Il Quadriregio. Frezzi Federico

Il Quadriregio - Frezzi Federico


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l'impresa con la lieta ciera.

              Questa tra spine e tra pungente ortica

              menava lieto me per duro calle:

              tanto quella promessa a me fu amica;

         10 quando vidi una ninfa in una valle,

              che cogliea fiori, e suoi biondi capelli

              di color d'oro avea sparsi alle spalle.

              – A quella che lí coglie i fiori belli

              – diss'io a Venus – volentieri irei,

         15 se piace a te che alquanto gli favelli. —

              La dea consentí ai desii miei;

              ond'io andai, e, quando gli fui appresso,

              queste parole dirizzai a lei:

              – O ninfa bella, mentre a me è concesso

         20 ch'io parli teco, prego, a me rispondi:

              chi se' e questo loco a chi è commesso? —

              Allor, rispersa de' capelli biondi,

              inver' di me alzò la lieta testa,

              e poi rispose con gli occhi giocondi:

         25 25 – Eolo regna qui 'n questa foresta,

              che regge i venti ed halli tutti quanti

              sotto il suo freno e sotto sua potèsta;

              ché, quando contra il ciel funno i giganti,

              seguîro il padre, e le colpe paterne

         30 spesso tornano a' figli in duri pianti.

              Però gl'inchiuse Dio tra le caverne,

              ed Eolo diede a lor, che gli apre e serra

              e che sotto suo impero li governe.

              Se ciò non fosse, l'aere e la terra

         35 subbissarieno ed in ogni contrada

              farian grande ruina e grande guerra.

              Panfia ho nome, e la dea della biada

              alla figlia Proserpina mi manda;

              e spesse volte vuol che a lei io vada.

         40 E coglio questi fior, ch'una grillanda

              gli vo' portar, ché delli fior che colse

              gli sovvien anco, e però me 'n domanda,

              quando Cupido con sue fiere polse

              ferí 'l disamorato infernal Pluto,

         45 allor ch'a Ceres la figliola tolse.

              Ma tu chi se' e come se' venuto

              cosí soletto in questa valle alpestra?

              Vai vagabondo o hai 'l cammin perduto? —

              Ed io a lei: – Venus è mia maestra;

         50 seco mi guida al loco, ov'ella regna,

              e per darmi conforto ella mi addestra.

              Ed ha concesso a me ch'io a te vegna;

              o ninfa bella, prego mi contenti;

              e quel che ti domando, ora m'insegna.

         55 Dimmi ove stanno e donde son li venti,

              ché, quando scendi all'infernal regina,

              io credo che li veghi e che li senti. —

              Ed ella a me: – Perché ratta e festina

              Ceres mi manda, per fretta non posso

         60 appien de' venti darti la dottrina.

              Ma sappi che la terra dentro al dosso

              ha gran caverne, meati e gran grotte,

              ove li venti stanno in vapor grosso.

              Tra quei meati e quelle rupi rotte

         65 diventa quel vapor sottile e raro,

              quando di sopra al dí cresce la notte;

              ché, quando un loco a sé prende un contraro,

              l'altro contraro prende un loco opposto,

              e quanto posson tengon loco varo.

         70 E però, quando è ito il fin d'agosto,

              e che 'l dí manca e fassi qui il verno,

              allor che il sole in bassi segni è posto,

              nelle caverne, ch'Eolo ha 'n governo,

              s'inchiude il caldo. E di ciò dán certezza

         75 l'acque che stanno nell'alvo materno,

              che hanno il verno alquanto di caldezza,

              come si vede e come appare al senso;

              la state hanno sotterra piú freddezza.

              Sí che 'l vapor, in prima grosso e denso,

         80 convien che s'assuttigli e sparso cresca

              il verno, riscaldato ovvero accenso.

              Però dall'arto loco cerca ond'esca:

              cosí per le fissure e pori esala,

              e 'l sole il tira insino all'aura fresca.

         85 Lí ripercosso, poscia all'ingiú cala

              e fassi vento, e, dove luna il tira

              ovver Saturno, quivi move l'ala.

              Il vapor che rimane e che si aggira

              nel ventre della terra, perché appieno

         90 non può uscir del loco, ond'egli spira,

              ritorna addietro in fondo giú nel seno

              dell'alma terra; e però innanzi alquanto

              che sia il tremoto, ogni vento vien meno.

              E poi ritorna e con impeto tanto,

         95 venendo insieme, la terra percote,

              che la fa almen tremare in alcun canto.

              Questo è 'l tremoto, e voglio


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