La plebe, parte IV. Bersezio Vittorio

La plebe, parte IV - Bersezio Vittorio


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dopo l'arresto di Maurilio che aveva interrotto la prima di quelle lezioni che il giovane s'era assunto di dare al povero orfanello, avesse narrato alla vecchia che lo interrogava tutto quello che era successo: le parole dettegli, e che nel bambino erano state meravigliosamente impresse, la seguita invasione degli agenti polizieschi, la perquisizione e l'arresto, coll'episodio del bottone uguale a quello che possedeva la vecchia; ed abbiamo visto che la Gattona aveva creduto di dover tosto affrettarsi a riferir tutto ciò a Padre Bonaventura, dal quale quella mattina medesima, nelle prime ore del giorno, erasi già recata a raccontare l'avventura della sera precedente, l'incontro cioè fatto da Gognino d'un cotale che voleva pagar lei perchè lo lasciasse far da maestro al bambino.

      Padre Bonaventura era già stato punto da curiosità molta di sapere chi e che cosa fosse quell'originale di cui s'era fatto lasciare la polizza, da lui stesso data alla Gattona, con sopravi scritto il suo nome e l'indirizzo della sua abitazione. Quando la vecchia venne più tardi a narrargli le cose sopravvenute, il gesuita che non aveva ancora avuto tempo ad occuparsi di quello sconosciuto, vide anzi tutto che egli non aveva giudicato male mettendo quell'individuo in ischiera coi fautori ed apostoli delle novità politiche e sociali, dei liberali amatori e credenti del progresso, amici e patrocinatori dei cosidetti diritti dei popoli e va dicendo: i discorsi tenuti a Gognino e il successivo arresto, col sequestro delle carte, di certo per motivi politici, ne lo chiarivano abbastanza, e il buon Padre Bonaventura si riprometteva di raccomandare egli stesso quel dabbene a cui si dovesse, così bene da farlo torre per un po' di tempo alla propaganda attiva de' suoi detestabili principii avversi (è la formola solita) al trono ed all'altare. Ma quello che soggiunse di poi la Gattona lo interessò ben altrimenti, e senza ch'egli concepisse di botto un definitivo progetto da attuare, intravide però senza indugio, che se fondati fossero i sospetti dalla vecchia manifestatigli alcuna cosa poteva da lui combinarsi che riuscir potesse in vantaggio suo proprio dapprima (cosa che non era da obliarsi nè trascurarsi), in vantaggio della buona causa, quella dell'assolutismo e della Compagnia di Gesù.

      I sospetti della Gattona si presentavano con una non disprezzabile apparenza di fondamento. Il nome stesso che quel giovane portava, cui la Luponi medesima aveva scritto su quel suo biglietto, perchè chiunque nelle cui mani capitasse il bambino glie lo lasciasse, nome tutt'altro che comune in queste provincie; il cognome di Nulla, che lasciava supporre in chi io portava, e che probabilmente se l'era dato, la condizione di fanciullo senza famiglia, e l'aver egli un oggetto simile ad uno di quei pochi che erano stati posti come segni di riconoscimento al bambino della marchesina Aurora, erano indizi da tenerne conto; e Padre Bonaventura che aveva avuta tanta parte in quegli avvenimenti della famiglia Baldissero, decise di volere il più sollecitamente possibile appurare la cosa.

      Congedata la vecchia colla raccomandazione di attendere, di non fare nulla da sè e di venirgli a riferire poi tosto ogni menoma cosa che in proposito capitasse, o cui ella venisse ulteriormente a scoprire, il gesuita, per prima cosa, pensò recarsi da messer Nariccia, il quale in codesto poteva dare gli elementi più sicuri per formarsi un esatto giudizio, come quello che solo sapeva dove e come fosse stato abbandonato il bambino della infelice vedova di Valpetrosa.

      L'usuraio fu assai cauto nelle sue risposte, nè, quantunque molto rimanesse meravigliato alle parole del frate, e fosse colto proprio alla sprovveduta, ci fu verso che si lasciasse sfuggire parola alcuna da cui l'accorto suo interlocutore potesse argomentare o indovinare alcun che di quanto era succeduto dopo che Nariccia col bimbo erasi partito dalla casa in cui la puerpera dolorava in lotta colla morte. Nariccia, senza però dirne ragione veruna, si rimase a dire che egli non credeva punto punto che il giovane di cui si trattava fosse il figliuolo di Valpetrosa, che tuttavia la cosa meritava attenzione, e prima di pigliare un partito e di agire in qualunque senso si fosse, conveniva ben bene appurarla. Il frate, incerto come prima, anzi più di prima, perocchè si fosse ora persuaso che quel tristo di Nariccia aveva in suo potere una parte di segreto che a lui era affatto sconosciuta, uscì di là e risolvette informarsi tosto di quanto riguardava quell'individuo misterioso che si faceva chiamare Maurilio Nulla. A lui siffatta cosa era facilissima per le relazioni che aveva nelle alte sfere governative e per l'ascendente cui su tutti i più cospicui e potenti pubblici funzionari avevano la Compagnia a cui il frate apparteneva e personalmente egli medesimo uno dei maggiorenti di quella temuta e intromettentesi società. Non istette perciò guari ad apprendere gran parte dei fatti, dell'indole e delle tendenze di chi lo interessava. Seppe che Maurilio era appunto un trovatello, come egli aveva supposto, che era stato arrestato come nemico del Governo, che presso di lui s'era sequestrato uno scritto incendiario pieno delle massime più sovversive, ma che rivelavano un gran talento, così che dal Commissario di Polizia al generale dei Carabinieri, da questo al Governatore, dal Governatore al marchese di Baldissero, e dalle mani del marchese era pervenuto niente meno che in quelle stesse del Re.

      I Gesuiti furono sempre abbastanza accorti per riconoscere la potenza dell'ingegno, e prima di perseguitarlo nemico a loro ed alla loro causa, hanno sempre cercato di acquistarselo, di arruolarlo nelle proprie schiere, a difesa del loro principii, mercè blandizie, in cui sono maestri, e vantaggi personali con cui sanno comprare, o quanto meno avvolgere le coscienze meno salde ed inconcusse. Di questa guisa essi ottengono due guadagni: tolgono ai nemici una forza e ne accrescono la propria parte. Padre Bonaventura era dei più accorti in codesta caccia al paretaio delle giovani coscienze, e maestro insuperabile di blandizie e di sofismi rincalzati dalle promesse; più intelligenze, nella sua lunga carriera di intrigante politico e domestico, era già riuscito ad inretire. Ei non credeva a profondità di convinzioni che le renda incrollabili. Nei giovani considerava che agisse più la fantasia che il ragionamento, e che le idee liberali seducessero le ardenti intelligenze parte per quello sbarbaglio di generosità onde lucicchiano, parte per sentimento fors'anco inconscio d'ambizione in chi non è nulla e vuol pervenire, d'invidia in chi non ha mezzi di potenza verso chi li ha, il qual sentimento trova uno sfogo nei patrocinio delle idee democratiche e spera un appagamento nel trionfo delle medesime. Credeva che per tutti la corazza della coscienza avesse un giunto per cui penetrare nel lato debole e vincerla; la difficoltà era nello scoprire quel giunto, ed egli, senza troppa superbia, che i fatti glie l'avevano provato più e più volte, poteva dirsi abilissimo a codesto.

      Non era forse il caso ora di usare di questa abilità verso quel cotal personaggio che andava in cerca per le vie de' figliuoli del popolo, affine di insinuar loro il catechismo sovversivo delle idee liberali? Se si fosse potuto farne un affigliato, un diffonditore de' buoni principii, che trionfo! E se mai stato egli fosse in vero figliuolo della sorella del marchese, val quanto dire appartenente ad una delle prime, più ricche e più potenti famiglie dello Stato, qual vantaggio maggiore! Però, siccome fra le cose apprese del passato di Maurilio aveva saputo eziandio che egli era rimasto alcun tempo presso il libraio Defasi, col quale egli era in relazione, e cui conosceva il primo onest'uomo del mondo, fra' Bonaventura decise di andare a chiederne a costui, per farsi di quel giovane e del suo valore un più esatto concetto.

      Il signor Defasi, se vi ricorda, nel giovane derelitto, cui la Provvidenza gli aveva un giorno menato innanzi privo d'ogni mezzo di sussistenza, aveva posto dapprima la maggiore delle affezioni, e, conosciutone lo straordinario ingegno, una speciale stima eziandio, che di tanto aveva rafforzata la sua benevolenza per lui, da fargli concepire il disegno di dare a quell'orfano senza nome la mano di sua figlia; e Maurilio fino ad un certo tempo aveva corrisposto alla generosità ed all'affetto del suo benefattore con tutto lo zelo e la riconoscenza ond'era capace. Ma di poi, per sua disavventura, era piombato addosso al povero giovane quel suo matto amore per la nobile fanciulla Virginia di Castelletto, e il dominio di questa infelice passione lo aveva mandato ad una stranezza di condotta che il suo buon principale aveva cominciato per compiangere soltanto e per tentare di voler guarire, credendola effetto d'infermità. La sorte che perseguitava il povero trovatello aveva voluto che Nariccia, sapendo Maurilio allogato presso del libraio, si credesse in obbligo di avvertire costui come quel giovane fosse stato per mesi e mesi in carcere sotto l'accusa di un orrendo misfatto, come egli stesso, che aveva avuta la dabbenaggine di prenderlo poi al suo servizio, l'avesse dovuto scacciare di casa sua, perchè aveva avute le prove che quello sciagurato sfacciatamente lo derubava.

      Il signor Defasi provò a queste rivelazioni tutta la amarezza d'un disinganno, e non potè fare che il sospetto e la diffidenza non entrassero in lui verso quel giovane che gli era stato ed ancora gli era sì caro, e del


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