Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II. Amari Michele

Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - Amari Michele


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villaggio conceduto coi terreni alla Cattedrale di Palermo. Tantochè nel decimosesto secolo ne avanzavan, dice Fazzello, mirabili rovine, ed oggi il nome di Calata attesta su le carte geografiche il sito della rôcca.436

      Indarno travagliossi Khalîl contro Platani; anzi abbandonò o perdè Caltabellotta; a ripigliar la quale avendo spiccato parte de' suoi, i Girgentini una notte di novembre assalivano improvvisi l'uno e l'altro campo; sforzavano quel di Caltabellotta; lo saccheggiavano, metteano in fuga gli assedianti. Khalîl allora risolutamente lasciò anco l'assedio di Platani, per concentrar tutte le forze contro Girgenti, nodo principale della guerra; per chiudere quegli audaci entro lor mura, sì che non gli facessero altra vergogna, e che sentissero più crudelmente la fame.

      La quale straziava tutta l'isola; prodotta non tanto da inclemenza di stagioni e da' guasti inevitabili della guerra, quanto da satanic'arte di Khalîl; il quale non mentì al certo quando vantossi d'avere spento di ferro e di fame centinaia di migliaia d'anime in Sicilia. Ormai tutta la strategia stava nel nudrire i proprii soldati, poichè i nemici sarebbero morti senza ferite: e il capitano computista d'Affrica, facendo rapir ogni maniera di cibo che potesse, conseguiva a un tratto la salute de' suoi e la distruzion de' Siciliani. La carestia ingombrò cittadi e campagne, scrive la cronica del paese; padri e madri mangiarono i cadaveri dei figli; abbandonate dagli uomini, rovinarono le castella; le terre coltivate rinsalvatichirono: una infinità di gente, aggiugne il Baiân, fuggendo la carestia e i sicarii di Khalîl, riparò qua e là nei paesi di Rûm, ch'è a dire Italia o Grecia; dove la più parte si fecero cristiani. Mentre seguia nell'isola cotesto scempio, Khalîl stava all'assedio di Girgenti: poi lasciovvi forte schiera con Abu-Kelef-ibn-Harûn, ed egli si ridusse in Palermo, certo ormai dell'esito. E di marzo del novecenquaranta, Platani inespugnabile s'arrendè; Girgenti tenne il fermo finchè i più savii o avventurati si salvarono con la fuga; i rimagnenti aprirono le porte a patto d'uscire salvi, il venti novembre: ma Khalîl, quand'ebbeli nelle sue forze, spezzando la fede menolli in Palermo. Le altre castella spaventate a questo eccesso s'affrettarono a chiedere perdono, sperando placare il tiranno: tutta la Sicilia tornò al nome dei Fatemiti. Khalîl mandava a Kâim in Affrica le caterve dei prigioni da vendere;437 nè andò guari che parendogli queta ogni cosa, s'imbarcò egli stesso per l'Affrica a' dieci settembre novecenquarantuno; lasciando al governo di Palermo due delegati, per nome Ibn-Kufi e Ibn-'Attâf della tribù di Azd;438 chè Sâlem era morto l'anno innanzi. Si tirò dietro in altro legno i notabili di Girgenti. E in alto mare comandò di sfondare la nave; sì che tutti perirono.439

      Donde gli annalisti musulmani si scoton di loro aritmetica impassibilità, venendo a parlare di questo Khalîl; e chi l'infama d'aver ecceduto ogni limite di efferata barbarie, chi nota aver costui fatto in Sicilia ciò che niun altro Musulmano osò prima nè poi in alcun paese. Si narra che al ritorno in Mehdia, sedendo un giorno a brigata coi primi della città, caduto il discorso su la guerra di Sicilia, l'empio si millantava: “Non saprei giusto giusto quanti ve ne feci morire; non furono più d'un milione, non meno di secentomila.” E fatta breve pausa, ripigliò: “Sì, per Dio, passarono i secentomila.” E una voce s'alzò, del maestro di scuola Abu-abd-Allah, che gli rispose senza cirimonie:440 “Va, Abu-l-Abbâs, che ti basta un omicidio solo,”441 alludendo al grave peccato ch'era di sparger sangue per caso di maestà.442

      Non andò guari che Khalîl n'ebbe il gastigo dalle mani degli uomini; Minacciata Kairewân dal ribelle Abu-Iezîd, e tentennando i cittadini tra la paura delle sfrenate sue moltitudini, e l'odio contro casa fatemita, Kâim vi mandò il gran sicario della dinastia con una banda di mille Negri a cavallo. Il quale, all'usanza vecchia, cominciò a velare e maltrattare, e tentava anco la cura della fame, spazzando il contado con orribile guasto; ma fe' contrario effetto, poichè i cittadini mormorarono, poi cospirarono, e, come minor male, chiamarono Abu-Iezîd. Appressandosi l'esercito ribelle (ottobre 944), Khalîl perdè l'animo: uscì alla battaglia quasi sforzato; fuggì pria che si venisse alle mani; e corse a chiudersi nel palagio di Kairewân. Dove preso dai ribelli, l'uccisero coi suoi sgherri, e appiccarono il cadavere a un palo, alla porta chiamata di Rebi'.443

      CAPITOLO X

      Fortuneggiarono i Fatemiti in questa rivoluzione. Dicemmo noi che le sètte kharegite ardeano ab antico tra i Berberi, or covando, or divampando. Dal ramo degli Ibaditi si spiccò, com'egli avviene, novella affiliazione che prese nome di Nekkariti;444 e contaminò la giustizia dello scopo con la stolta iniquità dei mezzi; insegnando legittimi, l'omicidio, lo stupro, la rapina su tutti i non Nekkariti; ch'era a dir quasi tutto il genere umano. Gli ultimi proseliti par che oggidì rimangano gente industre e tranquilla, nell'isola delle Gerbe; ove al certo fecero gran parte della popolazione e corpo politico dassè, infino al decimoquarto e al decimoquinto secolo.445 La setta prese subito augumento, nei principii del decimo secolo, alla esaltazione dei Fatemiti; quando si vide per prova la efficacia di coteste trame nella schiatta berbera, e quando la servile superstizione ismaeliana insultò e provocò i liberi spiriti dei Kharegi. Surse allora nel Gerîd tunisino, o vogliam dire regione meridionale dell'odierno Stato di Tunis, un Abu-Iezid-Mokhalled-ibn-Keidâd della tribù d'Ifren e nazione di Zenata; uom povero, piccino, zoppo, deforme in volto, ma di grande intelletto e animo da bastare a qualunque impresa; il quale, noiato di stentar la vita insegnando il Corano ai giovanetti, si mescolò coi dottori nakkariti che volean fare e non sapeano; divenne dei principali della setta; osò allargarla e mutarla in cospirazione. A capo d'una ventina d'anni d'affaticamento e persecuzioni, imprigionato dal governatore di Tauzer, liberato da' suoi per audace colpo di mano, si rifuggiva all'altra estremità dell'impero fatemita, tra i monti Aurès; dove accozzatisi con esso altri rami di sètte kharegite ed alcune tribù della nazione di Howâra, l'anno trecentrentuno (942-43) si deliberò la ribellione: che Abu-Iezîd ne fosse capo, e che, cacciati i Fatemiti, l'Affrica si reggesse a repubblica. Abu-Iezîd s'intitolò democraticamente Sceikh dei Credenti; si mostrò alla testa degli eserciti, vestito d'un rozzo saio di lana; montato sur un asinello balzano; onde gli dissero “Il cavalier del ciuco.” E con centomila Berberi di varie tribù, di varie sètte, feroci tutti e indisciplinati, occupò l'Affrica propria. Delle molte battaglie ch'ei combattè con varia fortuna, sempre con valore e costanza, ricorderemo sol due, nelle quali gli stette a fronte un Siciliano, probabilmente di schiatta greca, per nome Boscera,446 schiavo di Kâim. Aveva il califo a un tempo mandato Khalîl-ibn-Ishak a Kairewân, e questo Boscera con un esercito a Begia, città dentro terra tra Tunis e Bona, perchè la difendesse contro il ribelle che s'avanzava a quella volta, l'anno quarantaquattro. Appiccata la zuffa andavano in volta i seguaci d'Abu-Iezîd, quand'ei corso addosso ai fuggenti, smontava dal destrier di battaglia, si facea recare il baston da pellegrino, e l'asinello balzano; lo cavalcava gridando: “Così fa chi vuol non fuggire, ma vincere o morire!” Li rattestò; girò di fianco, tanto che giunse dietro gli accampamenti di Boscera, minacciando tagliargli la ritirata. Alla quale mossa, il capitano fatemita fe' suonare a raccolta; precipitosamente prese la via di Tunis, inseguito da Abu-Iezîd; il quale gli uccise gran gente; prese e messe a sacco Begia; occupò Tunis, abbandonata anco da Boscera che indietreggiava a Susa. Quivi gli giunsero rinforzi di Mehdia, e ordini di Kâim che ripigliasse le offese. Onde uscito da Susa, trovandosi a fronte un luogotenente d'Abu-Iezîd per nome Aiûb-ibn-Kheirân, combatterono ad Herkla, com'or si chiama, in sul golfo di Hammamet; dove trionfò Boscera con grande strage dei nemici; ma ritirossi a Mehdia pria che lo sopraggiugnesse Abu-Iezîd, col grosso dell'esercito.447 Così, facendo una punta quando si poteva, Kâim contese l'Affrica ai ribelli; senza impedire che il medesimo anno cacciassero i suoi d'ogni luogo, fuorchè Susa e Mehdia, e lo assediassero nella capitale (gennaio 945). Occuparono tosto i sobborghi; dettero assalti alla fortezza, un de' quali (luglio 945) recò tal paura; che grande numero di cittadini, massime i mercatanti, rifuggivansi chi in Tripoli, chi in Egitto, molti in Sicilia.

      Nondimeno


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<p>436</p>

Si vegga pel XII secolo la geografia d'Edrisi; pel XIII e XIV, i diplomi accennati da Pirro, Sicilia Sacra, p. 136, e da Huillard-Breholles, Historia diplomatica Frederici II imperatoris, tomo I, p. 118, 194; Mortillaro, Catalogo dei diplomi della Cattedrale di Palermo, p. 90; e pel XVI, la descrizione di Fazzello, Deca I, lib. X, cap. III.

<p>437</p>

La Cronica di Cambridge accennando sola questo fatto, usa la espressione sebi, che vuol dir propriamente le donne e fanciulli prigioni. Parmi qui adoperata in significato più largo.

<p>438</p>

Il nome etnico di 'Attâf è dato dal solo Ibn-Khaldûn, Histoire de l'Afrique et de la Sicile, p. 165.

<p>439</p>

Quest'ultimo periodo della rivoluzione si ricava in parte dalla Cronica di Cambridge, anni 6447 a 6450, presso Di Gregorio, Rerum Arabicarum, p. 48, 49; in parte da Ibn-el-Athîr, anno 325. Si veggano anche il Baiân, ediz. Dozy, tomo I, p. 223; Abulfeda, anno 325; Ibn-Khaldûn, Histoire de l'Afrique et de la Sicile, versione, p. 164, 165. Il Nowairi, presso Di Gregorio, p. 15, accenna la venuta e la partenza di Khalîl, senza far motto della guerra. Il Rampoldi, Annali, tomo V, p. 213, 217, 221, 223, 230, anni 937, 938, 939, 940, 941, aggiugne di capo suo una ribellione in Palermo in questo secondo periodo, aiutata dai Bizantini; e che il governo d'Affrica mandasse grani in Sicilia.

<p>440</p>

Era modo familiare il chiamare col keniel, ossia primo soprannome, anzichè col nome proprio o col titolo di dignità.

<p>441</p>

Confrontinsi: Baiân, l. c., e Ibn-Abbâr, MS. della Società Asiatica di Parigi, fog. 104 recto.

<p>442</p>

Peccato, poichè i pubblicisti più accreditati non permetteano di uccidere i ribelli presi con le armi alla mano, nè di tenerli in prigione finita che fosse la guerra, nè di prendere i loro beni, nè di far cattive lor donne e figliuoli. Veggasi Mawerdi, Ahkâm Sultanîa, ediz. Enger, p. 98 e seg.; The Hedaya, versione inglese di Hamilton, lib. IX, cap. IX, nel tomo II, p. 250. Nell'impero ottomano prevalsero poi dottrine più tiranniche, le quali si ricerchino in D'Ohsson, Tableau de l'Empire Ottoman, tomo VI, p. 253.

<p>443</p>

Confrontinsi: Ibn-Abbâr, MS. della Società Asiatica di Parigi, fog. 104 recto; Baiân, tomo I, p. 223; Ibn-el-Athîr, MS. C, tomo IV, fog. 343 recto, anno 333.

<p>444</p>

Significa, “Que' che dicono: Non vogliam saperne nulla.” Proprio come i Know-nothings d'America.

<p>445</p>

Veggasi: Tigiani nel Journal Asiat., série IVe, tomo XX, p. 171, seg.; Ibn-Khaldûn, Histoire des Berbères, passim.

<p>446</p>

È voce arabica che significa “buona nuova;” un de' nomi che volentieri si davano alli schiavi. Andrebbe meglio trascritta in francese Bochra, che non si può rendere col nostro alfabeto. Tigiani dice costui siciliano (sikilli); il testo d'Ibn-Khaldûn pubblicato da M. De Slane porta Schiavone (saklabi); nè so determinar la vera lezione. La critica storica ci ricorda che tra gli schiavi e mercenarii dei Fatemiti vi fossero al paro e Siciliani e Slavi. La differenza tra coteste due voci in scrittura arabica è lievissima, e però il merito dei MSS. non può servire di argomento decisivo. Nondimeno, Tigiani fu erudito più diligente che Ibn-Khaldûn, e i MSS. delle sue opere, copiati assai men sovente che quelli d'Ibn-Khaldûn, sembrano men sospetti d'errore.

<p>447</p>

Queste due battaglie sono raccontate da Tigiani, Journal Asiatique, série IVe, tome XX, p. 101, seg. Si vegga anche Ibn-Khaldûn, Storia dei Berberi, testo arabo, tomo II, p. 18, 19.