Storia della Guerra della Independenza degli Stati Uniti di America, vol. 2. Botta Carlo

Storia della Guerra della Independenza degli Stati Uniti di America, vol. 2 - Botta Carlo


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gl'Indiani di San Francesco, ed altri pertinenti alle sei tribù, che più erano vicine a quella provincia. Il fine loro era di adescar quelle nazioni con promesse, con danari, e con presenti per indurle a pigliar le armi contro i coloni; la qual cosa, se per avventura si sarebbe potuta tollerare, quando, perduta ogn'altra speranza e forza, l'Inghilterra fosse stata ridotta alla necessità o di adoperar gl'Indiani, o di dar vinta la causa agli Americani, certamente non potrà non condannarsi, e come orribile non biasimarsi, allorquando altre armi, altri soldati si avevano in pronto per esercitar con prosperità di fortuna la guerra contro le colonie. La posterità non potrà non detestare i consiglj di coloro, i quali, da nissuna necessità spinti, hanno anteposto gli sfrenati e crudeli Indiani ai soldati disciplinati dell'Inghilterra. Quest'è stato un partito non solo di barbara ferità notato, ma che riuscì anche in ultimo ai suoi proprj autori esiziale. Ma la mente dell'uomo è cieca, l'animo suo spesso crudele, e le ire civili non placabili. Pensò adunque il congresso ad opporsi con efficaci mezzi a questi tentativi inglesi; e perchè la cosa procedesse con più ordine determinò, che le tribù indiane divise fossero secondo la mente sua in altrettanti distretti; a ciascuno dei quali fosse destinato un uomo a posta, il quale, essendo pratico della lingua, dei costumi e dei luoghi loro, ad essi corrispondesse, spiasse gli andamenti loro, soddisfacesse alle domande in ciò, che fossero ragionevoli, ed ai bisogni e necessità loro provvedesse. In somma non dovevano questi mandatarj nissun mezzo lasciar intentato per cattivarsi la benevolenza degl'Indiani, acciò non dessero ajuto all'armi reali, e tenessero la via neutrale. Credono alcuni, che gli uomini del congresso avessero anche il mandato di far in modo, che gl'Indiani entrassero a parte della guerra, accostandosi agli Americani contro gli eserciti inglesi. Il che non ci pare abbia la sembianza della probabilità, stantechè chiara cosa ella era, che la guerra si doveva in grandissima parte esercitare sul territorio americano; e che quest'Indiani erano soliti a mettere a sacco ed a morte così gli amici, come i nemici. Inoltre non è da credersi, che gli Americani potessero avere in animo di macchiare con una nota di barbarie sul bel principio una causa, ch'essi volevano, fosse da tutti riputata e giusta e santa. Tuttavia non vogliamo tralasciar di dire, che in Filadelfia si credeva e si annunziava, come un caso prospero, che gl'Indiani Moacchi, e quelli di Stockbridge, avendo i primi mandato la ciarpa ai secondi, il che presso di quelle nazioni era un segno di leanza, si eran confederati, e stavan pronti ad unirsi ai coloni, per correre a' danni degli Inglesi. Si credeva istessamente nel Massacciusset, che i Seneca, altra nazione indiana, fossero apparecchiati a far lo stesso. Oltre a ciò un Capo indiano, per nome Svyashan, con altri quattro Capi della tribù di San Francesco arrivarono nel mese di agosto al campo di Cambridge guidati da un Reuben-Colburn. Venivano ad offerirsi pronti ad intraprendere la difesa dell'americana libertà. Furono fatte loro le grate accoglienze, e condotti al soldo. Svyashan si vantava, che avrebbe all'uopo condotta molta gente, aggiungendo eziandio, che gl'Indiani nel Canadà, e perfino i Francesi erano a favore degli Americani volti, e pronti a collegarsi con loro. Queste cose si dicevano, e si credevano universalmente. Ma fossero qualsivogliano i desiderj del popolo, il congresso si contentava di avergli neutrali, ed a questo fine solo s'avviavano i suoi maneggi. Ciò per altro non potè impedire, che gl'Inglesi non si prevalessero di queste prime dimostrazioni, affermando aver essi tratto alla parte loro, ed usati gl'Indiani, perchè gli Americani i primi avevan voluto adoperargli.

      Speditosi il congresso dalla bisogna degl'Indiani, la quale lo aveva grandemente tenuto sospeso, si rivolse, fatto più ardito dalle giornate di Lexington e di Breed's-hill, ad onestar la causa sua, e la presa dell'armi nel cospetto di tutte le nazioni del mondo; e ciò facendo usò lo stile delle nazioni independenti. Mandarono un bando, o sia dichiarazione, nella quale con molto gravi parole ricordarono le fatiche, i disagi ed i pericoli dagli antenati loro sopportati nell'andar a piantare le colonie in quelle strane e rimote regioni; le cure loro nel farle crescere e prosperare; i patti fermati colla Corona, e l'utilità e le ricchezze che ne erano all'Inghilterra derivate. Rammentarono la lunga fedeltà e la lodata prontezza a venir in soccorso della comune madre. Quindi trapassarono a parlare dei nuovi consiglj presi dai ministri sul finire dell'ultima guerra, e fecero una diligente enumerazione delle lamentate leggi. Narrarono acconciamente le lunghe e vane querele, le decennali ed inutili supplicazioni. Accennarono le inique condizioni per la pace proposte nel Parlamento (intendo di parlare della proposta d'accordo del lord North), escogitate a bella posta per dividergli, per metter le tasse all'incanto, al quale una colonia concorrerebbe contro l'altra, non sapendo ambedue qual prezzo sia a redimer le vite loro bastevole. Descrissero la possessione nimichevolmente presa della città di Boston dalla soldatesca armata sotto i comandamenti del generale Gage; le ostilità di Lexington incominciate dai soldati reali, e le crudeltà commesse in quel fatto; la rotta fede di quel generale pel rifiuto delle permissioni di uscita, e le più peggiori permissioni concesse, per avere con barbara inumanità separato i mariti dalle mogli, i figliuoli dai genitori, gli amici dagli amici, i vecchi e gl'infermi dai pietosi, dai forti e dai sani, i padroni dalle robe e masserizie loro. Rammentarono la beccheria di Breed's-hill, l'incendio di Charlestown, l'arsione delle navi, il guasto delle vettovaglie, la minacciata rovina e distruzione di tutte le cose. Favellarono delle tente fatte dal governatore del Canadà per ispingere a' danni loro gl'Indiani, gente fera e bestiale, ed i disegni ministeriali notarono di voler accumulare sulle infelici ed innocenti colonie tutti i flagelli del fuoco, del ferro e della fame.

      «Siamo, esclamarono essi, al bivio ridotti, o di sottometterci intieramente alla tirannide d'irritati ministri, o di resistere colla forza. Abbiam ragguagliati i danni da una parte e dall'altra, e trovato abbiamo, che nulla è più da temersi, che la volontaria schiavitù. L'onore, la giustizia, l'umanità ci vietano di abbandonar vilmente quella libertà, che abbiamo dai nostri valorosi antenati ricevuta; e che la nostra innocente posterità ha diritto di ricevere da noi. Non possiam portar l'infamia di dar in preda le future generazioni a quella miserabilità, che sovrasta loro inevitabilmente, se noi con inudita viltà lasciam loro per eredità la servitù. La nostra causa è giusta, l'unione perfetta, le facoltà grandi; e non mancheranno all'uopo i soccorsi esterni. Noi ringraziamo grande e gratamente la divina Provvidenza, che a questo terribil cimento non ci abbia tratti, se non quando erano già le nostre forze al presente grado cresciute, ed avevamo nelle precedenti guerre imparato l'uso dell'armi, ed acquistato i mezzi di difesa. Con i cuori confortati da questi pensieri noi solennemente, avanti Dio ed avanti gli uomini, dichiariamo, che noi giusta nostra estrema possa quelle armi, che il benefico Creatore ha nelle nostre mani poste, ed alle quali i nostri nemici ci hanno sforzati di ricorrere, ad onta di ogni pericolo, con animi invitti ed insuperabil costanza adopreremo in difesa delle nostre libertà, essendo tutti, ed al tutto risoluti a morir liberi, piuttosto che a vivere schiavi. Che le menti dei nostri amici e concittadini non si sollevino a queste nostre determinazioni. Noi non intendiamo a niun modo quell'unione disciogliere, la quale da sì lungo tempo dura fra di noi, e che con ogni sincerità desideriamo di veder ristorata. La necessità non ci ha peranco spinti a questo disperato consiglio, nè alcun'altra nazione abbiam contro di essi alla guerra provocata. Noi non leviamo gli eserciti coll'ambizioso disegno di separarci dalla Gran-Brettagna, e diventar Stati independenti. Noi non combattiamo nè per la gloria, nè per le conquiste. Noi offeriamo al mondo lo spettacolo di un popolo assaltato da un nemico non provocato, senza niuna imputazione, o sospetto di offesa. Vantan essi i privilegj e la civiltà loro. Eppure altre condizioni non offrono, che la servitù, o la morte.

      «Nella nostra propria contrada, in difesa di quella libertà che abbiamo, nascendo, eredata, che abbiam goduta dai tempi della rivoluzione in poi, per la protezione delle nostre proprietà solo acquistate per la onesta industria de' nostri antenati, e nostra, e contro la violenza testè usata, noi abbiamo le armi pigliate. Queste porremo noi giù, ma non prima, allor quando gli assalitori avran cessato le ostilità, ed ogni pericolo che ricominciar possano, sarà allontanato. Posta umilmente ogni nostra confidenza e speranza nella mercè del supremo, ed indifferente Giudice e Governatore di tutte le cose, noi divotamente supplichiamo la sua divina bontà di proteggerci in questo gran conflitto, ed a felice fine condurci, di piegare il cuore de' nostri avversarj alla concordia, di fargli a ragionevoli termini consentire, ed in tal guisa l'impero preservare dalle calamità della cittadina guerra».

      Questo manifesto, il quale fu molto lodato a quei tempi, fu sottoscritto da Giovanni Hancock, il quale era in iscambio del Rutledge stato eletto presidente del congresso, e dal segretario Carlo Thompson.

      Il congresso non tralasciò anche in questa circostanza


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