Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II. Amari Michele
che si componeano d'elementi eterogenei. La cittadinanza di Kairewân, e, poco più poco meno, il rimanente della schiatta arabica, mal soffriva la eresia nekkarita, quantunque Abu-Iezîd per soddisfar loro avesse ristorato in pubblico il culto ortodosso. Peggio potean tollerare le licenze e rapine dell'esercito, e la dominazione dei Berberi. Però la municipalità di Kairewân, quando aprì le porte ad Abu-Iezîd, fece secolui un accordo che si chiamassero gli Omeiadi di Spagna; ai quali furono mandati veramente oratori: e gli Omeiadi promesser molto, ma non si venne a conchiusione.448 Intanto Abu-Iezîd, inebbriato dell'aver che fare con gentiluomini, si vestì di seta, montò bei cavalli, e si alienò gli animi dei Kharegi più schietti o più rozzi; de' quali un gli surse contro con le armi; altri a poco a poco l'abbandonavano; nè gli valse allora ripigliar l'asinello e la casacca di lana. La difficoltà dell'impresa di Mehdia, accrebbe le discordie tra gli assedianti. Vi si aggiunse la virtù d'Ismaele figliuolo di Kâim, giovane animoso, eloquentissimo, attivo, dotato di sagacità politica e di gran vedere nelle cose di guerra, al quale il padre affidò il comando supremo.
Donde Abu-Iezîd, ributtato in varii assalti, vedendo assottigliare l'esercito da' malcontenti che se ne andavano e da' masnadieri che correano qua e là per l'Affrica in busca di più facil preda, partitosi di Mehdia (gennaio 946), osteggiò Susa, cui sperava ridurre di leggieri; e gli fallì. Venuto intanto a morte Kâim (maggio 946), Ismaele l'occultò; poi, avuti segnalati avvantaggi sopra il ribelle, promulgò la esaltazione al trono; preso il soprannome di Mansûr-biamr-Illah, o diremmo “Vittorioso per voler di Dio.” Continuando la guerra in persona, incalzò Abu-Iezîd ritrattosi negli Aurès; dopo fieri combattimenti lo assediò in un castello tra i monti di Kiâna; donde il ribelle tentò una sortita: fu colpito in fronte e alle spalle; fuggì; lo presero; e dopo pochi giorni morì di sue ferite (agosto 947). I Nekkariti intanto erano uccisi per tutta l'Affrica alla spicciolata. Fadhl, figliuolo di Abu-Iezîd, che rimase in su le armi dopo il padre, fu morto a tradimento e mandata la testa a Mansûr; morto a tradimento Aiûb, altro figliuolo rinomato scrittore di genealogie berbere; perseguitata fieramente tutta la tribù d'Ifren.
Così ebbe fine dopo quattro anni la ribellione nekkarita. Kâim, serrato in Mahdia, non s'era trovati altri amici fedeli che la tribù di Kotâma e una parte della nazione di Sanhâgia che ubbidiva a Zîri-ibn-Menâd: e da ciò venne la grandezza della casa di Zîri, che regnò in Affrica per due secoli. Capitano e consigliere fidatissimo di Mansûr nella medesima guerra fu Abu-l-Kâsem-Hasan-ibn-Ali-ibn-Abi-Hosein, della tribù arabica di Kelb; rimunerato incontanente col governo della Sicilia, che rimase per un secolo a' suoi discendenti.449 Aggiugne un diligente compilatore, essersi dato ad Hasan tal altro carico che parrebbe macchia ai nomi più infamati dei nostri dì; ma lo possiam credere al decimo secolo, sì come i posteri sarà forza che credano al secol decimonono il supplizio del bastone in Italia. Quel prode e colto Mansûr avea fatto scorticare il cadavere d'Abu-Iezîd, imbottir di bambagia la pelle e condurre il misero sembiante per cinque mesi per le città principali d'Affrica, legato sopra un camelo, in mezzo a due scimmie addestrate a schiaffeggiarlo e pelargli la barba. Or si narra che Hasan dovesse recarlo a spettacolo in Sicilia, con giunta della testa di Fadhl, ucciso di fresco. Se non che il legno fece naufragio; la pelle d'Abu-Iezîd fu salvata; e si tennero contenti d'appenderla a quella stessa porta di Mehdia, ov'egli era arrivato a piantare una lancia al tempo dell'assedio.450
In Sicilia per sei anni non s'erano più udite nè guerre nè tumulti, ma furti, soprusi, violenze private: il forte, dice la cronica, si mangiava il debole;451 accennando senza dubbio alle enormezze dei nobili e dei condottieri berberi e mercenarii che avea lasciato Khalîl. Nè l'abbondanza potea succedere alla fame, là dove mancavan le braccia a coltivare il suolo, dopo la orrenda cavata di sangue del novecenquaranta. In questo incontro un Crinite, armeno, stratego di Calabria,452 incettava frumento a basso prezzo nella provincia e rivendealo a peso d'oro nella Sicilia oppressa (son le parole di Cedreno) dalla fame e dalla guerra che vi portarono i Cirenaici; nella quale guerra i Romani dettero asilo ai fuggitivi Cartaginesi, nè lor nazione osò ridomandarli nè esigere il tributo, temendo non i Romani negassero le vittuaglie.453 Traducendo cotesti nomi di storia antica che i Bizantini non sapeano smettere, si ha la confermazione di quanto ci narrano gli scrittori arabi. Si ritrae che il Crinite continuava suo traffico almen fino al novecenquarantacinque; poichè l'imperatore che lo spogliò dell'oficio e dei danari mal tolti, fu Costantino Porfirogenito.454
Veramente la colonia di Sicilia in questo breve tratto era divenuta ludibrio delle genti vicine. Ibn-'Attâf e Ibn-Kufi preposti da Khalîl, quand'ei tornossi in Affrica, sembrano proprio il capo bargello e il capo riscotitore; nè alcuno avea titolo d'emir, come poc'anzi Sâlem: motewalli, in fatti, li chiama la cronica siciliana, che vuol dire “delegati” e litteralmente “pseudo-wâli.”455 Forse fu surrogato, il novecentrentaquattro, un Ibn-Asci'ath a Ibn-Kufi, che tra i due sembra il riscotitore; forse Ibn-'Attâf, il bargello, ebbe autorità un po' più larga il novecentrentacinque, quando il califo fatemita pericolava in Affrica e ricominciavano le mormorazioni in Palermo.456 Ma la debolezza che i compilatori appongono a Ibn-'Attâf era per vero la poca autorità dell'oficio, da non poter armare la gioventù, dare gli stipendii, osteggiare gli Infedeli, strappar loro il tributo o far colta di bottino e prigioni. Kâim, seguendo e rincalzando la pratica del padre, avea tanto accentrato il governo in Affrica e indebolito la colonia, da toglierle il principio vitale della società musulmana, ch'era la guerra: perpetuo errore dei despoti a tener il popolo tra morto e vivo per assicurarsi di lui. Il che nuoce al popolo, nuoce al despota e non impedisce le rivoluzioni; poichè e gli oppressi n'avran voglia sempre e l'oppressore non potrà prevenirle sempre. Di tutte le città musulmane, Palermo avea patito minor danno nella guerra di Khalîl. La nobiltà, i giuristi, la plebe, mal soffrendo tanta abiezione; suscitati dalle nuove d'Affrica, dove Abu-Iezîd tuttavia combattea, non seppero star cheti l'anno novecenquarantasette alla fine del ramadhan, quando le pratiche religiose e la frequenza del popolo in piazza riscaldan più le teste ai Musulmani.
Nella festa che sorvenne del primo scewâl trecentrentacinque (24 aprile 947), i Beni-Tabari, nobil casato d'origine persiana ch'era dei primi nel consiglio municipale di Palermo, levano il romore contro Ibn-'Attâf, gridando che per la costui dappocaggine e viltà i Cristiani calpestano il nome musulmano, si ridon dei patti e da tanti anni non pagan tributo. Il popolo li seguì: uscito in piazza 'Attâf coi fanti del bargello, si vien alle mani; sbaragliati i fanti e molti uccisi; prese le bandiere e le taballe di 'Attâf; sì che a mala pena arrivò a chiudersi in castello. I cittadini se ne tornavano a lor case senza incalzarlo altrimenti. Attâf indi a scrivere i soliti letteroni al principe che mandasse stuoli di soldati subito subito. I capi del tumulto procacciaron dal canto loro di ritrar come andasse la guerra d'Abu-Iezîd e che intendesse di fare in Sicilia Mansûr. Saputo ch'egli fosse per commettere il governo dell'isola ad Hasan-ibn-Ali, partirono per Mehdia Ali-ibn-Tabari ed altri uomini di nota, a chiedere, in scambio di Hasan, un emiro di lor piacimento. Il qual fine si proponeano di conseguir per amore o per forza; raccomandando ai partigiani in Palermo che non lasciassero entrare in città Hasan-ibn-Ali, nè sbarcare i seguaci dalle navi; ma aspettassero le lettere ch'essi avrebbero scritto dall'Affrica dopo l'abboccamento con Mansûr.457 Cotesta pratica si dèe riferire alla state del novecenquarantotto, quando Mansûr, spenti gli ultimi avanzi della ribellione in Affrica, ebbe agio di pensare alla Sicilia.458
Diverso dagli emiri che vennero per lo addietro a ripigliar lo stato in Sicilia, Hasan-ibn-Alî sciolse d'Affrica con poche navi: sbarcato a Mazara senza strepito, stettevi tutto il dì, come in quarantena; non facendosi anima vivente a dargli il benvenuto. A notte scura comparve una man di Kotamii, d'Arabi d'Affrica459 e d'altre genti, scusandosi che non l'avessero osato prima per timore dei Beni-Tabari e di loro aderenti, e ragguagliandolo dell'ambasceria in Affrica e altre disposizioni della parte. Nè andò guari che giunse
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I dotti e la cittadinanza di Kairewân seguirono con molto zelo Abu-Iezîd all'assedio di Mehdia. Chi mai scriverà questo bel tratto di storia, non dimentichi le notizie che ne dà il
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Il cenno che do di questa grande rivoluzione è tolto da Ibn-el-Athîr, anni 333, 334; MS. C, tomo V, fog. 343 recto a 346 recto;
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Ibn-Hammâd, op. cit., p. 497.
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’Ο Κρηνίτης Χαλδίας τῆς Καλαβρίας γεγόμενος στρστηγὸς. Nella edizione di Parigi fu aggiunto tra parentesi παρὰ dopo il nome proprio; e fu tradotto
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Cedreno, ediz. di Bonn, tomo II, p. 357.
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Cedreno, l. c. Costantino riprese il comando dell'impero in dicembre 944.
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Nowairi, presso Di Gregorio, p. 15, senza nominare Ibn-Kufi. Il Nowairi direbbe secondo la versione: “
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Confrontinsi: Ibn-el-Athîr, anno 336; Ibn-Khaldûn,
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Ibn-el-Athîr; da cui tenghiamo i particolari di questi fatti e di quei che seguirono all'arrivo di Hasan in Sicilia, non segna altre date che il tumulto di Palermo a 1º scewâl 335, e la elezione di Hasan il 336 (22 luglio 947 a 9 luglio 948). La
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Ibn-el-Athîr, solo narratore in questo luogo, scrive: la gente d'Affrica. Senza il menomo dubbio accenna agli Arabi venuti di recente dall'Affrica. I coloni si chiamavano Siciliani; i Berberi, i Kotamii, ciascuno col suo nome.