La plebe, parte IV. Bersezio Vittorio

La plebe, parte IV - Bersezio Vittorio


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che possa occorrere. A voi l'incarico di condurre Aurora nel più rimoto ritiro che sappiate trovare; a voi quello di togliere, quando sia tempo, dal fianco di lei il neonato… A Lei, padre Bonaventura, l'accorrere presso la infelice a farle udire la voce di Dio e condurla al convento… Io, quella disgraziata, non la vo' manco vedere… Non ho bisogno di dirvi, Nariccia, che tutto quanto occorrerà, potrete spendere.

      Il gesuita e l'Intendente uscirono insieme, e il secondo accompagnò il primo per un tratto di strada verso il suo convento.

      Non si parlarono per un po': sembrava che evitassero perfino di guardarsi. Ad un punto fu il frate che, chinatosi vivamente verso il suo compagno, gli disse all'orecchio:

      – Credo che fareste bene a mettere un segno a quel bambino nell'esporlo, affinchè in un caso qualunque lo si potesse riavere… Non si sa mai quel che possa arrivare!..

      Nariccia fissò entro gli occhi il gesuita e gli sguardi di quei due maliziosi s'affondarono l'un nell'altro.

      – Ci ho già pensato: disse poi l'intendente. E continuarono la loro strada in silenzio.

      E di molte cose ne aveva pensato il tristo Nariccia. Egli aveva continuato a mantenersi in relazione col rapitore d'Aurora; quando Valpetrosa stava per partire, aveva scritto all'intendente dei Baldissero quella lettera di cui il medichino aveva letta una parte salvata dalla fiamma, allorchè Graffigna, che se n'era impadronito in casa dell'assassinato Nariccia, aveva voluto porgergli fuoco da accendere il sigaro.

      Ritirate da Valpetrosa le quindici mila lire che aveva creduto necessarie per la sua fuga con Aurora, un altrettanto e più di spettanza del giovane milanese rimaneva tuttavia presso Nariccia; e questi, posseduto fin dalla sua prima giovinezza da una smania feroce di arricchire, dalla passione dell'avaro e da quel rabbioso amore dell'oro onde cotanto si degrada l'anima umana, all'apprendere la venuta del fratello d'Aurora e il suo disegno di vendetta su Valpetrosa, aveva pensato che quando questi nello scontro con Baldissero morisse, quella somma rimarrebbe sua senz'altro.

      Quando arrivarono in Milano Baldissero coi suoi due padrini e Nariccia, quest'ultimo, mentre gli altri per l'ora troppo tarda decidevano di non presentarsi a Valpetrosa che il domattina, di soppiatto e sollecitamente recavasi dallo sposo d'Aurora ad avvisarlo di quel che lo minacciava. Il giovane ebbe una forte emozione che non cercò nemmeno dissimulare: ah! non era timore per sè, che dotato egli era d'ogni valore; ma era paura, viva paura del dolore e della sorte che sarebbero toccati a sua moglie ed al figliuolo suo nascituro. Macchiarsi egli del sangue del fratello di lei era grave al suo pensiero, ed era più grave ancora il pensare ch'egli stesso potesse nello scontro soccombere. Per intanto ciò che premeva era fare in modo che Aurora non avesse a concepire pure un sospetto della minacciata sventura, da avanzarle almanco delle ore penosissime di spasimi e paure. Decise a quest'effetto che il mattino vegnente si sarebbe appostato fin di buon'ora sulla strada ad aspettare la venuta dei padrini di Baldissero, perchè non avessero da entrargli in casa ed esser visti dalla sposa, la quale, riconoscendoli, avrebbe potuto agevolmente indovinare il motivo della loro presenza. Già di molto erasi turbata Aurora del vedere l'intendente di suo padre, e benchè le avessero detto che cagione di questa venuta erano gli affari d'interesse tuttavia pendenti fra quell'uomo e suo marito, tuttavia una specie d'istinto la teneva in un'ansietà piena di sospetti.

      La seconda e rilevantissima cosa a cui volle provvedere Valpetrosa fu il destino della moglie e del figliuolo da nascere. E per ciò a cui aveva egli da affidarsi se non a Nariccia, al quale la sua fama di religioso dava aria di onesto, e che, nelle attinenze sino allora avute, all'inesperto e confidente giovane era apparso fedele e leale? Lo pregò volesse egli assumere codesta opera pietosissima; salvasse Aurora e il suo bambino dall'ira e dalle vendette della famiglia di lei; gli consigliò la moglie e la madre da cui la morte lui disgiungesse, Nariccia facesse riparare in qualche oscuro, rimotissimo luogo della Svizzera, e là sovvenisse di quanto abbisognavano quelle infelici; egli, Valpetrosa, con una ultima lettera da consegnarsi loro in caso di sua morte, avrebbe alle medesime manifestato come in tutto e per tutto dovessero in lui rimettersi ed a lui affidarsi.

      Quanto ai mezzi di vivere, quanto alle fortune di quelle poverette, ohi come si dolse allora Valpetrosa d'avere così sconsideratamente sciupata tanta parte dell'aver suo! Ma quel che rimaneva, come fare perchè rimanesse e bastasse al sostentamento della famigliuola, e s'aumentasse da fornir poi al figlio che doveva nascere se non un'agiatezza, quanto meno una sicurezza del pane? Qui si trovarono a fronte la facile fiducia e la leale natura del giovane da una parte e dall'altra la frodolenta accortezza dell'antico servo dei Gesuiti, il quale non era stato tardo ad architettare per queste circostanze sopra le proposizioni del giovane un suo perfido disegno. E si decise: che Valpetrosa facesse un atto solenne di cessione d'ogni aver suo a Nariccia medesimo, perchè da costui si potesse esigere ogni capitale di spettanza del primo ed insieme colle somme che ancora rimanevano presso di lui in deposito, trafficarlo nelle sue speculazioni ch'e' chiamava bancarie; che di tutto questo avere il depositario pagherebbe un annuo interesse del cinque per cento non che una data parte degli utili ricavati dall'uso di tali somme, le quali annualità sarebbero pagate a Valpetrosa medesimo finchè e' vivesse, alla madre ed alla moglie venendo egli a mancare; che Nariccia pagherebbe a semplice richiesta di Valpetrosa di chi per lui, tutto o quella parte di tal capitale che si volesse poi ritirare; e che per impedire gli effetti giuridici di quell'atto di cessione, Nariccia avrebbe rilasciato a Maurilio una privata dichiarazione, con cui si certificasse come quella cessione fosse una finta soltanto e si determinassero i veri patti fra loro intravvenuti.

      Valpetrosa prese di poi le mani dell'ipocrita Nariccia, e stringendogliele con forza, guardandolo con occhi umidi, con atto e voce che erano tutta una supplicazione, soggiunse:

      – Vi raccomando ancora una volta Aurora e mia madre… e mio figlio! (Nel dire quest'ultima parola, tremò la sua voce.) Oh mio figlio! Se il mio sangue avesse da farlo felice, con qual gioia lo darei tutto!.. Egli porterà il mio nome… Aurora lo desidera… lo desidero anch'io… ricordatevene! ch'ei sia battezzato sotto il nome di Maurilio… Ma più di tutto egli e sua madre sieno sottratti alla famiglia di Baldissero… Appena lo scontro avvenuto, s'io muoio, accorrete a torli di qua, perchè il marchese non li trovi… Ch'e' fuggano, per amor di Dio!.. Voi me lo promettete? Voi me lo giurate?

      Nariccia diede tutte le promesse e tutti i giuramenti che piacquero a Valpetrosa, e questi ebbe il coraggio di rientrare colà dove aspettavalo sua moglie, con una fronte serena così che Aurora se ne sentì rassicurare la povera anima conturbata.

      CAPITOLO III

      Era una fredda mattinata invernale, e Maurilio Valpetrosa tutto avvolto nel suo mantello stava passeggiando da un po' di tempo nella strada innanzi alla sua abitazione, quando, visto da lontano due persone bene imbacuccate ancor esse venire a quella volta, e' si piantò sulla soglia del portone che metteva nella casa ove dimorava; e trattasi giù dal viso la falda del mantello, lasciò scorgere le sue leggiadre fattezze. E' non s'era ingannato nella sua previsione; que' due si fermarono a quella porta, lui guardarono bene, si ammiccarono, scambiarono sommesso e ratto due parole, ed avvicinandoglisi uno si scoprì la faccia del pari e gli disse con un accento in cui sotto una finta cortesia nascondevasi un'ostilità superba:

      – Giusto Lei, signor Valpetrosa, è la persona di cui venivamo in traccia… La mi riconosce?

      Valpetrosa fece un lieve inchino ed un gentile sorriso:

      – Perfettamente, rispose, signor conte di Castelletto.

      Il compagno di costui s'era pur egli scoperta la faccia, e il conte lo presentava dicendone il nome.

      – Ed ora, riprese Valpetrosa con elegante scioltezza, a che cosa debbo attribuire l'onore che mi fanno cercandomi?

      Rispose il conte di Castelletto:

      – È cosa che richiede per dirsi altro luogo più acconcio che la strada; ma spero ch'Ella indovinerà agevolmente la qualità della nostra ambasciata, sapendo che ci manda il marchese di Baldissero figlio, il quale è qui, a Milano, venuto apposta da Madrid.

      – Capisco senza bisogno d'altra parola: disse Valpetrosa con una serena tranquillità, ma benchè mi rincresca assaissimo il non poter aver l'onore di accoglierli nella mia umile casa, capiranno, spero, senza difficoltà anche loro le ragioni che mi tolgono


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