La plebe, parte IV. Bersezio Vittorio
Nariccia si traducesse in qualche precisa parola, in qualche ulterior segno soltanto onde un più sicuro concetto egli potesse farsi del fondamento o della insussistenza di quella speranza; ma l'accorto impostore aveva saputo metter tosto la maschera al suo volto impassibile e si rinchiuse nelle precedenti negative espresse gli è vero con meno vigore di prima. Il marchese uscì di colà coll'animo combattuto; stette parecchi giorni infra due e si decise finalmente ad un grande ed audacissimo passo: quello di aprirsene a suo padre.
CAPITOLO IV
Nel marchese padre, da qualche tempo veniva declinando assai la salute, ed avreste detto sfuggirgli a poco a poco la vita. Il suo carattere, divenuto taciturno e melanconico, era pur tuttavia rimasto fiero ed orgoglioso del pari. Usciva di rado fuor del palazzo, spessi giorni non abbandonava il suo appartamento, di frequente non discendeva manco di letto: non si lamentava mai di nessun male, non faceva nulla, non voleva medico intorno a sè, amava rimaner solo, passavano dei giorni intieri senza ch'ei disserrasse le labbra a dir pure una parola. Chi avesse conosciuto l'intima storia degli ultimi anni passati, avrebbe potuto dire che un interno rimorso con travaglio continuo ne consumava l'esistenza, se il suo aspetto, l'espressione della sua fisionomia non avessero fatto troppo aperto contrasto a tale supposizione. In lui non c'era nulla dell'uomo che si pente o soltanto rimpiange quel che ha fatto: nè una parola, nè pur la fugace mostra d'una sensazione. Padre Bonaventura che il più delle volte era solo ammesso alla presenza di lui, ed al quale non si rifiutava mai l'ingresso e il marchese pareva tenere aperto il più riposto sacrario dell'anima sua, non udì mai parola, non sorprese mai atto nè cenno qualsiasi da cui altra cosa si potesse indurre se non questa: che il marchese ciò che aveva fatto sarebbe disposto a ripeterlo di tutto punto, dove ne fosse il caso.
Eppure egli veniva morendosi a poco a poco. Tutti lo scorgevano intorno a lui, e lo scorgeva e mostrava saperlo egli pure. Quando gli si parlava di cose avvenire, aveva un certo sorriso sulle sue labbra tirate che mostrava com'egli non avesse più illusione di sorta sul suo destino. L'orizzonte del suo futuro, nel pensiero come nelle parole, egli lo limitava alla data di pochi mesi: allo scultore aveva dato egli stesso la commissione del bassorilievo che nel sepolcro di famiglia avrebbe segnato la sua fossa e fissatogli il tempo in cui avrebbe dovuto essere compito; nelle mani del Re aveva rassegnato tutte le sue cariche di Corte, e la solitudine di cui voleva essere circondato oramai era per lui la preparazione a morire.
E che così fosse era persuaso quant'altri mai anche Nariccia. La morte del marchese avrebbe potuto mutare le condizioni e le convenienze del già intendente verso la famiglia, rapporto all'episodio doloroso che riguardava la marchesina Aurora. Le parole del fratello di costei aprirono allo scellerato un nuovo campo di speculazioni in proposito. Certo egli era già che la povera madre avrebbe pagato vistosamente per riavere il figliuolo creduto morto; ora le s'aggiungeva il fratello: destramente maneggiandosi egli avrebbe potuto ricavare e dall'uno e dall'altra i migliori guadagni del mondo, se la paura del vecchio marchese non ne lo avesse ad ogni modo trattenuto. Ma questa paura poteva dileguarsi: pochi mesi ancora, e chi la ispirava facilmente non sarebbe stato più. Che cosa avrebb'egli ottenuto dai figliuoli suoi quando egli si fosse presentato loro col bambino ricuperato, adducendo incontrovertibili prove dell'identità del medesimo? E giustamente il giorno dopo quello in cui era venuto da Nariccia il fratello d'Aurora a fargliene le aperture che sappiamo, il marchese padre, assalito da nuova debolezza, si sentiva nell'impossibilità di levarsi di letto e confessava esser preso da una tale languidezza che gli pareva quasi sciolto il legame che tiene l'anima incatenata al corpo. Alcuni giorni passarono in cui quel malore venne via via crescendo; parve all'infermo stesso fosse opportuno farsi amministrare i sacramenti onde la religione conforta la morte dei cristiani, e fra' Bonaventura a cui glie ne disse, pensò a tutt'altro che a dissentire.
Codesto spinse vieppiù Nariccia alla determinazione di adoprarsi in guisa da potere, morto il marchese, presentare ad Aurora il bambino fatto rivivere; vedremo più tardi come e che cosa egli facesse per ciò; ma intanto si può dire fin d'ora che in breve tutto fu da lui immaginato e preparato, perchè dopo la morte del vecchio marchese fossero soddisfatti i voti e le speranze d'Aurora.
E di costei che cosa ne avveniva? La cresciuta infermità del padre e l'avvicinatosi pericolo avevano consigliato al fratello d'Aurora di tentare una riconciliazione fra il moribondo e la figliuola. Al primo fece, per mezzo di fra' Bonaventura, inculcare la virtù del perdono, alla seconda scrisse egli medesimo dicendo esser obbligo de' figli innanzi all'agonia de' genitori obliar tutto e cancellar dall'animo anche i più giusti risentimenti. Riuscì ad ottenere che il padre consentisse ad accogliere la figliuola, e questa non si rifiutasse ad entrare di nuovo nella casa paterna. Tra padre e figlia nel ritrovarsi in presenza di nuovo dopo tali e tanti avvenimenti, non si scambiò una parola d'affetto, nè un cenno pure qualsiasi che alludesse a quanto era passato. Fu peggio che freddo il loro contegno: il dovere solo riuniva ora quelle due persone fra esse, non più la menoma corrente di benevolenza; nel contegno del vecchio, anzi, un'irritazione quasi un accanimento d'ostilità, frenato, ma non punto sminuito da quello che aveva voluto la morte di Valpetrosa e le lagrime amarissime d'Aurora.
Questa si pose a dare al padre tutte quelle cure che lo stato di lui richiedeva, che il suo dovere di figlia imponevale; ma il vecchio mostrò che quelle attenzioni e la presenza medesima di lei tornavangli fastidiose, ed Aurora si tenne, per quanto le convenienze permettevano, lontana dal letto e dalla camera paterna.
In questo stato di cose il marchese figliuolo ebbe l'infelicissima ispirazione di credere che il vecchio padre non avrebbe voluto scendere nella tomba senza riparare, quando ciò si potesse, al soverchio dolore dato alla figliuola, alla barbara ingiustizia usata verso l'innocente di lei creaturina, se pur era vero che il bambino vivo fosse stato strappato alle braccia della madre, e condannato al disonore ed alle miserie del trovatello. Aspettò un di in cui parve tornato qualche poco più di forza all'infermo, e chiamando in aiuto tutto il coraggio ond'era capace, entrò risolutamente nel discorso, e disse a suo padre dei sospetti di Aurora, del passo ch'egli aveva fatto presso Nariccia, dell'ambiguo contegno di costui onde ancor egli aveva sentito qualche dubbio cui prima non avrebbe accolto mai, e finì colle più calde suppliche e deprecazioni affinchè, se tanta crudeltà era stata veramente commessa, non si tardasse oltre a rimediarvi, non volesse il malato tenere sotto il peso di sì grave risponsabilità la sua vecchiaia. Il marchese padre al discorso del figliuolo rimase in apparenza perfettamente insensibile, da un vivo lampeggiar d'occhi all'infuori che alle prime parole udite gli accese lo sguardo e poi tosto si spense. Quando il fratello d'Aurora si fu taciuto, il vecchio volse verso di lui un sogghigno ironico ed una faccia beffarda.
– E tu credi a codeste fandonie? diss'egli. Un diplomatico tuo pari, un uomo d'ingegno, come ti ho sempre creduto!.. Va, lasciami tranquillo, e non venire altrimenti a turbare la mia quiete con simili fiabe.
Ma rimasto solo, il vecchio marchese fece venire a sè il suo servo di confidenza e gli comandò senza indugio, andasse in cerca della Modestina e glie la menasse il più sollecitamente possibile, facendola passare per la segreta scaletta del palazzo e in ora tale che i figliuoli di lui non potessero non che vederla, ma neppure avere il menomo sentore della sua venuta. Fu egli prontamente obbedito, e poche ore dopo, quella che doveva poi essere sopranominata la Gattona, trovavasi presso al letto del vecchio marchese. Questo esigeva da lei gli raccontasse la verità, ma proprio e tutta la verità di quello che era accaduto alla nascita di quel bambino, cui egli aveva voluto e voleva per l'affatto smarrito; e lo esigeva in quel modo con cui sapeva imporre a chiunque l'ubbidienza ed a cui non c'era caso di resistere. Modestina disse tutto dal principio alla fine; e il marchese ascoltò colla massima attenzione.
– Come segni di riconoscimento: disse il vecchio di poi, come per confermare viemmeglio nella sua memoria la cosa; egli ha seco il rosario d'agata della mia defunta, un bottone di livrea di vostro marito e la carta scritta dalla vostra mano?
– Sì, signor marchese.
– Sta bene. Andate e non parlate con anima viva di quanto avete detto, e sia per tutti, anco per voi, come se qui non foste oggi venuta, come se questo colloquio non avesse avuto luogo mai.
Modestina giurò il più assoluto silenzio e se ne fu a' fatti suoi. Il marchese meditò tutto quel giorno profondamente e non volle veder nessuno nè della famiglia nè dei conoscenti tranne il fidatissimo suo servitore. Alla sera diede a quest'esso il