Il bacio della contessa Savina. Caccianiga Antonio

Il bacio della contessa Savina - Caccianiga Antonio


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zio ebbe la delicatezza di non ritornare a parlarmi nè de' suoi progetti, nè de' miei amori, lasciando al tempo ed alla riflessione l'incarico di accomodare ogni cosa. Intanto io passava giorni malinconici e notti irrequiete, rotolandomi nel letto senza trovare riposo. Mi sarebbe impossibile raccapezzare tutti i torbidi pensieri di quelle notti insonni, che inauguravano la mia gioventù come le nuvole burrascose dell'aprile annunziano la primavera. Ma il pensiero dominante era questo: – mi ama o non mi ama?.. Il dileggio e le riflessioni di mio zio non avevano ottenuto altro risultato.

      L'amore è sempre stato uguale sulla terra, ce lo dimostra l'adolescente degli antichi, che porta le ali sul dorso, e la benda sugli occhi. L'innamorato continua sempre i suoi voli senza saper ove vada; esso non conosce gli ostacoli che quando vi batta sopra col capo, come le vespe alle invetriate. L'amore non conosce ineguaglianze prodotte dalle vicende o dalle leggi sociali: esso è un impulso della natura, è un'aspirazione dell'anima che cerca il complemento di cui manca.

      Io dunque non pensava più di prima nè alle mie tasche vuote, nè ai milioni di casa Brisnago; io pensava semplicemente a questo: – mi ama o non mi ama? – E sentivo dentro di me che mi amava, me lo diceva una voce arcana, un senso inesplicabile, un fremito irresistibile che ricercava tutte le mie fibre, non solo alla sua comparsa, ma semplicemente all'udire il suo nome, o nel vedere un oggetto qualunque che le appartenesse. Ma per convincere i profani, come mio zio, io sentiva il bisogno d'una prova materiale, evidente, sicura. Uno sguardo, un sospiro, un sorriso, una lagrima, sono prove sufficienti per l'innamorato; ma il mondo? Il mondo domanda di più. – E il mazzetto di fiori raccolto? – potrebbe essere un tratto di cortesia, di stima, di deferenza, mettiamo anche di simpatia e d'amicizia… ma d'amore? Nessuno potrebbe asserirlo. Ci vorrebbe qualche cosa di preciso, per persuadere mio zio dell'amore di Savina, qualche cosa di decisivo anche per me.

      E se alla prova essa negasse l'amore… se osasse confermare l'accusa di civetteria che le venne slanciata da mio zio!.. I sospetti sono contagiosi, ed io incominciava a dubitare di lei, di me stesso, d'ogni cosa. Se mi fossi ingannato! Se si burlasse di me! – quale atroce derisione! Eppure una ricca e bella signora può essa amare sinceramente, candidamente un povero diavolo! un povero orfano senza pane! – E poi, se ancora mi amasse, che cosa ne penserebbero i suoi parenti? – Forse potrebbero sospettare che io fossi un ambizioso, spinto dall'avidità, innamorato dei milioni!.. Quale umiliazione! Ci avrà essa pensato!.. quali possono essere i suoi progetti? O mi ama come io l'amai sempre… senza pensare ad altro che ad amare?.. Quali dubbi, quali incertezze, quanti sospetti mi entrarono nell'anima!.. E se tali sospetti dovessero mutarsi in realtà!.. partirei da Milano all'istante. – Ma se all'opposto il suo amore fosse puro ed ingenuo come il mio, se avesse fiducia nella mia fede, nel mio disinteresse, nel mio ingegno, che può offrirmi i mezzi d'innalzarmi sino a lei, potrei io abbandonarla, tradire le sue speranze, partire, lacerando la sua anima!.. no, mai! – Un'ultima prova è dunque necessaria, deve essere franca e decisiva.

      Con tale determinazione io aspettava ansiosamente il suo ritorno, discutendo in me stesso i diversi progetti che si presentavano al mio spirito come i più opportuni alla prova fissata. Ma ogni piano incontrava insormontabili ostacoli. Impossibile parlarle, difficile farle pervenire uno scritto; e poi provavo un'insormontabile ripugnanza a confidarmi ai domestici, e a comprometterla. Volevo qualche cosa che non lasciasse traccia, un cenno davanti a Dio, senza altri testimoni.

      Ho deciso finalmente, dopo maturo esame, di attendere il suo ritorno, e di mandarle un bacio appena si presentasse alla finestra. E pensava: se mi renderà il bacio, nessuno a questo mondo potrà mettere in dubbio il suo amore. Allora il mio dovere sarà fissato, – meritare la sua affezione, ed esserle fedele ad ogni costo. Siamo giovani entrambi e possiamo aspettare; e col tempo e col lavoro si possono fare miracoli. Si videro tanti poveri che coll'ingegno e col pertinace volere raggiunsero le più cospicue posizioni sociali, che il ritentarne la prova non può dirsi pazzia. Se mi ama davvero, ho trovato il punto d'appoggio che domandava Archimede, e posso muovere il mondo!..

      Se non mi ama, avrò almeno la forza di partire, e di secondare i progetti di mio zio. Se non mi ama, che m'importa in quale angolo devo portare le mie ossa? – Contessa Savina Brisnago, ecco un uomo in vostra balìa; potete salvarmi od uccidermi. Se i vostri occhi non mi hanno ingannato, voi mi amate. Se mi amate, vi domando un bacio a dieci metri di distanza… ma un vostro bacio darebbe la vita anche attraverso l'Oceano! Ritornate dunque alla vostra finestra, e decidete della mia vita.

      Alla mattina seguente mi affacciai al balcone, ma le imposte del palazzo Brisnago erano sempre chiuse e le mie invocazioni disperse al vento.

      Così passarono molti giorni. Mio zio mi osservava e taceva, io dissimulava i miei pensieri, e si tirava avanti, egli per lasciarmi agio a riflettere ai miei casi, io aspettando nell'ansia dei timori e delle speranze il momento fatale che doveva decidere del mio avvenire.

      Finalmente una mattina essendomi alzato per tempo, vidi molte finestre aperte nel palazzo Brisnago. I domestici mettevano in ordine gli appartamenti, e tutto annunziava il prossimo arrivo.

      Quella giornata mi parve un lungo periodo di secoli, ogni minuto durava un anno, un anno di pensieri, di sogni, di progetti, d'entusiasmo e di pene! Guardavo l'orologio, e pensavo: forse ella sarà qui fra due ore, e sentendo al pari di me gli impeti di una passione che trabocca, che dopo lunga compressione domanda imperiosamente di espandersi, risponderà al mio bacio ardente con un bacio modesto, ma soave come il profumo d'un fiore suscitato dagli aliti estivi. Sentivo che quel rapido istante avrebbe bastato ad infondere il genio nell'anima più fredda, era il soffio creatore che dava vita alla mia creta, m'innalzava al disopra degli altri mortali, m'illuminava di quella luce divina che eguagliando l'uomo agli Dei, lo rese talvolta capace di creare di quelle opere che eccitano la meraviglia dei secoli. E progredendo su questa scala, colla accesa fantasia salivo fra le nuvole ove dopo i più strani pellegrinaggi finivo all'apoteosi!.. compiuto il sogno riguardavo l'orologio, e non erano passati che pochi minuti!.. ma dunque le lancette non camminavano?.. sì, camminavano come i cavalli da nolo, mentre il mio cervello volava colla rapidità dell'elettrico.

      Se fossi morto quella sera mi sarebbe parso di aver vissuto una lunga esistenza. Dunque tutto è relativo nella vita, il tempo e lo spazio, la miseria e la ricchezza, le tenebre e la luce.

      Finalmente uno scalpito di cavalli, un rumore di carrozze che si arrestarono mi scossero dal letargo. Mi slanciai alla finestra, e vidi i grandi cancelli del palazzo Brisnago che si aprivano, e gli equipaggi che entravano. Risoluto all'atto solenne, mi appoggio al balcone ed aspetto. Pochi istanti dopo odo un rumore di porte, e vedo un'ombra lontana che si avanza… era lei!.. – Ancora col cappellino sul capo veniva sorridente alla finestra, a darmi il saluto del ritorno. Ebbe appena il tempo di vedermi, che io deponendo un bacio ardente sulle estremità delle dita della mano diritta raccolta davanti le labbra, glielo gettava in faccia, come un oggetto che potesse realmente caderle sul viso. Essa spalancò gli occhi sbalordita, e fuggì…

      La sua repentina scomparsa mi rese immobile per qualche tempo, e quasi asfissiato nel vuoto, e cieco come un uomo, che abbagliato dalla luce istantanea, rientra immediatamente nelle tenebre.

      Illusioni, speranze, amore, tutto era svanito: la vita mi sembrava un'ironia atroce, un inganno, un supplizio!

      Mi trascinai fino ad una sedia, caddi colla testa sul tavolino e le braccie penzoloni. Non so quanto tempo rimanessi in quella posizione, ma quando alzai la testa era notte.

      Presi una risoluzione assoluta, corsi dallo zio, gli annunziai l'arrivo della famiglia Brisnago e la mia partenza per l'indomani.

      Mi applaudì, e s'accinse subito ad apparecchiarmi le lettere di raccomandazione, mentre io corsi ad assicurarmi la vettura, ed a prendere le necessarie disposizioni.

      Alla sera tutto era pronto, Veronica aveva fatto la mia valigia, e collocato in un baule i libri, le carte, i vestiti e quanto mi apparteneva. Mio zio mi consegnò il denaro necessario al viaggio ed al mio assetto, con le lettere pel parroco, don Vincenzo Liserio, ed il signor Nicola Bruni, aggiungendo istruzioni e raccomandazioni infinite, sugli affari della casa e dei campi, e sulla mia condotta morale. Poi colle lagrime agli occhi mi diede la sua benedizione e mi congedò, non volendo alla mattina alzarsi prima dell'alba, per non rompere tutto l'ordine della


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