La plebe, parte IV. Bersezio Vittorio

La plebe, parte IV - Bersezio Vittorio


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sua mente l'immagine sorridente e bonaria dell'umile parroco di villaggio. Là era il buon senso, là l'onestà la più pura, là una vera religione, la virtù più generosa, il più esatto e preciso sentimento del dovere, là l'ispirazione della carità veramente cristiana.

      Salì di fretta nel suo quartiere e fece venire a sè il domestico.

      – Cercate subito di Don Venanzio, e pregatelo di venir da me al più presto.

      Il lacchè s'inchinò in segno d'ubbidienza, ma non uscì della stanza.

      – Che cosa avete da dirmi? domandò il marchese.

      – Durante la sua assenza venne uno scudiere di Corte, pregandola di recarsi a Palazzo chè S. M. desidera parlarle.

      Il marchese represse un lievissimo atto di contrarietà, e disse sollecito:

      – Non si stacchino dunque i cavalli. Ci vado tosto: e frattanto si cerchi di Don Venanzio. Vorrei trovarlo qua al mio ritorno.

      E messosi di nuovo in carrozza, fu in pochi minuti nel palazzo reale alla presenza di Carlo Alberto che lo aspettava e lo accolse tosto.

      CAPITOLO VII

      Il commissario Tofi, fattasi inutile ogni insistenza presso lo svenuto Nariccia, passò in altra camera e si diede ad interrogare coloro fra i casigliani che aveva fatto trattenere, nella lusinga potessero fornire qualche testimonianza utile al suo còmpito. Apprese egli di questo modo il fatto della crudele cacciata sul lastrico della strada della famiglia del povero Andrea, e quindi il furore e i propositi di vendetta di quest'esso. Nel passato del misero operaio non c'era nulla che potesse farlo stimar capace d'un delitto, e sopratutto d'una ruberia; ma la passione di vendicarsi e la miseria in cui si sapeva caduto il disgraziato sono così cattive consigliatrici! Gli stravizi a cui s'era dato in preda, le triste compagnie cui da tempo frequentava erano argomenti da far credere in Andrea offese e smussate quella moralità e quell'onoratezza onde poteva un tempo vantarsi; per poter penetrare in quel modo nel quartiere dell'avaro, senza effrazione, gli assassini dovevano avere in loro mano delle chiavi ben fatte all'uopo; ora sapevasi che Andrea era un abilissimo fabbro ferraio. Quella mattina era stato visto in quella strada medesima ed aveva mostrato assai turbamento. Tutto ciò parve al signor Tofi altro che bastevole per legittimare i sospetti sul conto di Andrea e la sua cattura: diede ordine senz'altro che il marito di Paolina venisse arrestato.

      Ma dove trovarlo questo vagabondo che non aveva più domicilio? Tofi, che conosceva i suoi polli, mandò gli sgherri prima all'osteria, e poi, se Andrea non fosse colà, all'ospedale dove giaceva inferma la moglie dell'operaio.

      Povera Paolina! Pareva ch'ella fosse già precipitata al colmo delle disgrazie, eppure una nuova le incombeva sul capo ed un nuovo massimo dolore stava per colpirla. Rimasta fuor de' sensi quasi ventiquattr'ore (ah! perchè non aveva Iddio concessole di continuare in questo stato, nel quale almeno le era tolta la coscienza della sua sventura?) era finalmente tornata in sè per conoscersi in un lettuccio sotto la trista vôlta d'un camerone d'ospedale. La prima idea che le era venuta era stata quella dei suoi cari.

      – I miei figli! mio marito! esclamò essa.

      Le rispose la voce dolce d'una pietosa suora di carità che per ventura le stava presso in quel punto.

      – I vostri figliuoli sono ricoverati nell'Ospizio di *** e non mancano di nulla; vostro marito è già venuto due volte a vedervi, e credo che tornerà di quest'oggi medesimo.

      La inferma volse uno sguardo tra attonito e riconoscente alla mite fisionomia di quella monaca, e stette un poco a guardarla, come se non avesse parole fatte da risponderle; poi ad un tratto un'idea spaventosa l'assalse, ed ella ruppe in un singhiozzo.

      – Mio marito, disse, può venire a vedermi; ma i miei figli?.. Oh! non verranno essi pure?.. Io non potrò uscir più di qua per vederli loro… Dovrò io dunque morire senza più abbracciarli?

      La suora tentò calmare lo spasimo della poveretta con buone parole, e infonderle il coraggio di qualche speranza; ma tutto fu inutile.

      – No, no: diceva ella scotendo sul guanciale la testa con mossa desolata: lo sento bene; io morrò qui… qui, separata dai miei!..

      Povera donna! Ella doveva aver pur troppo ragione!

      Poco dopo Andrea si trovava presso il letto di sua moglie.

      Non ebbero cuore a parlarsi i due infelici. Essa lo fissava cogli occhi velati da lagrime; egli non osava quasi arrestare il suo sguardo sul viso di lei, aimè! quanto cambiato, che già pareva il viso di una morta. Nell'aspetto di lui c'era una confusione, una vergogna, un rimorso: tutto esprimeva il pentimento ed il dolore; il suo contegno era un'accusa di se stesso ed un implorare perdono: in lei non un'ombra di rampogna, non la menoma amarezza; una rassegnata mestizia, una virtuosa mitezza nella irrimediabile desolazione. Andrea balbettò alcune voci che non avevano senso; si curvò sulla giacente; ne prese il capo fra le sue nere, callose mani che tremavano, e baciandole la fronte, ruppe in un pianto angoscioso, con singhiozzi che parevano squarciargli il petto. Piangeva eziandio Paolina, ma piangeva chetamente e lasciava colar giù del volto immagrito e color della cera le lagrime cocenti senza asciugarle.

      Stettero così un poco; e la dolorosa amaritudine di quelle anime in tale istante, chi la potrebbe dire? Fu la Paolina che, con quel filo di voce che le rimaneva, cominciò a parlare.

      – Calmati, Andrea, e fa coraggio, te ne prego.

      Era essa, la santa donna, che riconfortava il marito; essa che andava persuasa di morire, di dover abbandonare nel mondo, in quelle sì triste condizioni in cui erano, i figli suoi; essa che da ciò aveva all'anima il più grande dolore che anima di madre abbia provato mai!

      – Non pianger più… Tu sei un uomo… Conviene che tu abbia forza… Senti, Andrea: ti voglio domandare un piacere, un gran piacere, sai, che mi farà bene, ma tanto, tanto bene.

      – Oh parla: esclamò vivamente il marito: e qualunque cosa sia, ti giuro che io lo farò.

      – Ho bisogno di vedere i nostri figliuoli… Conducimili qui… Non dev'essere proibito di condurre de' figliuoli a vedere la madre ammalata… Se fosse proibito anche questo, per noi povera gente, va a domandare la grazia da chi occorre, anche dal Re se fa bisogno… te ne supplico, ma conducimi qui i miei bambini… Tutti, sai! Anche l'ultimo… Povero piccino!.. Ah! poveri tutti!..

      Si tacque chè la commozione le faceva groppo alla gola, e si voltò in là perchè il pianto le riempiva di nuovo gli occhi.

      – Sta tranquilla, rispose Andrea, dovessi mettere sottosopra il mondo, ti contenterò…

      – Quando? quando? chiese con ansia e sollecitudine l'inferma.

      – Per oggi mi è impossibile, che già è troppo tardi, e prima che io sia andato e venuto, è di là di trascorsa l'ora in cui qui ci si lascia entrare; ma domattina, sta sicura che verrò qui coi nostri figliuoli per mano.

      – Grazie! disse Paolina con tanta tenerezza di accento che impossibile farsene un'idea: ah! rivedrò i figli miei!..

      Successe una pausa; poi la inferma, non senza qualche imbarazzo, si fece a domandare:

      – E tu, Andrea, ora, che fai? che conti di fare? come vivi? Hai cercato, cerchi lavoro? ne hai trovato?

      Andrea rispose con impaccio maggiore di quello con cui sua moglie lo interrogava:

      – No, di lavoro fin adesso non ne ho trovato… è così scarso!.. ma ne cerco.

      – E intanto come vivi?

      – Ho qualche amico che mi aiuta…

      – Ah! i tuoi amici

      – Ho reso servizio ad un cotale che può qualche cosa e che ci torrà tutti dalle pene… Quando tu sarai guarita, e sarà guarito ancor egli… perchè si trova malato di molto anche lui, tutto si aggiusterà…

      Paolina guardò fiso in volto suo marito.

      – Non c'è nulla in codesto, di cui un uomo onesto come sei tu debba arrossir mai?

      Andrea chinò gli occhi innanzi a quelli della maglie: ricordò la false


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