Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II. Amari Michele

Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - Amari Michele


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il giubbone per comperare pergamena vecchia487 da copiar questa o altra opera di Iehia-ibn-Omar; e, com'egli ebbe fornita la copia, un altro zelante e povero letterato fe' lungo viaggio a piedi per amor di leggerla e trascriverla. Parecchi anni appresso un giurista siciliano o stato nell'isola, infervorato del Libro de' Miracoli sel vide in sogno tutto illuminato d'una luce che scendea dal cielo. A tal venerazione era giunta l'opera d'Iehia e la scienza ch'ei coltivò! In Palermo insegnava per quattordici anni la Modawwana, celebre manuale di dritto secondo Malek, il professore Abu-Sa'îd-Lokmân-ibn-Iusûf, della tribù arabica di Ghassân, trapassato a Tunis il trecentodiciotto dell'egira (930-31); martire della didascalia, s'egli è vero che morì d'una piaga fattasi al costato con l'angolo della tavola sulla quale solea scrivere e spiegare il testo. Si nota di costui che possedette dodici rami diversi di scienze;488 nè fa maraviglia, atteso la vastità degli studii che rannodavansi al dritto.489

      Segnalossi tra i discepoli di Sehnûn, per dottrina e austera integrità, un Abu-'Amr-Meimûn-ibn-'Amr, il quale diè alla Sicilia bell'esempio delle virtù di magistrato. Promosso a cadi dell'isola, da delegato ch'egli era al tribunale dei soprusi di Kairewân, andando a Susa per imbarcarsi, Meimûn si volse alla gente che gli dava il buon viaggio. “Cittadini,” lor disse, “ecco la giubba e il mantello che ho indosso; ecco lo zaino coi miei libri, e cotesta schiava negra che mi fa i servigi di casa, con una giubba e un mantello nè più nè manco di me: ponete ben mente, e vedrete in che arnese tornerò di Sicilia.” Giunto in Palermo, come poi narrò il siciliano Sa'îd-ibn-Othman, e condotto alla casa dei cadi, Meimûn quando la vide, ricusò d'entrarvi, dicendo non saper come acconciarsi in sì gran palagio; e volle albergare in una picciola casetta. Dove, senza aguzzini nè uscieri, quando alcun picchiava alla porta, correa la negra ad aprire, rispondeva: “or ora parlerete al cadi;” e chiamatolo, se ne tornava a filare per vendere il refe e supplire allo scarso mantenimento del padrone. Il qual magistrato non è a dire se fosse caro a tutta la città. Poi si ammalò. Non vedendolo uscir di casa da tre dì, gli amici, andati a visitarlo, lo trovarono giacente, in vece di tappeto, sopra una stuoia di papiro, manifattura indigena,490 appoggiando il capo su due cuscini imbottiti di fieno. Piangendo lor disse avere atteso all'oficio, che n'era testimone Iddio, finchè gli eran bastate le forze; nè li avrebbe abbandonati giammai se non fosse stato per quella incurabile infermità che si sentiva. Volle andare a morire in patria. E quando partì: “Che Dio vi conceda un successore miglior di me,” furon le ultime parole di Meimûn ai Palermitani; e quelli a benedirlo ed a pregargli salute. Nè dimenticò, messo il piè a Susa, di mostrare alla gente il sacco dei libri, le vestimenta fatte più logore e la stessa schiava.491

      Per certo le relazioni politiche con l'Affrica fruttarono alla Sicilia un utilissimo commercio d'idee e di studii. Si novera tra i discepoli di Sehnûn, un Diama-ibn-Mohammed, morto il dugentonovantasette (909-910), ch'era stato cadi di Sicilia sotto gli Aghlabiti.492 Con l'insegnamento ortodosso trapelavan anco i novelli ardimenti filosofici dei Musulmani; sapendosi che il giureconsulto Abu-Giafar-Mohammed-ibn-Hosein-Marwazi, com'ei pare, oriundo persiano, trapassato in Sicilia del dugentonovantatrè (905-906) era forte sospetto di miscredenza.493 Sembrano incominciati in Sicilia nella stessa metà del decimo secolo gli studii filologici; poichè il primo Siciliano lettor del Corano e grammatico di cui si trovi il nome nelle raccolte biografiche, è Abu-abd-Allah-Mohammed-ibn-Khorassân, liberto degli Aghlabiti, nato il trecentosei (918-19), di schiatta persiana anch'egli, se è da stare all'indizio del nome patronimico.494

      Appariscono al tempo stesso in Sicilia i primi esempii d'una maniera di erudizione che fu molto in voga appo i Musulmani, dico i racconti biografici che correano nelle scuole e ritrovi dei dotti: officine delle effemeridi letterarie di quel tempo. Taluno li messe in carta; poi vennero i compilatori che ci hanno serbato cotesti materiali di Storia letteraria, chiamati per lo più Tabakât, o vogliam dir classi, sendo ordinati i cenni biografici in classi, di giureconsulti, grammatici, poeti, lessicografi e simili: Delle più antiche e preziose, è il Riâdh-en-Nofûs, da noi ricordato sovente; il quale, trattando dei giuristi e santi musulmani d'Affrica fin oltre la metà del decimo secolo, ci dà i nomi dei Siciliani che tramandarono parecchi aneddoti a voce o in iscritto. Indi veggiamo che Abu-Bekr-Ahmed, citato dianzi tra i discepoli di Iehia-ibn-Omar, lasciò ricordi, scritti com'e' pare, intorno il pio giurista Abu-Harûn-Andalosi, vissuto in Affrica; pei quali fatti Abu-Bekr or si dà come testimone oculare, or allega i detti altrui.495 Il medesimo Abu-Bekr, su la fede dell'altro Siciliano Abu-abd-Allah-Mohammed-ibn-Khorassân,496 riferisce aneddoti d'un Ibn-Ghazi da Susa, devoto un tempo e rinomato lettore del Corano per la melodia della voce, poi infame tra gli Ortodossi perchè alla esaltazione del Mehdi lo adulò vilmente, è s'affiliò a setta ismaeliana.497 Abu-Bekr, avendo in sua giovinezza conosciuto Iehia-ibn-Omar (m. 903) ed Abu-Harûn-Andalosi (m. 905), visse nella prima metà del decimo secolo. Contemporaneo di lui, e al par siciliano Saîd-ibn-Othman; il quale raccontò a voce i fatti del cadi Meimûn in Palermo.498 Un altro Abu-Bekr, per nome Mohammed-ibn-Ahmed-ibn-Ibrahim, maestro di scuola, detto il Siciliano, forniva all'autore del Riâdh alcuni aneddoti del devoto africano Abu-Iunis-ibn-Noseir, morto il trecentoquattro (916-17) del quale ei fu amico ed ospite.499 Il Siciliano Abu-Hasan-Harîri, o diremmo il Setaiolo, morto il trecentoventidue (934), che guadagnò con ascetiche stravaganze un cenno biografico nel Riâdh, può passare anch'egli tra gli agiografi; poichè si seppero dalla sua bocca le dolci visioni di Moferreg,500 le zuffe d'Abu-Ali da Tanger col nemico del genere umano,501 e le vicende del pellegrino Abu-Sari-Wâsil, ritrattosi in eremitaggio presso il castello Dîmâs in Affrica.502

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      1

      Veggasi il Libro I, cap. III, VI.

      2

      Oltre il Corano e la Sunna, ossia il supposto precetto divino e lo esempio del Profeta, la legge si fondava sullo igtihâd, che vuol dire litteralmente “sforzo” degli interpreti ed esecutori ad applicare lo statuto ai casi non provveduti espressamente.

      3

      Mawerdi, Ahkâm-Sultanîa, lib. III, edizione di Enger, p. 51.

      4

      Mawerdi, op. cit., lib. I, p. 23, enumera così i dritti dello imâm, ossia califo, pontefice e principe: 1º Conservar la fede secondo i dommi cardinali e le interpretazioni concordi degli imâm precedenti,


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<p>487</p>

Il testo dice che costui, per nome Ahmed-Kasri (ossia del Castel vecchio presso Kairewân), non avendo da comperar carta, si vendè il giubbone e col prezzo acquistò dei rokûk. Tal voce secondo i dizionarii è plurale di Rekk, “carta o pergamena.” La definizione è vaga, o il senso variò coi tempi e i paesi. Ma leggiamo in Masudi, Biblioteca Arabo-Sicula, p. 2, che la pomice di Sicilia si adoperava a radere lo scritto nei difter e nei rokûk. Indi mi par manifesto che quest'ultima voce significava, nel X secolo, “pergamena vecchia.” La voce che ho reso carta è wark. Si comprende poi benissimo che la carta nuova dovesse costare in Affrica assai più cara che i codici latini e greci, merce inutile, da ripassarsi con la pomice prima di adoperarli. Quanti preziosi Manoscritti antichi dovettero perire in questa guisa!

<p>488</p>

Riâdh-en-Nofûs, fog. 79 recto.

<p>489</p>

Ce ne fornisce un esempio curioso il MS. della Biblioteca di Parigi, Ancien Fonds, 277, fog. 100 recto, seg. In questa compilazione legale del secolo XVI si tratta tra le altre cose delle acque stagnanti delle quali fosse lecito far uso nelle abluzioni. Come la traduzione vuol che queste acque abbian certo volume, così il compilatore si crede obbligato a indicare i modi geodetici di misurar la superficie delli stagni, e fa a quest'effetto un lungo trattato con figure geometriche.

<p>490</p>

Aggiungo questo perchè Ibn-Haukal parla del papiro di Palermo, nel Journal Asiatique, série IVe, tomo V, p. 98.

<p>491</p>

Riâdh-en-Nofûs, fog. 77, verso. Ancorchè cotesta biografia si legga nel 316, sembra errore da correggersi 312, secondo l'ordine cronologico che comincia poco innanzi nel Riâdh. Secondo Dsehebi, Kitâb-el-'iber, MS. di Parigi, Ancien Fonds, 646, tomo I, anno 320, seguì in questo anno la morte di Meimûn, ormai centenario, paralitico e rimbambito.

<p>492</p>

Baiân, testo arabico, tomo I, p. 160.

<p>493</p>

Op. cit., p. 138. Marwazi è nome etnico che si riferisce a Merw in Khorassân, ad un borgo di Bagdad, e fors'anco ad un villaggio. Veggasi il Lobb-el-Lobbâb di Soiuti, ediz. di Leyde, p. 242, con la nota t.

<p>494</p>

Makrizi, Mokaffa, MS. di Leyde 1366, al nome Mohammed; Soiuti, Tabakât-el-Loghawîn, MS. di Parigi, Suppl. Arabe, 681, e MS. del dottor John Lee, allo stesso nome. L'epoca e la qualità di liberto degli Aghlabiti, fan supporre nato costui in Sicilia, ove si fossero rifuggiti i genitori. La famiglia par di origine persiana a cagion di quel nome di Korassân, quantunque non abbia la forma di aggettivo patronimico che sarebbe Khorassânî. I Beni-Korassân furon signori di Tunis nel XII secolo.

<p>495</p>

Riâdh-en-Nofûs, fog. 60 recto. L'autore Maleki, il quale non visse di certo innanzi la fine del X o principii dell'XI secolo, cita qui con la frase: Narra Abu-Bekr etc. Da ciò argomentiamo che Maleki avea sotto gli occhi uno scritto, non un racconto inserito da autore più moderno, il cui nome avrebbe citato com'ei suole.

<p>496</p>

Costui non è detto siciliano nel Riâdh; ma lo sappiamo d'altronde. Si vegga a p. 224, nota 3.

<p>497</p>

Riâdh-en-Nofûs, fog. 107 verso.

<p>498</p>

Si vegga la p. 222.

<p>499</p>

Riâdh-en-Nofûs, fog. 73 verso.

<p>500</p>

Si vegga il Libro II, cap. X, p. 420, del primo volume.

<p>501</p>

Riâdh-en-Nofûs, fog. 79, verso. È da avvertire che la biografia di Abu-Hasan-Harîri è messa il 316, ma trovandosi tra il 322 e il 323, è da supporre uno sbaglio nella data.

<p>502</p>

Riâdh-en-Nofûs, fog. 61 recto. La morte di Wâsil è riportata al 294. Ho scritto il soprannome Sari, secondo Dsehebi, MS. di Parigi, Ancien Fonds, 802, il quale avverte che un altro nome scritto in arabico con le stesse consonanti si pronunzia Sorri.