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tomo III, p. 548, in nota alla Cronica Salernitana, accenna il martirio di San Procopio, evidentemente compendiando e alterando la narrazione di Giovanni Diacono.
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Nei varii MSS. d'Ibn-el-Athîr, Ibn-Khaldûn; e Nowairi questo nome si legge Bîkesc, Benfesc, Tîfesc, Minisc, Minis, e talvolta è scritto senza punti diacritici. Edrisi pone tra Messina e Taormina, in luogo aspro e montuoso, a 15 miglia verso mezzodì da Monforte, una terra Mîkosc, Mîkos, Minis, secondo i varii MSS. Non trovo in oggi nomi somiglianti; ma il luogo risponde tra il Capo di Scaletta e il Monte Scuderi; sia Artalia, o Pozzolo Superiore, o Giampileri ec. Castello par che non ne rimanesse nè anco al tempo di Edrisi. Il nome mi par latino o greco, Vicus, Μῦχος Μηκὰς o anche Νῖκος. Mandanici, che darebbe quest'ultimo nome aggiunto a quel di Μάνδρα, non risponderebbe alla detta distanza da Monforte, che per altro può essere inesatta o sbagliata nel MS. di Edrisi.
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Veggasi la nota 4 a p. 468 del I Volume, lib. II, cap. XII, intorno il sito del castel di Demona.
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Si pronunzii come Hodjr in francese, e in inglese Hojr. Non l'ho scritto Hogr perchè darebbe un suono diverso.
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Certamente El-Iagi, quantunque alcun MS. porti El-Bâgi, Et-Tâgi ec., mutando i punti diacritici, e altro dia le lettere senza punti. Edrisi lo scrive Liâgi, come si legge nei migliori MSS., dovendosi negli altri aggiugnere un punto diacritico alla lettera b e mutarla così in i, Liag o Liagi in luogo di Lebag che si è trascritta. La differenza di ortografia tra Edrisi e le memorie, di certo anteriori a lui, su le quali compilò Ibn-el-Athîr, dà luogo a una curiosa osservazione filologica. Nel X secolo, al quale van riferite quelle memorie, il nome di Ἄκις e Acis, pronunziato in Sicilia, com'oggi Iaci, con la prima vocale strisciante nel modo che avvertii per Enna, era scritto dagli Arabi col loro articolo el; probabilmente perchè i Greci l'usavano anche con l'articolo. Nella prima metà del XII secolo, in cui visse Edrisi, si dicea Li Aci con l'articolo italiano, il che può aggiugnersi alle altre prove che la lingua nostra già si parlasse in Sicilia.
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Riscontrinsi: Ibn-el-Athîr, Ibn-Khaldûn, e Nowairi, ll. cc. Il racconto di Nowairi, che in questo luogo è particolareggiato più che gli altri, dopo aver detto di Bico, Demena e Rametta, continua: “E mandò sopra Aci, con un'altra schiera, Sa'dûn-el-Gelowi. Tutte le popolazioni insieme si rivolsero a costui, profferendo la gezîa; ma egli non l'accettò, nè volle altro patto che l'uscita loro dalle fortezze. Uscironne dunque: ed egli distrusse tutte le rôcche e castella, e ne gittò le pietre in mare.” Questo passo prova che la denominazione di Aci, al principio del X secolo, comprendesse parecchie castella; ovvero che Aci fosse come la capitale di quelle sparse sul fianco orientale dell'Etna. Tra i due supposti, terrei piuttosto il primo; perchè ai tempi di Edrisi, Aci par che fosse nominata al plurale, come dissi nella nota precedente; e in oggi v'ha infino a sette comuni di tal nome, poco lontani l'un dall'altro. Qual fosse la fortezza principale nel 902, non so. Forse Castel d'Aci, posto sopra un masso di basalto in sul mare, rimpetto alli scogli de' Ciclopi, o Faraglioni come or chiamansi: Le isole di Aci di Edrisi. Castel d'Aci è famoso nelle guerre degli Angioini contro gli Aragonesi. Potrebbe darsi ancora che la rôcca principale fosse stata sul vicin “Capo dei Molini” ove si trovano ruderi antichissimi; ovvero nel quartier della odierna Acireale, detto Patané, che ha avanzi di un edifizio romano o bizantino, e vi si è scavata una grossa pietra di lava, col noto monogramma del motto “Gesù Cristo vince” che si solea porre nelle fortezze e bandiere bizantine. Veggasi su le antichità dette l'erudito lavoro di Lionardo Vigo, Notizie storiche d'Aci Reale, cap. II.
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Veggasi il Libro I, cap. IV, p. 100, seg., e nota 1 alla pag. 102. L'episodio di Ibrahim appartiene esclusivamente a Pietro Diacono. Si conserva manoscritto nella Biblioteca di Monte Cassino; come ritraggo dalla lista messa in appendice al trattato di Pietro Diacono, De viris illustribus Cassin.; presso Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, tomo VI. È pubblicato dal Gaetani, Vitæ Sanctorum Siculorum, tomo I, p. 181, seg., con note che condannano qualche bugia e mostrano gli anacronismi sconci della narrazione, compilata, come dice Pietro Diacono, su la Cosmografia di Teofane, e la “Cronologia dei Pontefici Romani.”
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Ibn-el-Athîr, anno 261, MS. A, tomo II, fog. 92, seg.; MS. C, tomo IV, fog. 246 verso.
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Georgius Monachus, De Leone Basilii filio, § 25, p. 860, 861; e Leo Grammaticus, Chronographia, p. 274, dicono espressamente condannati a morte, pel fatto di Taormina, il Caramalo ed Eustazio drungario dell'armata; e nominano i due monasteri diversi nei quali furono mandati per commutazion di pena. Contuttociò Giorgio Monaco nel § 29, narrando la impresa di Leone da Tripoli che seguì due anni dopo, dice mandatovi Eustazio con tutte le forze navali; il quale tornò, allegando non aver potuto trovare il nemico. Pare dunque che la condanna debba riferirsi a questo secondo fatto; ma non è inverosimile, trattandosi della corte bizantina, che dopo la prima prova sia stato tratto Eustazio dal monastero, per affidargli di nuovo l'armata e la fortuna dell'impero.
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Johannis Diaconi Neapol., Translatio etc., presso Gaetani, Vitæ Sanctorum Siculorum, tomo II, p. 62.
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Johannes Cameniata, De Excidio Thessaloniciensi, esattamente narra tutti i particolari di cui fu testimone oculare; e tra gli altri, al § 18, p. 512, la nazione dei soldati capitanati dal rinnegato Leone. Perciò il Rampoldi grossolanamente sbagliò, Annali Musulmani, scrivendo sotto l'anno 902 che i “Musulmani Aghlabiti, radunata una flotta in Affrica e in Sicilia, prendeano Lenno, e minacciavano Costantinopoli, comandati da Leone di Tripoli.” Lo seguì in questo errore il Martorana, Notizie dei Saraceni Siciliani, tomo I, cap. II, p. 69; e nota 88, p. 20; e scrisse i fatti di Lenno e Tessalonica “tra le belle gesta che pur fecero i Saraceni Siciliani,” ingannato anche dalla concisione di Cedreno, il quale suppone Taormina e l'isola di Lenno occupate nella medesima impresa. Lenno fu presa dai Musulmani di Cilicia, capitanati da un altro rinnegato per nome Damiano, l'anno 903; come si scorge dalle autorità che cita il Le Beau, Histoire du Bas Empire, lib. LXXII, § 31; e in particolare da Symeon Magister, De Leone Basilii filio, § 9 e 10, p. 704, il quale porta in anni diversi i due fatti di Taormina e di Lenno. Oltre Giovanni Cameniata si veggano per la impresa di Tessalonica, Theophanes continuatus, lib. VI, cap. XX, p. 366, seg.; Symeon Magister, § 13, 14, p. 705; Leo Grammaticus, p. 277; Georgius Monachus, § 20, p. 862.
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Cento libbre d'oro secondo Giorgio Monaco, la Continuazione di Teofane, e Symeon Magister, ll. cc. Giovanni Cameniata accenna prima vagamente una grossa somma di danaro, e poi due talenti d'oro, op. cit., § 59, p. 569. Il secondo aggiugne che il danaro servisse agli stipendii e spese dell'esercito in Sicilia (τοῦ κατὰ Σικελίαν στρατοῦ), ma si deve intendere di quello che si pensava far passare di Calabria in Sicilia. Symeon Magister dice che le cento libbre d'oro eran chiuse in un cestellino (κανίσκιος) per recarle ai Franchi. Senza dubbio si tratta degli stessi Franchi di cui fa menzione Ibn-Khaldûn nel 901; e probabilmente erano i duchi di Spoleto e Camerino, che nel IX e X secolo fecero un po' i capitani di ventura. Si vegga sopra a pag. 72, 74.
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Johannes Cameniata, op. cit., § 39 e 64, p. 569 e 576; Theophanes continuatus, lib. VI, cap. XX, XXI, p. 366, seg.; Symeon Magister, De Leone Basilii filio, § 13, 14, p. 705, seg.; Georgius Monachus, De Leone Basilii filio, § 29, 30, p. 862, seg.; Leo Grammaticus, p. 277. Veggasi anche Le Beau, Histoire du Bas Empire, lib. LXXII, § 32, seg.
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Ibn-el-Athîr, l. c.; Nowairi, Storia d'Affrica, MS. di Parigi, 702, A, fog. 53 verso; e la traduzione francese presso M. De Slane, op. cit., p. 433; Ibn-Khaldûn, Histoire de l'Afrique et de la Sicile, p. 143,