La plebe, parte I. Bersezio Vittorio
puntò sul desco le sue manaccie ossee senza carne, curvò la lunga persona da far pendere il suo naso enorme sopra la testa dello sconosciuto, e domandò colla voce rauca e soffocata:
– Che cosa comanda?
– Ci avete del buon brodo caldo? Disse lo sconosciuto.
L'oste accennò di sì col capo, e poi seguitò a dondolare la testa, come per significare: – Diamine! Si figuri, se nella mia osteria non si ha da trovar di questa roba!
– Ebbene, riprese lo sconosciuto, portateci una scodella di brodo con del pane, formaggio ed una mezzina di vino.
Mastro Pelone si tirò su del corpo, e facendo piombare il suo sguardo offuscato sul viso dello sconosciuto, disse interrogativamente:
– Una sola scodella?
– Sì.
– E il vino, quale? Quel da dodici?
– Quel da dodici.
Allora l'oste si rivolse sui suoi talloni e mandò in giro i suoi occhi infossati.
– Uhm! Borbottò egli fra sè tossendo; quella pettegola di Maddalena è ancora di là; quando si caccia nella stanza di quei sciagurati demonii, che Dio li confonda, la non sa più venirne via, figliuola di una mala femmina che la è… Bisogna chiamare quell'imbecille di Meo.
Andò alla botola che metteva nelle stanze di sotto e curvatosi su di essa, gridò con quanta voce gli rimaneva nella magra cassa dello stomaco: – Meo! Meo! – sforzo che gli eccitò un accesso non indifferente di tosse. Nulla rispose, nè alcuno comparve. Pelone sembrò esitare un momento intorno al da farsi; ma poi gli mancò il coraggio di rinnovare quella prova infelice, andò all'uscio a vetri della camera vicina, e picchiò colla nocca delle dita in un certo modo particolare: Quando ebbe ripetuto due o tre volte questo picchio, l'uscio finalmente si aperse, e si fece vedere la fante, la quale, tenendo il battente a metà aperto, sporse in fuori la testa e domandò al padrone con tono d'arroganza e di impazienza:
– Ebbene? Che cosa c'è?
L'oste parve ringoiare una brutta parola che gli fosse venuta alle labbra.
– C'è della gente da servire.
– E Meo? Che cosa è buono da far Meo?
– È buono da niente, borbottò fra le gengive Pelone a modo suo, e tu neppure pettegoluzza da pochi quattrini che ti carezzino le graffe del demonio.
– Che cosa dite?
– Uhm! Uhm! Dico che l'ho chiamato Meo, e che non ho potuto farmene sentire.
– Oh bene; ora lo chiamo io.
E venuta alla botola gridò con voce che avrebbe bastato ad un comandante di reggimento in Piazza d'Armi: – Meo!
– Eh? Rispose di sotto una voce d'uomo assonnata.
– Vien su presto che c'è da fare.
– Vengo.
– Animo, sbrigati, marmotta. E non istar lì giù sempre a dormire, scimunitaccio, che mi tocca far tutto a me; e tu stai continuamente in panciolle.
– Uhm! tornò a borbottar l'oste: ci stanno tuttedue, che il diavolo li porti.
– Vengo, vengo; ripetè la voce di Meo; e dopo un poco si vide comparire dalla botola le chiome giallastre arruffate, la fronte depressa, la faccia melensa, le spallaccie quadre, il corpo tozzo d'un giovinastro il quale, al solo vederlo, si poteva affermare che non si rubava un titolo immeritato quando si faceva dare dell'imbecille.
Vistolo a venire, Maddalena si affrettò per tornare nella camera da cui il padrone l'aveva fatta uscire allor allora. Ma le convenne passare vicino ai due bevitori di cui abbiamo parlato più su, e quello di loro dalle malvagie sembianze, smesso il discorrere col suo compagno, tese una mano ed arrestò per le gonnelle la fantesca.
– Eh! Una parola, Maddalenuccia bella…
Ma la giovane volgendoglisi di mala grazia e facendo a liberar le sottane dalla mano di lui:
– Lasciatemi stare. Marcaccio, disse con rozzo accento.
– No, per la barba di mastro Impicca: riprese ghignando Marcaccio. Voglio vederti, voglio parlarti ancor io, o che? Non vieni mai a mostrare il tuo musino alla nostra tavola, corpo d'un salame! Che i nostri denari non valgon quelli di que' cacazibetto che son di là?.. Sta qui un momento Cr… ch'io t'inchiodo con una manata su quella panca.
– Volete lasciarmi! Gridava fra sdegnata ed atterrita la giovane. Guardate che c'è di là il medichino, ed io lo chiamo…
Marcaccio allargò la mano e curvò il capo.
– Ah! C'è il medichino… Non chiamare nessuno stregherella del demonio, e vanne alla malora.
Così borbottò egli fra i denti stretti, e Maddalena s'affrettò a sparire per l'uscio della camera vicina. All'aprirsi di quest'uscio, gli occhi dello sconosciuto, il quale si trovava al desco postovi di faccia, poterono scorgere quegli uomini che sappiamo essere radunati in quella stanza medesima, e fra essi distinsero un giovane alto di statura, ben fatto di corpo, di bellissime sembianze, in vesti da operaio, ma portate con certa grazia signorile, come signorili erano nullameno l'aspetto ed i modi.
Lo sconosciuto parve stupirsi di vedere quel personaggio.
– To', diss'egli fra sè: qui Gian-Luigi!
Intanto il garzone dell'oste venuto su dalla botola, dietro il comando del padrone, portava sul desco dello sconosciuto il brodo, il vino, il pane e il formaggio domandati.
CAPITOLO IV
Il ragazzo raccattato per la strada dallo sconosciuto si mise a mangiare con una voracità, la quale ben provava il suo lungo digiuno. Lo sconosciuto lo guardava con una specie di compassione e di soddisfacimento.
– La fame! diceva egli fra sè. Vi hanno tante creature al mondo che s'allevano avendo questa trista compagna al fianco, la quale o non li lascia mai nella vita, o se li abbandona un istante gli è per aspettarli al varco nel giungere della vecchiaia o nel sopravvenire d'un'infermità! Malesnada fames! Ah ti conosco, spettro scarno e terribile che spingi al disonore e al delitto! Ho sentito nelle mie viscere i tuoi morsi di iena, sciagurata figliuola della miseria!.. E chi mi avesse detto allora che avrei potuto un giorno sfamare un più povero di me!.. Mangia, mangia, misero fanciullo destinato a lottar tutta la vita cogli stenti nei bassi fondi dell'agglomerazione umana. La sorte ti ha gettato nel fango della più meschina e più corrotta plebe. Saprai tu, potrai tu levartene collo sforzo della tua volontà, colla virtù delle tue opere?
Appoggiò i gomiti sulla tavola, reclinò il capo fra le mani, e stringendosi con queste la fronte vasta e intelligente, stette immerso ne' suoi pensieri.
Egli era colla mente lontano le mille miglia da quel luogo, da quel momento, quando alcune delle parole pronunziate al desco vicino, appunto perchè corrispondevano alla qualità della sua meditazione, penetrarono sino al suo intelletto, e ne chiamarono l'attenzione. Lo sconosciuto levò il capo, e stette ad ascoltare con interesse ch'e' non pensò neppur di nascondere.
Quell'uomo che abbiamo udito chiamarsi Marcaccio, così parlava al suo compagno:
– Gua', Andrea, la cosa è chiara. I preti dicono che gli è un Dio che ha fatto la baracca del mondo; per me credo piuttosto che è il diavolo. Chiunque sia, fece le cose da maligno o da cieco, e piantò per regola la più solenne ingiustizia… Andrea! Corpo di mille sacramenti! Non hai tu mai pensato perchè ci hanno da essere dei ricchi a crogiolarsi nell'ozio e dei poveri che si fanno a correggiuole la pelle?
– Ah sì! Balbettava Andrea quasi compiutamente ubbriaco, dondolando il capo come se gli fosse troppo grave da reggere. Perchè ci hanno da essere dei poveri?
– E sopratutto, perchè abbiamo ad esser poveri noi? Tu, io… Io stesso, per mille e cento Satanassi… Se le ricchezze fossero lì in libertà, a tiro di mano della gente, a chi piglia piglia, oh che non ti sentiresti tu di arraffarne la tua buona porzione facendoti strada a cazzotti in mezzo alla ressa? Vorrei trovarmici allo sbaraglio, sacramento!