La plebe, parte IV. Bersezio Vittorio

La plebe, parte IV - Bersezio Vittorio


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padre corrugò la fronte molto minacciosamente:

      – Quello non è sangue nostro: proruppe; invano vorrebb'essa, quella perduta, impietosirmi su quel figliuolo d'ignobil padre, d'un perfido e abbominato e disprezzevol lignaggio. Nulla possono aver di comune i Baldissero con quella schiatta di volgo… Ma cominciamo a punir lui. Tolto di mezzo quel vile, penseremo alla disgraziata ed al frutto della sua colpa.

      Il fratello d'Aurora accennò voler insistere, e il padre, come per torsi di subito ogni ulteriore fastidio in proposito, soggiunse, non lasciandolo parlare:

      – Ad ogni modo non dimenticherò mai che quella è mia figlia.

      Il giovane marchese sapeva anche troppo che nessuna sollecitazione avrebbe mai potuto ottenere di più e di meglio da suo padre a questo riguardo: s'inchinò in segno di riverente acquiescenza, e si tacque.

      Quel giorno medesimo partirono alla volta di Milano il fratello d'Aurora, il conte di Castelletto ed un capitano delle Guardie, amico dei due precedenti, il quale venticinque anni dopo, all'epoca del nostro racconto, abbiamo trovato governatore della città di Torino. Insieme con loro partiva eziandio l'intendente del marchese, messer Nariccia, con particolari e segrete istruzioni del suo padrone.

      Per far conoscere quali fossero queste istruzioni, ci convien qui riferire un segreto colloquio che poche ore prima della partenza aveva avuto luogo fra il marchese padre, l'intendente e Padre Bonaventura, in quel tempo giovane gesuita d'una trentina d'anni, molto operoso e inframmettente, frequentatore assiduissimo e graditissimo di tutte le case dei nobili.

      Il marchese padre aveva raccontato al gesuita la scoperta avvenuta del luogo in cui si nascondevano i fuggitivi e la partenza che stava per avvenire del figliuolo affine di coglierli alla posta; poscia, guardando fisso il frate con quella sua aria imperiosa che voleva dire: le mie parole hanno da accettarsi senza discussione, e parlando con una certa simulata deferenza, nella quale pure si faceva sentire il tono orgoglioso della superiorità, soggiunse:

      – Ella, quantunque viva all'infuori delle esigenze e delle passioni del mondo, pur sa, reverendo, quali siano gli obblighi che a noi, gentiluomini, impone l'onore della famiglia, e a quelli nè io nè mio figlio non saremo per mancare giammai.

      Padre Bonaventura incrocicchiò le mani, le serrò al petto che teneva ricurvo, levò un momentino gli occhi al soffitto e poi li abbassò tutto compunto, mandando un profondo sospiro che voleva significare:

      – Eh! pur troppo conosco le crudeli esigenze dell'onore mondano: le deploro, ma sono disposto a dar loro passata.

      Il marchese continuava:

      – Ciò riguardo a quello scellerato; ma riguardo a mia figlia ed al frutto della sua colpa, sento il bisogno di consultarmi con un buon religioso qual è Lei, padre Bonaventura.

      Il gesuita s'inchinò.

      – Di udire dalle sue labbra se le mie decisioni possono approvarsi da Quel di lassù, come sento che le approva e stima necessarie la mia coscienza.

      Queste parole erano dette con una maschera di umiltà sì mal messa che di sotto appariva agevolmente e più effettivo ancora il vero intendimento del favellante, che suonava: «Voglio che mi diate la ragione, e coll'autorità del vostro carattere religioso consecriate come opera irriprovevole lo sfogo della mia passione.»

      Bonaventura prese il contegno di chi si mette ad ascoltare con profonda, vivacissima attenzione.

      – Disgiunta dal suo vile seduttore, mia figlia sarà tenuta in luogo dove nessuno la veda nè pur la sappia finchè siasi liberata… Dopo, appena guarita, entrerà in un monastero, dove rimarrà finchè… finchè decideremo noi che basti… Lei, padre Bonaventura, mi farà il favore di cercarmi un monastero acconcio, in cui possa ravvedersi quella povera anima, espiare colle preghiere e colle macerazioni della carne il proprio fallo, e dove nello stesso tempo non si dimentichi che quella è figliuola del marchese di Baldissero.

      Il gesuita tornò ad inchinarsi.

      – Mi farò una premura d'obbedirla, Eccellenza, diss'egli, e spero che riuscirò a soddisfarla compiutamente.

      Successe un istante di silenzio; il marchese pareva non voler più dir nulla; il frate, chinato un poco verso il suo interlocutore, stava nella mossa di chi aspetta il principale del discorso; Nariccia, rimasto sempre a bocca chiusa, seduto un po' discosto, guardava di sottecchi colle sue pupille bircie ora l'uno ora l'altro.

      – E?.. e?.. disse poi il frate.

      – Che cosa? interrogò il marchese superbamente.

      – E il fanciullo? susurrò con voce sommessa che quasi non s'udiva, padre Bonaventura.

      Nella faccia del marchese apparì quella feroce espressione che già gli conosciamo.

      – Quel fanciullo, diss'egli a voce bassa, ma fremente, è l'onta della mia famiglia personificata: e come questa onta si de' cancellare, così egli ha da scomparire.

      Padre Bonaventura si trasse indietro colla seggiola; Nariccia fece un leggier trasalto sulla sua.

      – Scomparire! esclamò il frate; come la intende, signor marchese?

      Questi si piegò verso il gesuita.

      – Che privilegio può aver egli ad una sorte diversa da quella degli altri frutti di simili colpe? La famiglia di suo padre andrà dispersa, nella nostra non può entrare: non gli resta che il destino del trovatello. Sarà posto come tale in un ospizio.

      I due che udivano queste parole erano troppo soggetti al potente personaggio che parlava, per manifestare in alcun modo, anche il più lieve, la menoma riprovazione, e fors'anco non sentivano neppure entro sè veruno sentimento siffatto; ma tuttavia a que' detti del marchese tenne dietro un silenzio che tornò per tutti impaccioso e che nessuno sapeva rompere.

      Fu il signor di Baldissero che dopo un poco riprese a dire come complemento del precedente discorso:

      – A quell'ospizio, nello stesso tempo che sarà presentato il bambino, arriverà una vistosa somma d'elemosina, così che tutti i compagni di sventura di quel frutto della colpa avranno dalla sua venuta alcun giovamento; e nello stesso tempo, a propiziare la divina pietà all'anima medesima di quell'empio che mi rapì la figliuola, alla nostra così crudelmente provata famiglia ed alla sorte del neonato, intendo presentare alcuna offerta alle chiese dei Ss. Martiri e della Madonna del Carmine, che sarà di due lampade d'argento, e pregare la loro carità, reverendi padri, a voler dire un centinaio di messe a mia intenzione.

      Padre Bonaventura s'inchinò più basso di quello che non avesse ancora fatto per l'innanzi, e disse col suo tono mellifluo, colla sua voce untuosa, coi suoi occhi bassi e colle sue mani incrociate:

      – S. E. invero è sempre un esemplare di sentimenti religiosi e di generosità. Iddio saprà darle compenso, e dileguate queste poche nubi, vedrà che le manderà più splendido il sereno di quella felicità anche terrena che la si merita.

      Fece una pausa, mandò un sospiro, strabuzzì degli occhi e poi riprese con maggior compunzione:

      – Ah! certo Ella ora si trova in una penosa condizione. La nostra divina religione inculca il perdono delle offese, ed io che conosco il suo bel cuore so quanto sarebbe pur dolce a Lei il perdonare.

      Il marchese fece una smorfia, che smentiva ricisamente l'allegazione del frate.

      – Ma, continuava questi, pur troppo noi non possiamo aggiustare il mondo e le cose come vogliamo, e ci conviene accettare quali sono le circostanze in cui ci volle mettere la Provvidenza. Ella, pel grado che occupa, pel lignaggio a cui appartiene, per le condizioni sociali in cui si trova ha certi obblighi, certe necessità su cui non può transigere, ed è volontà divina che ciascuno compia suoi doveri varii secondo il diverso stato. Considerata adunque bene ogni cosa, io credo che V. E, fu bene ispirata nelle sue decisioni, e che a Lei, nel metterle in atto, non sarà per mancare il divino aiuto.

      Il marchese si alzò; e gli altri ne seguirono lo esempio.

      – Non dubitavo punto che avrei trovato anche questa volta in Lei, padre Bonaventura, quel religioso prudente e di buon consiglio che sempre mi si mostrò. Ecco dunque ciò che rimane da farsi.


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