La plebe, parte IV. Bersezio Vittorio

La plebe, parte IV - Bersezio Vittorio


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storie: risposero i birri; che sì che noi abbiamo tempo da passeggiare per la città a lasciarvi fare le vostre commissioni; o che credereste che noi vi lasciassimo andare a fare voi da solo una piccola corsa, colla fiducia che voi veniate di poi a consegnarvi nelle nostre mani?

      – Io sì, lo farò, lo giuro: esclamò Andrea.

      – Niente affatto; non c'è da farvi di queste lusinghe; già troppe parole abbiamo scambiate; suvvia in marcia, e non fatevi tirare.

      – Babbo, babbo, seguitavano a gridare i bambini: non lasciarci… Ci conducano anche noi col babbo.

      I popolani presenti incominciavano a intenerirsi: i birri la vollero far finita, e senza tante cerimonie trascinarono il meschinello facendogli entrare nelle braccia le cordicelle delle manette. I bimbi correvan dietro a quel gruppo strillando; il povero padre volgevasi verso di loro, avvicendando le preghiere alle minaccie ed agli improperii e tutto col medesimo effetto sui poliziotti che lo traevan prigione: era uno spettacolo dolorosissimo a vedersi.

      Ad un punto Andrea si buttò in terra disperatamente.

      – No, urlò egli in un accesso di rabbia avvoltolandosi sul fango ghiacciato della via; no, non faccio un passo di più, non mi movo… mi battano, mi uccidano se vogliono, ma io non abbandonerò i miei figli.

      Gli sgherri si diedero in fatto a percotere il pover'uomo accompagnando le busse d'ogni fatta villanie; ma l'infelice padre seguitava a gridare:

      – Oh che giustizia è questa? Che ho da lasciare sul lastrico i miei bimbi crepar di freddo e di fame? La loro madre è allo spedale… Me mi gettano in carcere che sono innocente… Vogliono dunque farci morir di miseria noi poveri e i nostri figliuoli… Me li lascino guidare all'ospizio, non domando altro.

      Un signore vestito da buon borghese, d'età inoltrata, d'aspetto pieno di bontà, che passava per caso colà, si fece innanzi e disse ai birri con un accento tra di autorità, tra di preghiera:

      – Via, non maltrattate così questo pover'uomo.

      Gli sgherri gli si volsero inveleniti:

      – Chi è Lei?.. Che cosa viene a ficcare il suo naso qui in mezzo, Lei?

      – Io posso darvi di me il ricapito che vi piace. Sono Defasi, libraio di S. A. R. il Principe di Carignano.

      Queste parole fecero effetto sui birri, come non poteva mancare di avvenire in quei tempi, quando in presenza d'un agente qualunque del Governo si invocasse il nome di qualcheduno appartenente alla Corte.

      – Signore, risposero con meno burbanza, noi abbiamo ordine preciso di condurre quest'uomo in prigione, e capisce anche Lei che bisogna pure facciamo il dover nostro.

      – Sta bene; ma non entra nel vostro dovere il regolarvi in tal barbaro modo. Lasciate ch'io dica due parole a quest'uomo… Oh non dubitate che le udrete anche voi, e credo che dopo di esse egli camminerà senza contrasto.

      I poliziotti annuirono tacitamente con una stretta di spalle.

      – E' bisogna rassegnarvi: disse ad Andrea il signor Defasi, il resistere non vi serve di nulla, ed anzi non può riuscire che a far peggiori le vostre condizioni… Quanto ai vostri figli, s'io ho udito bene, voi li vorreste accompagnati a qualche ospizio, dove hanno ricovero; ebbene dite a me quale sia quest'ospizio, e in parola di galantuomo vi prometto che ve li accompagnerò io stesso.

      Andrea fissò in volto il Defasi cogli occhi suoi ancora smarriti. Erano nel suo sguardo prima una diffidenza ed un sospetto che non la letizia di aver trovato un aiuto; ma la figura aperta e leale del libraio non tardò ad inspirare al misero padre tutta quella confidenza che la si meritava.

      – Ebben sì, esclamò Andrea con voce subitamente commossa a tenerezza. La è padre di certo anco Lei?

      Defasi fece sorridendo un cenno affermativo.

      – Affido dunque a Lei i miei figli. Faccia la carità di accompagnarli all'ospizio ***; il mio nome è questo (e glielo disse), e soggiunga ch'e' son que' piccini che ieri ci vennero ricoverati dietro le istanze e le raccomandazioni del dottor Quercia.

      – Siate tranquillo che farò appuntino: rispose il libraio con quella sua voce da galantuomo: e troverò modo, se altri non ne avete, di farvi sapere alcuna volta notizie di loro, ed eziandio di vostra moglie che ho udito essere a quest'ospedale.

      Gli occhi di Andrea s'inumidirono.

      – Oh grazie! esclamò egli. Iddio le renderà un tanto bene ch'Ella fa e farà ad una povera famiglia… Ah se mia moglie potesse ignorare quel che mi accade!.. Per carità, signore, Lei che è sì buono e generoso, se volesse almanco adoprarsi a prevenirla quella povera donna, ad apprenderle la mia sventura con qualche riguardo, ad assicurarla che gli è soltanto un errore, ch'io sono innocente, che presto sarò di nuovo libero per andarla a vedere. Oh sì lo spero, ne sono certo… Oh disgraziata mia Paolina! Che colpo avrà da esser questo per lei!

      Il signor Defasi promise anche questo: che, accompagnati i bimbi all'ospizio, sarebbe venuto al letto della madre loro ammalata, e con quei modi che avrebbe potuto migliori, sarebbe venuto informandola a grado a grado del disavventuroso avvenimento. Ma, pur troppo, la buona volontà e i caritatevoli uffici del signor Defasi dovevano essere inutili a questo riguardo, perchè mentre Andrea staccavasi a gran fatica dai suoi figliuoli baciandoli ed abbracciandoli con trasporto, cui gli sgherri posero fine ruvidamente, e camminava tutto pieno di vergogna verso la prigione; mentre il libraio recavasi coi bimbi all'ospizio e ve li faceva accogliere, la brutta nuova dell'accaduto penetrava nell'ospedale, e nel modo più crudo giungeva sino al letto della povera inferma.

      La sorella d'un'ammalata, il cui letto era il più vicino a quello di Paolina, giungeva all'ospedale ritardata per alcune sue faccende, quando stava per finire l'ora di ammissione alle visite, quando appunto già ne usciva coi fanciulli Andrea, e rimaneva testimone di quanto avveniva a quest'ultimo. Di poi, benchè già fosse proibita l'entrata, questa donna che era conosciuta di molto da tutti gli attendenti alle cure dell'ospedale, e la quale aveva realmente bisogno di parlare colla sorella inferma, otteneva dalla monaca direttrice la grazia di potere ciò nulla meno entrare nel camerone e stare alcuni pochi minuti coll'ammalata ch'era venuta a visitare. Fra le prime cose che questa donna disse fu la narrazione di quanto aveva veduto testè nella strada: ed una narrazione fatta coi colori accesi che presta una fantasia vivamente eccitata da fresca e profonda impressione. Descrisse con colori esagerati (e il fatto per essere pietoso non ne aveva punto bisogno) il dolore e la resistenza del padre, i pianti dei bambini, le sevizie degli sgherri; e Paolina udì tutto. Non poteva esserci sbaglio: un uomo che usciva in quel punto dall'ospedale, con bimbi così e così, vestiti a quel modo – ed ella con uno sforzo sollevatasi alquanto sul letto, interrogò ansiosamente la donna intorno a tutto codesto – non poteva essere altri che il su' uomo. Paolina mandò un grido che pareva quello d'una persona ferita a morte e si drizzò di scatto a sedere sul letto: prese a due pugna le coperte e le rigettò, fece la mossa di slanciarsi giù dal letto, e fu a stento trattenuta dalla suora di carità che fu lesta ad accorrere.

      – Mio marito!.. I miei figli! Ella gridava, e non poteva, e non sapeva gridar altro; e gli occhi le giravano orribilmente smarriti, e i denti le battevano in una contrazione spaventosa. Ma le forze di resistere alle braccia della monaca e d'un'altra infermiera venuta in soccorso, le mancarono ben presto: ricadde supina, facendo moti incomposti colle mani, pronunziando parole senza senso, e quando un quarto d'ora più tardi, venne sollecito, secondo la fatta promessa, il sig. Defasi, la trovò in un pieno parosismo di febbre e di delirio.

      E di Andrea intanto che cosa era avvenuto?

      La lurida stanzaccia di prigione in cui fu cacciato il marito di Paolina, era piena zeppa di gente, essendo in essa stati posti molti degli arrestati la notte scorsa nella riotta all'officina Benda, e fra questi una nostra antica conoscenza, quel tristo arnese di Marcaccio. Mancava il Tanasio, perchè la spaccatura della testa ch'egli doveva al braccio robusto di Bastiano, lo aveva fatto trasportare nella infermeria. Era la prima volta, per Andrea, ch'ei si trovava in quello fisicamente e moralmente sconcio ambiente che è la prigione; e codesto non avviene di certo senza un grande sconvolgimento di tutto l'essere; aggiungetevi le condizioni in cui si trovava egli personalmente, in cui era l'animo suo per le sofferte vicende,


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