Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II. Amari Michele

Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - Amari Michele


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le leggi civili e criminali; 3º Vegliare alla sicurezza interna; 4º Fare osservare i precetti religiosi; 5º Difendere il territorio; 6º Portar guerra agli Infedeli; 7º Riscuotere le legittime entrate pubbliche; 8º Pagare gli stipendii e spese pubbliche; 9º Adoperare capaci e fidati ministri; 10º Trattar dassè le faccende più rilevanti. Tolti questi due ultimi paragrafi che contengono consigli di condotta, non ordinamenti di diritto pubblico, gli altri doveri dell'imâm non differiscono da quei dello emiro, che nella potestà d'interpretare i dommi.

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      Mawerdi, op. cit., lib. III, p. 47, 48. Questo autore aggiunge che l'uficio di emiro poteva essere generale ovvero speciale; sendo lecito destinare un emiro alle cose di guerra e di polizia, come noi diremmo, e un altro all'azienda e giurisdizione; op. cit., p. 51. Ma tal caso sembra avvenuto assai di rado. Mawerdi stesso, p. 54, dice che nelle province conquistate di recente l'uficio di emir, di dritto, diveniva generale; nè si potea diminuirne il territorio, nè l'autorità. Le ragioni che ne allega Mawerdi son fondate su l'assioma, che il ben della religione e della repubblica musulmana va anteposto al capriccio del califo.

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      L'oficio della posta si chiamava appo gli Arabi berîd, trascrizione della voce latina veredus. Par che i Sassanidi abbian tenuto la stessa pratica in fatto di alta polizia; come l'accennai nella versione del Solwân d'Ibn-Zafer, nota 24 al cap. V, p. 313, 314.

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      Il Baiân, tomo I, p. 75, e Nowâiri, Storia d'Affrica, versione francese di M. De Slane, in appendice a Ibn-Khaldûn, Histoire des Berbères, tomo I, p. 588, fanno menzione del giuramento (biâ') prestato al nuovo emir di Affrica, Nasr-ibn-Habib (791).

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      Ibrahim non era al certo independent

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Veggasi il Libro I, cap. III, VI.

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Oltre il Corano e la Sunna, ossia il supposto precetto divino e lo esempio del Profeta, la legge si fondava sullo igtihâd, che vuol dire litteralmente “sforzo” degli interpreti ed esecutori ad applicare lo statuto ai casi non provveduti espressamente.

3

Mawerdi, Ahkâm-Sultanîa, lib. III, edizione di Enger, p. 51.

4

Mawerdi, op. cit., lib. I, p. 23, enumera così i dritti dello imâm, ossia califo, pontefice e principe: 1º Conservar la fede secondo i dommi cardinali e le interpretazioni concordi degli imâm precedenti, e ricondurre all'ortodossia i novatori, con la ragione o con la forza; 2º Far eseguire le leggi civili e criminali; 3º Vegliare alla sicurezza interna; 4º Fare osservare i precetti religiosi; 5º Difendere il territorio; 6º Portar guerra agli Infedeli; 7º Riscuotere le legittime entrate pubbliche; 8º Pagare gli stipendii e spese pubbliche; 9º Adoperare capaci e fidati ministri; 10º Trattar dassè le faccende più rilevanti. Tolti questi due ultimi paragrafi che contengono consigli di condotta, non ordinamenti di diritto pubblico, gli altri doveri dell'imâm non differiscono da quei dello emiro, che nella potestà d'interpretare i dommi.

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Mawerdi, op. cit., lib. III, p. 47, 48. Questo autore aggiunge che l'uficio di emiro poteva essere generale ovvero speciale; sendo lecito destinare un emiro alle cose di guerra e di polizia, come noi diremmo, e un altro all'azienda e giurisdizione; op. cit., p. 51. Ma tal caso sembra avvenuto assai di rado. Mawerdi stesso, p. 54, dice che nelle province conquistate di recente l'uficio di emir, di dritto, diveniva generale; nè si potea diminuirne il territorio, nè l'autorità. Le ragioni che ne allega Mawerdi son fondate su l'assioma, che il ben della religione e della repubblica musulmana va anteposto al capriccio del califo.

6

L'oficio della posta si chiamava appo gli Arabi berîd, trascrizione della voce latina veredus. Par che i Sassanidi abbian tenuto la stessa pratica in fatto di alta polizia; come l'accennai nella versione del Solwân d'Ibn-Zafer, nota 24 al cap. V, p. 313, 314.

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Il Baiân, tomo I, p. 75, e Nowâiri, Storia d'Affrica, versione francese di M. De Slane, in appendice a Ibn-Khaldûn, Histoire des Berbères, tomo I, p. 588, fanno menzione del giuramento (biâ') prestato al nuovo emir di Affrica, Nasr-ibn-Habib (791).

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Ibrahim non era al certo independente in dritto più che gli altri emiri di provincia. Per le monete di Heggiâg non occorre citazione. Su quelle di Mûsa, va ricordato che la leggenda talvolta fu latina, come si scorge dalle lettere di M. De Saulcy, Journal Asiatique, série III, tomo VII, p. 500, 540 (1839), e tomo X, p. 389, seg. (1840).

9

Capitolo V, p. 296.

10

La numismatica arabo-sicula finadesso può dare scarso aiuto alla Storia, sendo pubblicate pochissime monete, e la importante collezione di Airoldi non per anco studiata. A ciò si aggiunga, che rimangono poche speranze per l'epoca aghlabita, perchè gran copia di monete andò al crogiuolo per la gelosia dinastica, l'avarizia e il genio burocratico dei Fatemiti. Delle monete aghlabite di Sicilia alcune sono state pubblicate da Tychsen, Adler, Castiglioni; alcune dal Mortillaro, il quale compilò, utile lavoro, una lista di tutte le monete arabo-sicule, conosciute da lui. Le quattro che io ho accennato nel testo, si trovano le prime in quella lista (Mortillaro, Opere, tomo III, p. 343, seg.); ed io ne ho dato forse più corretti ragguagli nel Libro II della presente storia, cap. III, p. 283, cap. V, p. 296, e cap. VI, p. 320, del primo volume. Le altre monete aghlabite di Sicilia son registrate dal Mortillaro dal nº 5 al 12.

11

Fakhr-ed-dîn, presso Sacy, Chrestomathie Arabe, tomo I, p. 84. Non ho bisogno di avvertire che la Khotba sia la preghiera pubblica, in cui si ricorda il nome del principe e pontefice.

12

Veggasi il Libro II, cap. III, V, VI, VII, IX, X.

13

Mawerdi, op. cit., lib. III, p. 51, 52, 53; lib. XIX, p. 375, seg.

14

Come apostasia, empietà, stupro, ubbriachezza ec.

15

Come omicidii e ferite, furti, calunnie.

16

Mawerdi, op. cit., lib. III, p. 48, 51, 52, 53; lib. XIX, p. 375, seg.

17

Mawerdi, op. cit., lib. VII, p. 128, seg. Veggasi anche Sacy, Chrestomathie Arabe, tomo I, p. 132, seg. Talvolta il principe delegava alcuno allo esercizio di questa somma giurisdizione. Così abbiam ricordi di un wâli-l-mezâlim in Affrica sotto gli Aghlabiti, che poi fu câdi in Palermo.

18

Mawerdi, op. cit., lib, III, p. 48, 51, 52, 53; lib. VI, p. 107, seg.; e lib. XX, p. 405 a 408. Si avverta che la giurisdizione non restò divisa nè in tutti i paesi nè in tutti i tempi nel modo che porta il Mawerdi. Io ho voluto seguire a preferenza questo scrittore, perchè è contemporaneo alla dominazione musulmana in Sicilia, e ci mostra l'ordinamento normale d'allora, meglio che nol farebbero i trattati relativi all'impero ottomano, all'Affrica ec., al giorno d'oggi.

19

Mawerdi, op. cit., lib. VIII, p. 164, seg.

20

Mawerdi, op. cit., lib. XX, p. 404, seg. Veggasi ancora presso Sacy, Chrestomathie Arabe, tomo I, p. 468 a 470, uno squarcio dei Prolegomeni di Ibn-Khaldûn, il quale in parte copia litteralmente Mawerdi, e in parte aggiugne fatti novelli.

21

Makkari, presso Gayangos, The Mohammedan Dynasties in Spain, tomo I, p. 105; Lane, Modern Egyptians, tomo I, p. 166.

22

Ibn-Khaldûn, Prolegomeni, presso Gayangos, op. cit., tomo I, p. XXXII; e nello stesso volume, Makkari, p. 104, e nota a p. 398; Sacy, Chrestomathie Arabe, tomo II, p. 184. Al Cairo fu detto wâli-l-beled, prefetto della città; in Spagna, sâheb-el-medîna, preposto della città, sâheb-el-leil,


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