La plebe, parte IV. Bersezio Vittorio

La plebe, parte IV - Bersezio Vittorio


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profeti, sia; può essere: esclamò egli, e questa volta la sua voce vibrava coll'emozione ond'è dominato l'uomo il quale bandisce una coraggiosa verità contrastata: ma le idee no. Soffocate per qualche tempo soltanto, esse non muoiono, per dolori e tormenti di coloro che le patrocinano non rinunziano, nel sangue anche dei loro proclamatori non si spengono. Aspettano: si nascondono forse, ripostamente serpeggiano fuor dell'arrivo delle polizie e delle predicazioni e della propaganda del clero; e un bel dì sorgono in uno scoppio che è un trionfo, padrone del campo, dominatrici del mondo. Guardi nella storia del passato, e vedrà sempre essere avvenuto così, cominciando dalla più grande delle idee, dall'idea cristiana…

      – Ah! Ella bestemmia! Oserebbe paragonare le temerità delle malvagie passioni demagogiche alle sacrosante cose della divina nostra religione?

      – Anche le idee del Cristo erano temerità demagogiche pei gaudenti del mondo pagano… Io sono un nulla nel mondo; ma tutte le mie poche forze ho consecrato al servizio di certi principii a cui ho dato irrevocabilmente l'acquiescenza dell'animo mio e il consentimento del mio pensiero; e quali che sieno le seduzioni onde mi si voglia allettare, qualunque le minaccie che mi si facciano trasparire, non muterò, se Dio mi assiste, per tutta la vita. Ho pensato sempre a quel momento che mi pareva pure impossibile, in cui la mia famiglia potrebbe riaprirsi per me, che ne fui, non so per qual cagione, spietatamente reietto, ed ho sperato parecchie volte eziandio, glie lo confesso, che questa famiglia potrebbe non essere nè spregevole, nè disonorata, avrei dato qualunque cosa per giungere a questo risultamento; mi dicevo che non la menoma recriminazione, non il menomo lamento avrei mosso contro quella barbarie che mi ha condannato al supplizio di tanti anni di miserabil vita, di disprezzata condizione; ma non avrei creduto mai che questa famiglia volesse ancora impormi un sacrifizio cui non posso e non debbo sopportare: quello della coscienza, quello di ciò che l'uomo ha di più sacro, le proprie convinzioni. Se codesto pretende da me, le dica, signore, che preferisco rimanermi nell'oscurità del mio nulla.

      S'avviò per andarsene; il gesuita non lo trattenne; prese anzi la lampada e gli fece lume fino al cominciar delle scale, dove, appena chiamato, venne il frate laico per guidar fuor del convento il visitatore.

      – Addio: gli disse Padre Bonaventura. Non dispero che veniale a migliori pensamenti. Se mai crederete d'aver qualche cosa da dirmi poi, se vi sentirete in migliori disposizioni, venite a trovarmi…

      Maurilio fece risolutamente un segno negativo, come per dire che non sarebbe venuto mai. Il gesuita mandò un sospiro.

      – Dio vi guidi ed illumini! Colla vostra famiglia, se pur sono veri i sospetti che se ne hanno, se la Provvidenza vuole porvi in presenza di lei, tratterete voi medesimo senza intermezzo; io ho fatto quello che ho creduto bene per tutti, e mio dovere.

      Rientrò nella sua cella, e intanto pensava:

      – Se non ci fosse immischiato quello stupido di un onest'uomo che è Don Venanzio, il meglio sarebbe lasciar tutto ignorare al marchese e trovar modo di fare sparire ogni traccia… Ciò non potendo più oramai, è meglio svelare io stesso la verità al marchese e disporlo in guisa che stimi dover suo non riconoscere il figliuolo di sua sorella.

      CAPITOLO VI

      Battevano appena le nove quando il padre gesuita presentavasi al palazzo Baldissero e veniva tosto introdotto presso il marchese, il quale, dopo una notte insonne, stava ansiosamente aspettandolo. Invitato a parlare sollecitamente, fra' Bonaventura incominciò, con aria compunta e mani al petto intrecciate, un lungo esordio sulle vie imperscrutabili della Provvidenza, cui il marchese finì per interrompere:

      – Scusi… Il fatto, a cui Ella fece allusione nella sua lettera di ier sera, è desso la trista avventura della fu mia povera sorella?

      – Eccellenza sì: rispose il frate inchinandosi.

      – Le confesso che molto mi punge la sollecitudine di sapere qual cosa mai, dopo tanto tempo, possa avvenire che abbia ancora attinenza a quelle disgraziate vicende. La prego dirmi senza ambagi, senza indugi e senza circonlocuzioni ciò di che si tratta.

      Il gesuita fece col capo un segno di umile assentimento, ed abbassando la voce ed accostando vieppiù la sua seggiola alla poltrona in cui stava il marchese, come se avesse voluto che manco l'aria potesse cogliere le parole che stava per pronunziare, disse:

      – Il figliuolo, frutto di quel condannato matrimonio, fu creduto dalla marchesina Aurora, e da Lei medesima, signor marchese, morisse pochi giorni dopo la sua nascita.

      Baldissero si riscosse in violento, ma tosto frenato sussulto; il suo sguardo s'affondò negli occhi del gesuita che teneva la placida faccia tonda a pochi centimetri dalle orecchie del marchese.

      – Così affermarono, e con giuramento, diss'egli pesando sulle parole, coloro che assistettero in quella circostanza mia sorella: Nariccia, la cameriera Modestina… e Lei stessa, Padre Bonaventura.

      Questi fece comparire sulle sue labbra rubiconde un sorriso tutto amenità, levò la destra bianca e grassotta in un atto di mite protesta e scotendo negativamente il capo, soggiunse con una cortese vivacità d'accento:

      – Perdoni, perdoni… Io no!.. Io non contraddissi le parole degli altri… Ecco tutto!

      – Le confermò col suo silenzio.

      – La permetta… Il silenzio non conferma nulla.

      Il marchese, con moto vivace, rivolse la poltrona e se stesso verso il suo interlocutore così da rimanere con lui proprio faccia a faccia.

      – Quel bambino non morì dunque allora, in fascie?

      Bonaventura scosse gravemente la testa.

      – No, signor marchese.

      – E perchè fu detto morisse?

      – Perchè tale fu la volontà, tale il comando di S. E. il marchese, padre di V. E.

      Baldissero si trasse indietro nella sua poltrona, impallidì leggermente, e mandando un'esclamazione, interruppe con tono quasi di minacciosa ammonizione:

      – Badi bene!..

      Ma il gesuita riprendendo con qualche calore:

      – Di tutto quel che dico ho sempre buone prove per dimostrarne la verità. Tengo delle lettere che scrisse a me stesso su tal proposito S. E.; esistono testimonii Nariccia e la Gattona, e quando a Lei non sembrino guarentigia sufficiente di sincerità, il mio carattere, la mia parola…

      Il marchese fece bruscamente un atto che voleva significare la sua piena fiducia nelle parole del gesuita.

      – E di quel fanciullo adunque, domandò impazientemente, che cosa avvenne?

      Padre Bonaventura narrò ciò che noi già sappiamo: Nariccia specialmente incaricato di ciò dal vecchio marchese averlo seco portato un giorno, nè alcun altro di quelli che stavano intorno alla vedova di Maurilio aver saputo mai che cosa ne avesse fatto.

      Sulla nobil faccia del marchese si dipinse l'espressione di un acuto dolore, d'una penosa vergogna. Che cosa non avrebb'egli dato, perchè non si fosse potuto accagionar mai di simil fatto suo padre! Pose la fronte sulla palma della sua mano e stette un istante impensierito, poi vivamente impugnò la nappa in cui finiva il cordone del campanello che pendeva presso al luogo dov'egli sedeva e diede una forte tirata: un lacchè si presentò sollecito all'uscio.

      – Si corra tosto in casa di Nariccia: comandò egli: e gli si dica di venir qui, subito, senza il menomo indugio.

      Il domestico sparì con una premura che era indizio di quella colla quale avrebbe eseguita la commissione.

      Baldissero si volse di nuovo al gesuita.

      – E come, dissegli con accento di rampogna, potè Ella prender parte a questo crudele inganno?

      – Io non vi ho preso parte diretta, rispose colla sua melliflua parlantina padre Bonaventura: mi sono rimasto a non dissentire. Ho considerato d'altronde la specialità delle circostanze che permetteva, che consigliava una specialità di propositi. L'interesse e la pace di una nobile stirpe come la sua, signor marchese, sono cose di tal rilievo che ad ottenerle si può e si deve anco ammettere delle eccezioni


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