Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo III. Botta Carlo

Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo III - Botta Carlo


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non gl'importava il simulare il desiderio della pace; perciocchè, se la pace seguiva a modo suo, otteneva l'intento, se non seguiva, sarebbe paruta la guerra opera dell'ostinazione altrui. Scriveva adunque il dì trentuno marzo all'arciduca, l'Europa sanguinosa desiderar la pace, desiderarla, ed averne fatto dimostrazione il direttorio: solo l'Austria stare armata sul continente per combattere; instigarla l'Inghilterra; dover forse continuar ad uccidersi scambievolmente Francesi ed Austriaci, perchè si facesse il piacer di una nazione non tocca dalle disgrazie della guerra? «Voi foste, diceva all'arciduca, il salvatore dell'Alemagna, siate anche il benefattore dell'umanità: anche vincendo, non potrete fare che non ne sia lacerata l'Alemagna: se questa mia proposta fosse per divenir cagione, che la vita di un uomo solo si salvasse, bene sarei io più contento della meritata corona civica, che della fama acquistata in ulteriori vittorie».

      Rispondeva l'arciduca, fare la guerra per debito, desiderare la pace per inclinazione; a nissuno più che a lui star a cuore la felicità dei popoli, ma non aver mandato per trattare intorno ad una faccenda di tanta importanza, ed a se non competente; aspetterebbe i comandamenti del suo signore. Data la risposta, mandava gli avvisi a Vienna, già molto turbata per l'avvicinarsi del nemico.

      Buonaparte intanto si faceva con prestezza avanti, sperando di far certo con la vittoria quello, che tuttavia era incerto. Ma l'arciduca, che si era messo al fermo del voler temporeggiare, fuggendo la necessità del combattere, si tirava indietro, solo ritardando con grosse fazioni del retroguardo il perseguitar del nemico. Ritraevasi da San Vito, da Fraisach, da Newmarket: ritraevasi ancora da Unzmarket sulla Mura, e da Judenburgo. Occupava Buonaparte i luoghi abbandonati, e si vedeva avanti le acque, che dall'estrema falda dei Norici monti se ne corrono per la diritta nel Danubio; già le mura dell'antica ed invita Vienna erano vicine a mostrarsi a' suoi soldati vincitori; caso veramente di tanta maraviglia, che da molti secoli addietro non era accaduto l'uguale.

      Ma già a Vienna più aveva potuto il timore che la prudenza, ancorchè la condizione di Buonaparte fosse diventata pericolosa per la subita comparsa di Laudon nella campagna di Brescia, per l'arrivo di un colonnello Casimiro a Trieste mandatovi dall'arciduca, e per essere sul mezzo della fronte l'arciduca medesimo grosso e rannodato, e con tutte le popolazioni all'intorno, che dimostravano animo stabile nella divozione verso l'antico signore. Arrivavano all'alloggiamento di Judenburgo i generali Belegarde e Meerfelt con mandato di sospendere le offese, e di comporre le differenze. Uditi benignamente dal generale di Francia, si accordarono, il giorno sette aprile, che si sospendessero da ambe le parti le offese per sei giorni. Poi, scoprendosi sempre più inclinato Buonaparte a volere condizioni vantaggiose per l'Austria con offerire compensi nei territorj Veneti alla perdita dei Paesi Bassi e del Milanese, fu prolungata la tregua insino a che fossero accordati i preliminari di pace, che secondo il corso di quei negoziati, si vedevano non lontani. Infatti, essendosi dato perfezione a tutte le pratiche, si venne fra i plenipotenziari rispettivi alla conclusione dei preliminari nella terra di Leoben il dì diciotto del medesimo mese. Alcuni dei capitoli furono palesi, altri segreti. Fra i primi contenevasi, cedesse l'imperatore alla Francia i Paesi Bassi, riconoscesse le frontiere della repubblica, quali le avevano le leggi Francesi definite, consentisse alla creazione di una repubblica in Lombardia. Stipulavano i segreti, desse la Francia in poter dell'imperatore l'Istria, la Dalmazia, il Bresciano, il Bergamasco, parte del Veronese. A questo fine appunto, e per compir questa fraude, aveva Clarke già molto avanti esortato l'imperatore ad occupare coll'armi l'Istria e la Dalmazia, ed aveva Buonaparte, pure molto prima, fatto rivoltar contro il senato Bergamo, Brescia, e le Veronesi terre: promettevano peraltro i preliminari, che la repubblica di Venezia si compenserebbe con le legazioni; il che significava, che si destinavano, senza saputa e senza consenso del senato Veneziano, ad altra potenza i suoi dominj, e che gli si offerivano compensi, prima che si sapesse se a lui erano o convenienti od onorevoli; perchè in questo, non solo si spogliava Venezia de' suoi stati, ma le si voleva dar compenso con ispogliar di altri stati una potenza con lei congiunta di amicizia: ed è anche da considerarsi in queste rivolture schifose lo strazio, e lo scherno, che si faceva di quella repubblica Cispadana, che appena nata già si voleva ridurre sotto la sferza di un governo aristocratico, come dicevano, e tirannico, che era una faccenda grave in quei tempi. Ma essendosi stipulato nei preliminari, che Mantova si restituisse all'imperatore, il direttorio non volle consentire questa condizione, certamente gravissima in se stessa, e per gli effetti che portava con se; conciossiachè il lasciare un sì forte nido all'Austria in Italia era un fare perpetuamente incerta la repubblica Lombarda, o Transpadana, che la vogliam nominare, ancora tanto tenera in quei primi principj, ed un necessitare la presenza continua di un grosso esercito Francese nell'Italia settentrionale. Rendevansi anche per la medesima cagione incerte tutte le mutazioni di stato, che in Italia avevano fatto i Francesi, e questi stati nuovi, ad una prima presa d'armi, ad un primo romore, ad un primo sospetto, ad una prima sollevazione d'animi, sarebbero iti tutti sossopra, nè mai avrebbero potuto por radice, per quel segnale importuno dell'Austria vicina e forte. Il rifiuto del direttorio fe' sorgere nuovi negoziati, pei quali finalmente fu consentita Mantova alla repubblica Transpadana, ma nacque al tempo stesso la necessità di ricompensare quella piazza all'imperatore col restante dello stato Veneto, colla città stessa di Venezia, e colla distruzione totale dell'antico governo Veneziano. Assunse l'opera barbara e frodolenta il direttorio; s'addossò Buonaparte il carico di mandarla ad effetto, ambi sperando di colorire il tradimento ordito contro i Veneziani con fingere tradimenti orditi dai Veneziani contro di loro.

      Già abbiamo in un precedente libro raccontato, che Bergamo era stato occupato da Buonaparte, come istrumento potente a volgere a sua divozione l'animo dei popoli della terraferma Veneta. Fu del tutto violento il modo, e contrario a tutti gli usi della neutralità. Entrarono i repubblicani in Bergamo, Baraguey d'Hilliers gli guidava, con cannoni ordinati a modo di guerra, con le micce accese, s'impadronirono delle porte, recaronsi in mano le artiglierìe Veneziane, intimarono al podestà Ottolini, facesse sgombrar dalla terra tutte le truppe Venete; se nol facesse, userebbero la forza. In tale guisa s'insignorirono di Bergamo coloro, che accusavano Venezia della violata neutralità. Ma questo non era che il principio, ed il fondamento delle trame che si ordivano. Erasi per opera di Buonaparte creata in Milano una congregazione segreta, nella quale entravano in gran numero i repubblicani Italiani, ed il cui fine era di operare rivoluzioni nel paese Veneziano. Alcuni Francesi vi erano mescolati, che intendevano ai medesimi fini. Tra questi un Landrieux, capo dello stato maggiore di cavallerìa, era stato eletto dalla congregazione, qual operator principale a turbare le cose Venete. Ma egli, o che avesse per onestà di natura realmente in odio quest'opere pestifere, o che per motivo meno sincero, come ne lo sospettò Buonaparte, avesse occulto intendimento con gl'inquisitori di stato di Venezia, fe' sapere o per mezzo loro, o immediatamente ad Ottolini, che, ove una persona fidata a Milano mandasse per conferir con lui, le svelerebbe cose, che massimamente importavano alla salute della repubblica Veneziana. Mandava il segretario Stefani: trovava in Milano un avvocato Serpieri Romano, trovava Landrieux, alloggiavanlo segretamente in casa Albani: affermava Landrieux a Stefani, essere onest'uomo, per questo avere in abbominio le rivoluzioni, già averne impedito una in Ispagna, volere impedire quella dello stato Veneto; a ciò muoverlo l'onore della nazione Francese calpestato da Buonaparte, dal direttorio, dai consigli, orrida tutta, come diceva, e facinorosa gente; muoverlo ancora i benefizj fatti dalla repubblica Veneziana all'esercito di Francia, muoverlo l'umanità, muoverlo il desiderio della pace: avere fra un mese ad esser pace con l'Austria, se fosse impedita la rivoluzione degli stati Veneti; nel caso contrario non esservi più modo di conciliazione, non aver più freno l'ambizione di Buonaparte; abbracciare nell'ambizione sua la sovranità d'Italia. Soggiungeva poscia, che la rivoluzione dello stato Veneto era opera della congregazione segreta di Milano, alla quale partecipavano principalmente Porro Milanese, Lecchi, Gambara, Beccalosi da Brescia, Alessandri, Caleppio, Adelasio da Bergamo; dovere lui stesso, Landrieux, essere l'operator principale della rivoluzione, sapere i nomi, le forze, le macchinazioni dei congiurati, dovere aver principio la rivoluzione in Brescia, poi dilatarsi in Bergamo ed in Crema; uomini apposta, seminatori di denaro di ribellione, essere sparsi fra i contadini delle valli, matura non essere ancora la trama, avere ad essere fra otto o dieci giorni: erano i nove di marzo. Trattenessesi, esortava, in Milano Stefani, svelasse il tutto per un procaccio fidato a Battaglia, provveditore straordinario di Brescia; perchè, affermava, impedita la rivoluzione in Brescia, s'impedirebbe anche negli altri luoghi; intanto non si facessero carcerazioni di persone, perchè per questo si ritarderebbe, non s'impedirebbe l'esito


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