Il Quadriregio. Frezzi Federico

Il Quadriregio - Frezzi Federico


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speranza del venir futuro,

              dissi pregando: – O Febo, i corsier tui

              movi veloci verso l'occidente,

        135 perché piú ratto questo dí s'abbui.

              E tu, Atlante, il ciel piú prestamente

              movi coll'alte braccia e grandi e forti,

              perché la notte giunga all'oriente.

              O cerchio obliquo, che i pianeti porti,

        140 fa' sí che entri il sole in Capricorno,

              che sia la notte lunga e il dí raccorti,

              acciò che tosto passi questo giorno

              e venga Ionia, che venire aspetta,

              quando sia notte, meco a far soggiorno.

        145 Io benedico il foco e la saetta,

              o dio Cupido, col qual m'hai ferito;

              e la tua madre ancor sia benedetta,

              che, quando con Minerva insú er' ito,

              per me avvocò ed ella mi ritorse;

        150 ed ella ha fatto ch'ancor t'ho seguíto.

              E qui al suo reame ella mi scorse

              ed hammi data Ionia, e che a me vegna

              n'aggio speranza senza nessun forse,

      e spero in te e 'n lei che mi sovvegna. —

      CAPITOLO XVII

      Dove si tratta dell'inganno, che fu fatto all'autore dalla ninfa Ionia.

              E giá il chiaro sol sí calato era,

              che nell'altro emisperio a quello opposto

              faceva aurora e quivi prima sera.

              E, per meglio vedere, io m'era posto

          5 alto in un sasso e lí cogli occhi attenti

              stava sperando che venisse tosto.

              Intanto fûn del sole i raggi spenti;

              e giá 'l cielo mostrava ogni sua stella,

              e non sentéa se no' 'l soffiar de' venti.

         10 – Quando verrai, o Ionia ninfa bella?

              – dicea fra me; – perché tanta dimora?

              Qual sará la cagion che sí tarda ella? —

              Qual va cercando l'angosciosa tora,

              a cui il figlio o la figliola è tolta,

         15 che soffia e cerca e mugghia ad ora ad ora,

              e poi si folce e coll'orecchie ascolta;

              tal facea io, ed alquanto la spene

              dalla sua gran fermezza s'era vòlta.

              Queste son le saette e dure pene,

         20 che balestra agli amanti il folle Amore;

              ché se speranza o tarda o in fallo viene,

              quanto sperava, tanto ha poi dolore;

              ché sempre volontá s'affligge tanto,

              quanto a quel che gli è tolto avea fervore.

         25 Io cercai per quel bosco in ogni canto

              insino al primo sonno e chiamai forte,

              aggirando quel loco tutto quanto,

              come fe' Enea alla suprema sorte

              cercando della misera Creusa,

         30 rimasa in Troia dentro delle porte.

              Eco tapina, che vive rinchiusa

              tra le spelonche, mi dava risposta

              al fin della parol, come far usa.

              Per ritrovarla scesi poi la costa,

         35 e driada trovai su nel sentiero,

              che a guardar le ninfe ivi era posta.

              – Deh dimmi, driada, prego, e dimmi il vero,

              se delle ninfe ve ne manca alcuna,

              o se 'l numero loro è tutto intero.

         40 – Quando la notte ieri si fe' bruna

              – rispose quella, – Ionia n'andò via,

              e non era levata ancor la luna. —

              E disse a me che cenno fatto avía

              la dea Ciprigna, acciò ch'andasse a lei

         45 cosí soletta senza compagnia.

              – Ma io, o giovin, volentier saprei

              perché tu ne domandi ed a quest'otta

              come vai quinci, e dimmi che far déi. —

              Risposi: – Iersera, quando il dí s'annotta,

         50 io vidi lei; ond'io maravigliai

              che sí soletta andar s'era condotta;

              ch'i' so che in questo loco stanno assai

              centauri e fauni, e so che qui ed altrove

              sono alle ninfe infesti sempremai.

         55 Io temo, o driada, che alcun non la trove

              e, sol da questo mosso, quaggiú vegno:

              questo a venir di notte qui mi move.

              – Se Citarea, la dea di questo regno

              – rispose quella – volle ch'ella gisse

         60 ed acciò ch'ella andasse gli fe' segno,

              nullo saría centauro che ardisse,

              né che potesse impedirgli l'andata,

              la qual i fati e la dea gli prescrisse.

              Ma, se questo non è e fie trovata,

         65 null'altra cosa, credo, la ripara

              che non sia presa e che non sia sforzata. —

              Ahi, quanto esta risposta mi fu amara,

              credendo


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