La plebe, parte I. Bersezio Vittorio
Comandò Gian-Luigi con tono che non ammetteva altra ribattuta. E tu, soggiunse volgendosi a colui che aveva chiamato Maurilio, poichè ti trovo, sii il bengiunto. Vieni qui meco un istante, che ho giusto assai piacere di parlarti.
I bevitori erano tornati al loro desco, rassicurati compiutamente dalla parola di colui che essi chiamavano il medichino, il quale pareva esercitare su tutti coloro una non contrastata autorità.
All'invito di Gian-Luigi, Maurilio si alzò; era sempre pallido, e le gambe gli tremavano ancora; ma il suo sguardo aveva già ripreso quell'espressione di superiorità che davagli l'intelligenza.
– Aspettami qui, diss'egli al ragazzo, il quale era tornato ai suoi voraci bocconi; e intanto mangia finchè te ne basta l'appetito.
S'avviò, preceduto da Gian-Luigi, verso la stanza vicina, dell'uscio a vetri. Quando furono per entrarci, il medichino si volse a coloro che gli erano compagni là dentro e che parevano volervelo di nuovo seguire.
– State qui: disse loro seccamente. Ho da parlare con questo signore.
Tutti si fermarono colla più sommessa obbedienza.
Maddalena insinuò amorosamente il suo braccio su quello di Gian-Luigi e facendo vezzucci e boccuccia gli domandò:
– Ho da portarvi qualche cosa da bere?
– Non seccarmi, curiosona che sei: disse con impazienza il medichino; ma poichè vide la ragazza lasciar cascare il braccio e chinar la testa tutta mortificata: – via via, soggiunse ridendo, non mettermi il broncio, Lenuccia. Tosto che avrò finito di discorrere con quest'amico, ti chiamerò.
E per placarla di meglio, le passò un braccio attorno alla vita, e le diede un bacio che le fece sbocciare sulle labbra il più lieto sorriso.
Pochi videro quest'atto, e di questi pochi uno fu il garzone dell'oste. Meo, il quale stava sempre colla testa fuori della botola a guardare.
Alla vista del bacio dato da Gian-Luigi a Maddalena, la faccia da scemo di Meo si contrasse violentemente in modo che dinotava sdegno e dolore profondissimi, ed un sospiro cupo e soffocato gli uscì dal petto, uguale a quello di chi avesse ricevuto una trafittura nel cuore.
La testa di Meo scomparì giù nella botola; ma chi fosse stato colà avrebbe sentito il povero diavolo borbottare fra i denti.
– Ah quel Gian-Luigi!.. Se potessi mai fargliela pagare!.. Ed anche a lei!.. Mi costasse un occhio della testa che sarei contento.
I due giovani entrarono nella camera dall'uscio a vetri, e Gian-Luigi chiuse accuratamente la porta dietro a sè.
Il fuoco fiammeggiava sempre allegramente nel caminetto. Pur tuttavia il medichino prese una brancata di ramoscelli secchi e due pezzi di legna e ve li gettò sopra ad accrescere la vampa.
– Siedi, egli disse poi a colui che ora sappiamo chiamarsi Maurilio: ed egli stesso, presa una seggiola e postala innanzi a quella su cui s'era messo il compagno, vi si assettò a cavalcioni, appoggiando le braccia alla spalliera. Mio caro Maurilio! Continuò Gian-Luigi. Con quanto piacere ti rivedo! Oltre che tu mi ricordi la nostra infanzia, è da qualche tempo che sto pensando a te, perchè… sarò schietto… perchè da qualche tempo il mio animo, la mia risolutezza hanno bisogno del tuo cervello, ch'io so valere assai più del mio, e di quanti altri forse stanno sotto la calotta del cranio degli uomini che vivono oggidì.
Maurilio aveva accavallate le gambe l'una sull'altra ed appoggiando al ginocchio superiore il gomito destro faceva sorreggere alla mano la sua grossa testa reclinata, guardando acutamente, di sotto alle dita tese a paralume, l'interlocutore che gli stava dinanzi.
Alle parole di quest'ultimo che or ora ho riferite, le labbra di Maurilio si contrassero ad un sottile sorriso in cui c'erano malizia, ironia, una lieve tinta di scherno; ma non una parola fu da lui pronunziata.
La fronte di Gian-Luigi si rannuvolò alquanto e comparve leggermente accennato in mezzo alle sue sopracciglia il solco di quella ruga che ho detto. Fissò i suoi occhi ardenti in quelli di Maurilio, ma lo sguardo di quest'esso non si chinò nè sminuì punto di luce e di fermezza.
Stettero così un istante come due lottatori che si osservano a vicenda per conoscere l'un dell'altro le forze e l'abilità, e sapersi regolare a seconda.
Il medichino fu il primo a chinare lo sguardo. Trasse di tasca un elegante astuccio di sigari che contrastava stranamente co' suoi abiti da plebeo, ed apertolo tese la mano verso il compagno:
– Fumi?
Maurilio scosse la testa in segno negativo senza disserrar le labbra.
Gian-Luigi scelse con cura un sigaro nell'astuccio, ripose questo in tasca, chinatosi al fuoco prese uno dei ramoscelli fiammanti ed accese il sigaro che s'aveva posto fra i denti. Ma in questo frattempo e durante questi atti compiti con garbo che pareva d'uomo avvezzo alle maniere signorili della più elegante società, si sarebbe potuto notare in lui una certa preoccupazione, come di chi sia incerto del modo di affrontare un discorso e vada fra sè studiando il migliore.
Del resto era cosa degna di nota il cambiamento che, appena varcata la soglia di quella stanza, era avvenuto in que' due e fra quei due personaggi, che sono i principali della storia, la quale sta per isvolgersi innanzi a noi.
Nello stanzone precedente, in mezzo a quella folla concitata e minacciosa, là dove la forza dei muscoli e il coraggio fisico avevano il predominio, Maurilio appariva inferiore, debole, l'ultimo di tutti, e le superbe sembianze del robusto Gian-Luigi che colla sua forza e colla sua ardimentosa risoluzione ne imponeva a tutta la turba colà raccolta, potevano a ragione assumere quell'espressione che abbiamo notata di protezione e di compassione altezzosa; ma ora qui, fronte a fronte, questi due esseri in cui fortemente era impressa una diversa e ben definita personalità, nel colloquio da Gian-Luigi provocato, qui dove non più la forza muscolare in un contrasto materiale, ma era in giuoco il valore intellettivo in una che ambedue gli attori sentivano dover essere scherma di propositi e di idee, qui le apparenze della superiorità erano passate dalla parte della vasta e travagliata fronte, del volto scarno e pallido ma intelligentissimo di Maurilio.
Fu Gian-Luigi a rompere il silenzio, poichè ebbe avviato per bene il suo sigaro, mandando fuori rapidamente dalle labbra tre o quattro dense nuvole di fumo.
– Quanti anni sono che non ci siamo più visti?..
– Sei, rispose asciuttamente Maurilio.
– Tò gli è vero. Avevo allora vent'anni, ed ora ne conto presto ventisette Mah! come il tempo passa!.. Tu ne avevi diciotto allora, non è vero?
Maurilio fece un segno affermativo col capo, conservando sempre la sua medesima positura.
– E' mi pareva un secolo che noi eravamo divisi: riprese Gian-Luigi; eppure ora nel rivederti mi torna ad un tratto come se ieri ancora noi fossimo insieme… E tu? Mi hai tu dimenticato, Maurilio?
– No: disse quest'ultimo.
Gian-Luigi avvicinò ancora di più la sua alla seggiola del compagno, e tendendogli la mano soggiunse:
– Noi abbiamo vissuto nei primi anni come fratelli… La nostra sorte, le nostre condizioni sulla terra sono le medesime. Perchè non ci uniremmo noi nel cammino della vita?
Maurilio pose freddamente la sua grossa mano in quella che gli tendeva Gian-Luigi (una mano elegante, quasi potrebbe dirsi aristocratica, di cui si vedeva il suo possessore averne gran cura); ma non tardò a ritrarnela senza pure avere corrisposto alla stretta di quella del suo compagno.
– E tua madre? Disse ad un tratto Maurilio piantando più acutamente ancora il suo sguardo negli occhi del medichino.
La domanda parve a quest'ultimo non molto gradita. La faccia di lui si contrasse alquanto con un'espressione di malavoglia a cui tosto successe una sdegnosa impazienza, cui però fu sollecito a frenare.
– Mia madre! Rispose egli, chinando gli occhi innanzi a quelli del suo interlocutore. Chi chiami tu mia madre?.. Sai bene che al par di te io sono un misero derelitto, cui trovarono soverchio peso i genitori e condannarono infamemente all'ingiusta infamia della condizione