. 926. L'indizione 15ª corregge lo sbaglio della Cronica di Bari che dà l'anno 928. Il nome d'Istachael scritto in alcune edizioni di Lupo, va letto Michael.

<p>379</p>

Si confrontino: Ibn-el-Athîr, an. 313, MS. A, tomo II, fog. 234 verso; e MS. C, tomo IV, fog. 304 recto; Baiân, tomo I, p. 199, an. 315 (7 marzo 927 a 23 febbraio 928); Nowairi, presso Di Gregorio, Rerum Arabicarum, p. 13, 14, an. 316; Lupo Protospatario, e Cronica di Bari, l. c., an. 927; Ibn-Khaldûn, Histoire de l'Afrique et de la Sicile, p. 162. Nella Cronologia historica, di Hazi Halife (Hagi Khalfa), versione del conte Carli, Venezia 1697, p. 59, si legge questa impresa di Taranto, che manca nel testo persiano di Parigi.

Debbo avvertire che la discrepanza delle croniche mi sforza ad ordinare i fatti alla meglio, senza la certezza ch'io soglio ricercare. Per esempio, un dice che Sâin venne con 44 navi; un altro gli dà 33 navi da guerra; chi parla delle forze unite di Sâin e dell'emir di Sicilia, chi di Sâin solo; chi sbaglia evidentemente le date; chi confonde in un sol anno tutte le imprese; chi pone i nomi geografici, e chi no; chi li scrive in guisa da doversi indovinare la giusta lezione. Ciò sia detto per tutte queste fazioni dal 927 al 929.

<p>380</p>

Ibn-el-Athîr e Nowairi, ll. cc. Prendo la data dalla Cronica di Cambridge, l. c., an. 6436 (1º settembre 927 a 31 agosto 928), ove credo si debba leggere Otranto in vece di Zarniwah, che fu messo a caso nelle edizioni precedenti. Otranto si legge chiaramente negli altri due autori citati.

<p>381</p>

Si vegga la nota 3, a pag. 173 di questo volume.

<p>382</p>

Il Baiân, sola sorgente di questo fatto, adopera la voce thiâb, plurale di thaub; e significherebbe vestimenta, in generale, ovvero, secondo l'uso moderno d'Egitto, un camicione che le donne soglion mettere sopra tutti gli altri abiti quand'escono fuor di casa: una specie di dominò. Si vegga Dozy, Dictionnaire détaillé etc., p. 106. Ma Ibn-Haukal parlando appunto di Napoli, come si vedrà nella nota seguente, usa la stessa voce al singolare e al plurale, nel significato certissimo di tela di lino in pezza. Le pezze che valean da cinque a secento lire ciascuna non faceano ingombro: e così interpretato parrà più verosimile questo passo del Baiân.

<p>383</p>

Ibn-Haukal, testo arabico, nella mia Biblioteca Arabo-Sicula, p. 10, 11, cap. IV, § 2. Probabilmente questo infaticabile viaggiatore andò a Napoli poco prima o poco appresso di Palermo, ove si trovò l'anno 362 dell'egira (972-3). Ibn-Haukal dice aver veduto egli stesso a Napoli questi bellissimi tessuti di lino, che da un'altra espression del testo possiam supporre anco ricamati ovvero operati a damasco. Ogni thaub, lungo 100 dsira' e largo da 10 a 15, si vendea più o meno 150 ribâ'i, o vogliam dir quarteruoli d'oro. Cotesta moneta usata in Sicilia dal X al XII secolo torna in peso di metallo a lire 3,80. La dsira', o dra, come pronunzian oggi, vuol dir braccio; e tra le varie maniere, che ve n'ebbe e ve n'ha in Oriente, è probabilissimo che Ibn-Haukal abbia ragionato con quella chiamata “negra” ch'era a un di presso 0,48 metri. S'aggiunga questo agli altri copiosi materiali che abbiamo per la storia dell'industria italiana nel medio evo. Spieghin poi gli eruditi il lavorío di cotesta tela sì fina, larga da 5 a 7 metri, che si vendea 570 lire la pezza di 48 metri, e dicano se si debba supporre errore nei numeri scritti da Ibn-Haukal.

<p>384</p>

Confrontinsi: Chronicon Cantabrigiense, l. c., an. 6437 (1º settembre 928 a 31 agosto 929), e Nowairi, l. c. La prima dice che in Lombardia non fu espugnata da Sâin alcuna “città;” e ciò si accorda con la tradizione del Baiân, citata di sopra. La data posta nella Cronica di Cambridge par quella del ritorno fin Palermo sul finir della state, è però nel 928.