La plebe, parte IV. Bersezio Vittorio

La plebe, parte IV - Bersezio Vittorio


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a pagare.

      Quando quest'epoca dell'età maggiore del figlio fu arrivata, la madre si spogliò senza indugio dell'amministrazione del patrimonio che era proprietà assoluta di Maurilio, e cui pure ella mercè l'economia ed i risparmi aveva di qualche poco accresciuto; e il giovane trovatosi di poter disporre di una somma che a lui in quei primi momenti pareva inesauribile, la diede per mezzo ai dispendi, senza che servissero di valevol freno gli ammonimenti prima, e poi, visto inutile ogni parola, i bronci della madre. Di siffatta guisa non andò gran tempo che Valpetrosa ebbe consumata una gran parte di quelle sostanze salvate alla liquidazione dell'avere paterno. Ardente di carattere, generoso dell'animo, aperto e inchinevole ad ogni nobile impulso, Maurilio era entrato nella congiura dei patrioti che volevano francare dallo straniero l'Italia e sognavano nella monarchia, nell'esercito e nel popolo piemontesi un aiuto alla santa difficilissima impresa.

      Trattandosi di fermare più stretti gli accordi fra i congiurati dell'una e dell'altra parie del Ticino, si pensò mandare in Piemonte uno dei lombardi che seguisse attentamente lo svolgersi dei fatti, si mettesse in giorno d'ogni processo della congiura, e di là comunicasse notizie, cenni, istruzioni; e niuno fu pensato poter meglio adempire questo ufficio di Maurilio Valpetrosa di scelte maniere, di vivacissimo ingegno, di simpatiche sembianze e di animo sicurissimamente incrollabile. Da ciò quelle tante ed efficaci lettere di favore dell'aristocrazia milanese che l'avevano introdotto nell'intimità della superba aristocrazia di Torino; per ciò quelle sue lettere di credito per somme vistose, di cui egli usava così largamente, cui egli aveva ritenute assolutamente indispensabili alla riuscita del suo compito e per ottenere le quali egli aveva impegnato tutto o quasi tutto il restante suo patrimonio.

      Le cose gli erano andate perfettamente a seconda. Aveva egli mandato innanzi con uguale buon esito e di pari passo gl'interessi della patria causa e quelli del suo amore; aveva udito dalla bocca di Carlo Alberto parole che erano più d'una speranza, che potevano dirsi promesse; coi capi della cospirazione mezzo civile, mezzo militare, che si rannodava intorno al palazzo Carignano, aveva inteso i modi d'esecuzione del vasto disegno; aveva ottenuto da Aurora le massime prove d'amore. Ogni causa di suo soggiorno a Torino era cessata; partì come vedemmo e rapì alla sua famiglia la sedotta figliuola del marchese di Baldissero.

      La madre di Valpetrosa non accolse Aurora come una figlia, sibbene con e una straniera intrusa nel loro domestico affetto. La sua timidità, l'amore misto ad una soggezione che aveva per suo figlio, non le lasciarono manifestare in modi aperti e positivi questo suo sentimento verso la nuora; ma esso apparve continuatamente nella freddezza poco meno che ostile, nell'impaccioso silenzio, nella costante musoneria che teneva con Aurora. Dopo alcun tempo, venutole un maggiore coraggio, si mostrò eziandio in certe indirette rampogne, in velate lamentazioni che ella faceva ad alta voce seco stessa in presenza della nuora, senza volgere a lei la parola, ma perchè andassero a ferirla. Aurora non aveva mezzo alcuno, nè credeva manco sua dignità, di rispondere; curvava il capo e taceva, come se quello non fosse fatto suo; ma sentiva intanto invaderla un'immensa amarezza.

      Per la nobile figliuola dei Baldissero già cominciava la crudele epoca delle delusioni; dalle serene regioni dell'ideale dove s'inebriava di vaghe chimere l'anima sua, veniva ella precipitando nell'aspro mondo della realtà, e per affarsi a questo nuovo ambiente ond'era avvolta conveniva le si strappassero dintorno le antiche abitudini, dalla mente le antiche idee e le si venissero facendo a poco a poco, quasi direi, una nuova carne, un nuovo spirito. Bene l'aveva il suo amante chiarita dapprima delle proprie condizioni, ed adombratole il destino ch'egli poteva offrirle; ma come avrebbe potuto dipingerle con esatti colori la verità, mentre egli medesimo non era tuttavia ben conscio di questa stessa verità? Inoltre cosiffatti discorsi tenuti di fuggita in ratti colloquii, fra due proteste d'amore, usciti dall'appassionato labbro dell'uomo che vi ama, come potrebbero agli occhi d'una innamorata fanciulla, inesperta del mondo, vestire le giuste sembianze della realtà? Aurora, dietro i detti di Valpetrosa, aveva si pensato ad un'esistenza modesta, ritirata, anche povera; ma rallegrata pur sempre dalla divina luce di quel loro amore, ma vista traverso quell'immenso desiderio comune di unire le loro sorti, codesta esistenza si lumeggiava di certe poetiche tinte, si ornava del pregio d'un sacrifizio nobilmente sostenuto, onde si compiacevano lo spirito romanzesco e il generoso istinto di quella eletta e leggiadra creatura. Ella non aveva menomamente pensato, perchè non poteva in nessun modo supporle, alle piccole volgari contrarietà d'una vita domestica in ristrette condizioni, alle fastidiose tribolazioni d'una lotta intestina, alle punture di spillo d'una suocera inasprita; e quando la si trovò in mezzo a tutto ciò, ebbe in fondo all'anima una pena ed uno scoraggiamento, cui, volendo nascondere, sentì più forti, e che, se non furono un pentimento, s'accostarono di molto ad un rimorso.

      Durava tuttavia, e nelle stesse proporzioni, l'amor suo per l'uomo a cui aveva sacrificato ogni cosa; ed egli si mostrava e mantenevasi degno pur sempre di tanto affetto. Se Valpetrosa avesse potuto dare tutto il suo tempo, o la maggior parte almeno, al dolcissimo compito di circondare dell'amor suo l'anima e l'esistenza della sua giovane sposa, qual traversìa, qual contrarietà avrebbe ancora avuta tanta forza da penetrare sino al cuore di lei, difeso da sì cara e potente armatura? Ma le bisogne della congiura esigevano imperiosamente il tempo, le cure, la mente tutta di Maurilio Valpetrosa, che nella rischiosa intrapresa aveva impegnati la sua più dominatrice idea, le sue più forti aspirazioni, il più solenne suo giuramento. Aurora, per forza trascurata, rimaneva sola, in casa, senza trammezzo nessuno, alla presenza della suocera ostile, al contatto delle uggiose volgarità, all'inevitabile paragone del suo presente col passato.

      Si ritraeva ella nella camera coniugale, così infaustamente disertata dal marito, e si affondava nelle più dolorose meditazioni dei suoi casi. La sua colpa, della quale il trasporto dell'amore le aveva dapprima velata la gravità, allora le appariva d'una inesprimibile enormezza. Vedeva la faccia sdegnata di suo padre improntata d'una severità che non perdona; le pareva d'udire suonare da quel labbro superbo la maledizione sul suo capo; pensava eziandio a sua madre morta, e si figurava con ispavento vederla ella stessa, che pure l'aveva amata cotanto, sorgere dal suo sepolcro e lanciarle un'inesorabil condanna. Correva allora a prendere quel rosario d'agata che aveva portato seco, unico ricordo della spenta genitrice, e lo baciava implorando perdono, e, gettatasi in ginocchio, pregava. Poi piangeva, e correva il suo pensiero all'amoroso fratello colaggiù nella Spagna. Che cosa avrà detto del fallo di sua sorella? pensava la misera. Certo si sarà unito ancor egli a tutti gli altri a condannarla e maledirla. Sentiva coll'immaginativa il coro di riprovazione che aveva dovuto levarsi nella nobile società torinese, in tutta la cittadinanza, allo spargersi della scandalosa novella della sua fuga; arrossiva e tremava, tutto sola, a questo pensiero, e si copriva colle mani la faccia e si diceva con infinito tormento: – «Nessuno, nè anche mio fratello, non ha diritto di impor silenzio a quelle voci che affermano il mio disonore.»

      Ma pure il fratello, ella sperava, sapeva che non si sarebbe congiunto cogli altri ad imprecare su di lei. Egli l'amava tanto! Se c'era anima al mondo in cui potesse entrare un sentimento di compassione per essa, insinuarsi un generoso impulso di perdono, era quella. Dov'essa Io avesse pregato intercessore fra lei e suo padre, non egli si sarebbe rifiutato all'opera pietosa. E se a lui scrivesse?.. Ah! no; era inutile. Intercessione veruna non avrebbe giovato mai a placare la giusta collera paterna, ch'ella immaginava seco stessa tremando. Quando erasi partita aveva pure pensato un istante di lasciare pel padre un motto che umilmente supplicasse perdono; e non aveva nemmanco osato vergarlo. Ora gli parve che pur tuttavia al fratello potesse e dovesse assolutamente dirigere una parola; scrisse a Madrid e stette ansiosamente aspettando risposta.

      Infelice! Ella non prevedeva quanto crudeli e fatali avrebbero avuto ad essere le conseguenze di questa sua lettera.

      Pel superbo marchese era stata la fuga della figliuola una ferita crudele e profonda; non tanto per l'amore ch'egli avesse ad Aurora, il quale in verità era temperatissimo, e veniva dopo altri affetti e sentimenti parecchi, quanto per l'orgoglio che giudicò l'onore della stirpe gravemente offeso. Suo primo impulso era stato correr dietro egli stesso ai fuggitivi, strappare dalle braccia del rapitore la figliuola e gettarla in un monastero, lui ammazzare come si fa del ladro che si coglie nell'atto di rubare; ma la riflessione lo trattenne. La sua condizione sociale, il suo grado, la età non gli consentivano di questi partiti spicciativi; non a lui sì apparteneva raggiungere e punire i colpevoli; egli, supremo capo della famiglia, doveva avvisare e decidere ciò che occorresse per vendicarne l'offesa


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