Fra Tommaso Campanella, Vol. 2. Amabile Luigi

Fra Tommaso Campanella, Vol. 2 - Amabile Luigi


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che và quasi sotto mare, oscurissima humidissima dicendoli e facendoli dire che senza altro havea a morire e li davan de mangiar malamente solo una volta il giorno, stava con li ferri alle gambe, dormia in terra; e li vennero flussi di sangue. E così infermo poi lo posero nel tormento». Non stentiamo a credere che la fossa in cui venne posto il Campanella sia stata la più terribile, detta del coccodrillo, ovvero anche del miglio, non niglio come si legge nella Narrazione74. La menzione di questa fossa risale al tempo degli Aragonesi e vedesi continuata fino a' giorni nostri, senza per altro poter dire dove essa sia veramente stata, giacchè parrebbe essersi successivamente così chiamata ogni fossa molto profonda e quasi del tutto oscura; notiamo solamente esser probabile che il livello sottomarino di detta fossa sia stato asserito dietro la nozione della profondità dell'intero fossato, dove ne' primi tempi, come abbiamo accennato in altro luogo, potevasi immettere l'acqua del mare. Vedremo che il Campanella vi rimase solo per una settimana.

      Intanto si fece ancora qualche confronta e segnatamente quella di Maurizio con fra Dionisio: subito dopo si esaminò pure il Bitonto, e non può esser dubbio che risultò parimente negativo; quindi si passò a fra Paolo della Grotteria, intorno al quale sappiamo di certo che negò ogni cosa75. Non apparisce poi che siano stati esaminati nè fra Pietro di Stilo nè fra Pietro Ponzio: ne' Riassunti degl'indizii compilati contro di essi, come contro diversi altri, non è ricordata una loro deposizione in qualunque senso, a differenza di quanto si vede per quelli sopra nominati e per qualche altro ancora. Apparisce invece essere stato esaminato fra Scipione Politi, il quale disse che avea conosciuto il Campanella, e che nel gennaio 99 lo andò a visitare per averne una lettera in favore di un suo parente, e poi, essendo l'ora molto tarda, rimase a dormire con lui; che più volte andò a visitarlo di nuovo per parlargli di cose letterarie, ma non gli riuscì possibile per le molte persone che si trattenevano con lui, «et precise quando stava con Gio. Gregorio Prestinaci, et Gio. Jacovo Sabinis, si ponea à ragionare con quelli et lasciava tutti». Aggiunse che dopo la venuta di Carlo Spinelli si era detto «che lo fra Tomase, fra Dionisio, Mauritio et altri forasciti trattavano di dare, primo si disse, in poter del Papa questo Regno, et poi si disse che lo volevano dare in mano deli Turchi, et l'hà inteso generalmente, ma dopò che fu carcerato frà Tomase, l'intese dire questo dal Capitan Francesco Plotino, et si dicea, che Mauritio havea trattato con li Turchi et fra Dionisio ancora, et frà Tomase con altre persune et forasciti seu delinquenti»76. Così questo fra Scipione, già intimo del Campanella, se la cavò felicemente, e non può dirsi che il tribunale sia stato severo con lui.

      Ma dobbiamo tornare a Maurizio, il quale aveva esaurito il còmpito per cui era stato fin allora serbato in vita, onde non si tardò a farne l'esecuzione. La confronta con fra Dionisio fu l'ultimo atto giudiziario certo della sua vita. Il Campanella, nella Narrazione, scrisse pure che «lo portaro… a conurtar F. Pietro di Stilo prelato del Campanella che confessasse per salvarsi come lui havea fatto, e poi fatto questo officio iniquo, mandò il carcerere Alonso de Martinez, et Onofrio a dir al Gesuino, che l'osservasse la parola: el Gesuino rispose, che non si osserva palabra con ladrones, e fu appiccato con perdita del corpo et dell'anima». Lasciamo da parte queste ultime asserzioni, che vedremo bilanciate da altre diametralmente opposte, e che ad ogni modo rappresentano la continuazione del disgustoso atteggiamento preso dal Campanella verso Maurizio. Quanto all'incarico che gli avrebbero dato di esortare fra Pietro di Stilo, il fatto non può recare sorpresa, visto lo zelo religioso eccitato in Maurizio, che era anche parente di fra Pietro; ma è singolare che non se ne trovi qualche traccia nel processo di eresia, dove gl'incidenti della causa sogliono trovarsi menzionati in gran numero. Vedremo per altro che qualche poesia del Campanella si spiegherebbe ottimamente con questo fatto, e del pari con esso può spiegarsi in gran parte il non essere stato poi fra Pietro nemmeno chiamato all'esame: conoscevano che sarebbe risultato ostinatamente negativo, e gli esami negativi non tornavano convenienti, poichè gl'indizii raccolti a carico degl'inquisiti principali ne rimanevano sempre alquanto vulnerati.

      Il 3 febbraio era già avvenuto il passaggio di Maurizio dalle carceri del Castello a quelle della Vicaria, e le scritture di S.to Officio ce lo mostrano appunto a quella data, come già il Pisano, innanzi a' Delegati della Curia Arcivescovile, che questa volta furono i Rev.di Orazio Venezia e Curzio Palumbo Consultori e Marco Antonio Genovese Avvocato fiscale, riuniti nell'Audienza criminale della Vicaria. Non bisogna credere che simiglianti ricorsi al S.to Officio, in punto di morte, si fossero verificati soltanto in persona dei condannati per la causa presente: era un uso molto comune a quei tempi, spesso verificatosi senz'altro motivo che quello di ritardare per qualche giorno l'esecuzione. Tra le carte venute nelle nostre mani abbiamo p. es. due lettere del Card.l di S.ta Severina, che trattano delle deposizioni di uno Scipione Prestinace egualmente di Stilo, celebre bandito menzionato in qualche documento del Grande Archivio77 e decapitato il 17 febbraio 1597, il quale avea dimandato ed ottenuto di confessare al S.to Officio: e vedremo pure Felice Gagliardo, sul punto di essere giustiziato più tardi per delitto comune, fare una lunga deposizione innanzi a quel tribunale. Relativamente a Maurizio non si potrebbe supporre il motivo sopra indicato, giacchè l'esecuzione sua era stata già differita anche troppo; oltracciò non lo troviamo a rivelare in S.to Officio il giorno medesimo dell'esecuzione, come abbiamo visto in persona di Cesare Pisano, ma mentre l'esecuzione era stabilita pel 4 febbraio, egli il giorno precedente trovavasi innanzi agli ufficiali della Curia Arcivescovile da lui richiesti pur sempre con la clausola «a scarico della mia conscientia secondo me hà imposto il mio padre spirituale»78. Ed ecco in breve quanto, giusta lo stile del S.to Officio, egli «denunziò» contro il Campanella e fra Dionisio: gioverà conoscere il complesso delle sue rivelazioni, anche a costo di annoiarsi trovando una ripetizione di cose già narrate. In primo luogo depose che presso D. Gio. Jacobo Sabinis il Campanella avea detto essere stato Cristo un grande uomo da bene, ed aveva anche detto bene de' turchi (allora era di obbligo dirne male), ond'egli poi in Castello ebbe ad avvertirlo che stava scandalizzato di quelle parole, e fra Tommaso gli rispose che lui non conosceva bene li negozii. Dippiù, che pure nella stessa data, «con occasione della guerra che voleva cominciare, ò fattione che voleva fare contra il Re», fra Tommaso disse che voleva «fare brusciare tutti li libri latini perche era un inbrogliare le gente», senza precisare quali libri e senza scovrirsi molto con lui per cose di religione, giacchè egli era stato sempre saldo nelle cose della fede, «anzi chiarivi al detto frà Thomaso che di queste cose di religione non bisognava trattarne, perche non ci haveria mai consentito», e fra Tommaso rispose che egli voleva solamente riformare gli abusi della religione. Inoltre che avea saputo da Gio. Gregorio Prestinace volere il Campanella «fare una republica dove si havesse da vivere in commune», ciò che fra Tommaso medesimo gli confermò, dicendogli «che la generatione humana si dovea fare dagli huomini buoni» cioè gagliardi e valorosi, e che «con la medesima occasione della guerra… voleva aprire li sette sigilli», ricordando che in Calabria dicevasi pubblicamente «che la scientia di detto frà thomaso sia del demonio ò di Iddio, perche ogn'uno che parla con esso lo ritira dove vole esso con la scientia e con la persuasione sua». Aggiunse pure infine, che intese da fra Tommaso «come quando voleva fare le guerre haveria fatto deli miracoli, et mostrato con la scientia è raggione che quello che mostrava esso era ben fatto». Relativamente poi a fra Dionisio, dichiarò che costui aveva una volta raccontato il solito fatto osceno in dispregio dell'ostia consacrata, ed anche l'annegamento di quel sacerdote che a tempo dell'inondazione del Tevere volea salvare il SS. Sacramento; che un'altra volta, stando lui, Maurizio, inginocchiato nella chiesa del convento, fra Dionisio gli disse che così voleva gli uomini, che sapessero fingere; e un'altra volta, stando a desinare, fra Dionisio, ovvero fra Tommaso, avea detto che i Cardinali non digiunavano, e le riforme si facevano per tutti ma non per loro. Aggiunse, dietro domanda di rivelare i complici, che ricordava solo di avere inteso dal Vitale suo cognato, giustiziato in mare, che fra Dionisio, avendo celebrato la messa in Nardò dentro la sua cella, gittò a terra l'ostia, nè credeva a Cristo, nè alla verginità di Maria. Da ultimo, interrogato se avesse deposto per odio, per inimicizia o per passione, egli appunto allora ricordò che non avea mai rivelato nulla contro quei frati, malgrado ripetute torture, e malgrado sapesse che fra Tommaso si era esaminato contro di lui, nè aveva poi detta la verità per altro, se non perchè il suo confessore della Compagnia


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<p>74</p>

È questo uno de' punti della Narrazione che gioverebbe rivedere. Il Capialbi lesse niglio, ed aggiunse in nota «niglio, coccodrillo», citando l'Afflitto (Scrittori del Regno di Napoli, pag. 46, art. Acquaviva) che avrebbe forse alluso alla medesima fossa. Ma non ci è noto che la parola plebea niglio corrisponda a coccodrillo, bensì sappiamo che corrisponde a nibbio, sparviero; e l'Afflitto dice fossa del miglio, ed egualmente dice il Confratello de' Bianchi di giustizia che ci lasciò il ricordo degli ultimi momenti di fra Tommaso Pignatelli.

<p>75</p>

Ved. Doc. 254, pag. 170.

<p>76</p>

Ved. Doc. 256, pag. 172.

<p>77</p>

Ved. Registri Curiae vol. 38.o (an. 1595-99) fol. 13, Let. Vicereale del 23 febbr. 1596.

<p>78</p>

Ved. Doc. 307, pag. 254.