Un bel sogno. Cagna Achille Giovanni
palazzo Ramati; ivi tutti si fermarono; era tardi, e fu giocoforza salutarsi. – Ermanno strinse per lʼultima volta il braccio a Laura, prima di separarsene; madama Ramati lo ringraziò della buona compagnia che le aveva fatto, gli strinse la mano, indi egli se ne andò.
VI
Non era più per Ermanno il caso di resistere, ma di amare. Anco se egli avesse potuto opporsi alla corrente che lo trascinava, non lʼavrebbe voluto. La lotta che tende a debellare la felicità, è lotta da stolto.
Ermanno accettava il suo bene senza esaminarlo, nè calcolarne la durata; egli era felice, e per quanto gravi potessero essere le conseguenze del suo disinganno, non valeva certo la pena che loro si sacrificasse la gioja del presente. – Tutto ha fine in questo povero mondo! e lʼuomo viene istintivamente predisposto a non curarsi di questa legge fatale che pesa sui destini del creato.
Eppoi, havvi forse da farne meraviglia se in quel periodo di tutta luce che si chiama giovinezza, lʼuomo ragiona più col cuore che colla mente? Egli è solo allora che si spera ciò che si desidera; in quellʼetà di aspirazioni ardenti, non si bada gran fatto agli ostacoli che frappongonsi ad una meta prefissa. – Il senno e la ragione lasciano libero passo ai voli della fantasia che nel suo giovanile entusiasmo spiega arditamente le ali ad eccelse mire. – A ventʼanni lʼumile artista che abita la soffitta, e mangia pan nero, vagheggia il sorriso della dama che scorre i passeggi sdrajata in cocchio sontuoso; ronza con ingenuità veramente rara sotto le finestre di un ricco palazzo per incontrare lo sguardo di una giovinetta che sciupa tanto in guanti quanto egli potrebbe guadagnarsi col lavoro assiduo di unʼanno.
Dal buco della sua soffitta egli ha il coraggio di palpitare per qualsiasi nobile donzella, avrà anche il coraggio di amarla, e la follia di sperare – Mormorate un poʼ allʼorecchio di quel povero paria: – ma disgraziato, non vedi che ti colse la più strana delle pazzie? Non pensi che fra te e quella giovinetta vi sta unʼabisso senza fine? non pensi tu che sei povero, che dormi sulla paglia fra due cenci di lenzuola, mentre ella riposa fra i morbidi velluti? – Nella tua casa regna lo squallore, questa tua stamberga scarseggia financo di luce, ed ella abita invece un palazzo immenso, ove i tappeti, la seta e lʼoro sono profusi con tutto lo splendore – Non vedi che tu ora sei vittima di un sogno, e che domani ridestandoti troverai amaro il tuo pane, insipida la tua acqua, orrida la tua soffitta?»
Ebbene, egli maravigliato vi risponderà che ben poco gli cale di tutto ciò, e ripigliando la sua miserabile esistenza proseguirà collo stesso ardore a sperare.
Ecco come il più delle volte si ragiona in gioventù. Non è che col frutto di una crudele esperienza imparata col volgersi degli anni che ai cerca col dolce lʼutile; egli è solo nella prima giovinezza che lʼuomo lascia libero sfogo agli slanci del suo cuore senza calcolo dʼinteresse. Saranno follie, ma le sono dolci follie preferibili mille volte alla rigida diffidenza delle anime volgari che passano sotto i raggi ardenti del sole di gioventù facendosi scudo col freddo raziocinio inspirato da un cuore senza vita – La soverchia ragione nei primi anni di esistenza, non può essere che il frutto di ottusità di mente, e dʼaridità di cuore – Meglio è ardere nel Vesuvio di unʼillusione, che trascinare la vita fra fuochi fatui.
Malgrado che la notte fosse già di molto avanzata, tuttavia Ermanno non seppe decidersi dʼandarsene a casa; egli aveva bisogno di abbandonarsi alla foga deʼ suoi pensieri. Giammai la notte gli era parsa tanto bella, giammai il freddo raggio della luna gli era sembrato così malinconico – Errò per le vie della città senza darsi ragione della strada che percorreva: Si pensa forse ove si vada allorchè la mente è confusa ed eccitata da memorie soavi?
La mezzanotte era già trascorsa quando Ermanno giunse verso la sua abitazione. – Alzando a caso gli sguardi alla finestra debolmente rischiarata, vi scorse sua madre.
Ingrato, egli lʼaveva dimenticata! – La buona donna infatti era tutta sconvolta per lʼinsolita assenza del figlio, ed invano aveva cercato riposo; il timore che fosse avvenuto qualche malore a lui, la tenne in una veglia angosciosa. Da due ore quella povera madre stava alla finestra spiando sulla via, e palpitando ad ogni risuonar di passo.
Ermanno entrò in casa, e subito ella gli corse premurosa incontro per sapere se fosse stato trattenuto da qualche incidente.
– Rassicurati madre mia, nulla mi è successo, rispose Ermanno stringendole la mano, sono stato da Ramati…
– Così tardi?
– Che vuoi, non mi lasciavano mai; se avessi saputo che tu mi aspettavi…
– Oh! non monta; temeva solamente… non si sa mai di notte le strade non sono troppo sicure.
– Or via calmati buona mamma, sclamò il giovane accarezzandola, va a letto, va a riposarti che nʼhai di bisogno.
– Che hai Ermanno, chiese ella sorridendo, mi sembri di buon umore stassera?
– Sì, non so perchè, ma sono tanto contento.
– Che Dio ti conservi sempre tale figlio mio?
Ermanno restò alzato ancora per qualche tempo sempre pensando alla graziosa fanciulla che tante prove dʼamore gli aveva date in quella sera felice; baciò più volte il fiore che ella gli aveva posto fra le mani, indi lo collocò accanto ad un mazzolino di altri fiori appassiti – La freschezza dellʼuno, ed il languore degli altri formavano uno strano contrasto che non sfuggì allʼocchio di Ermanno – Poveri fiori! Ieri ancora erano belli e rigogliosi, oggi il soffio della materia passò sovrʼessi, ed eccoli collo stelo curvato; di quei brillanti colori, di quel soave profumo appena rimangono pallide vestigia.
Ecco il passato! Pensò Ermanno sospirando; ma il suo sguardo si fermò allora sul fiore deposto ancor bello, ancor pieno di vita e di freschezza. Fu un raggio di speranza che sperdè la malinconia che già assaliva il povero giovane: Ecco il presente! gli mormorò una voce interna, ed egli baciò anco una volta lo stelo profumato del fiore che ridonavagli la speranza.
Andò a letto, si addormentò ed i suoi sogni furono una catena di rose che si rivoltava in giri senza fine. Si addormentò felice, e si svegliò felicissimo. Laura fu lʼultima parola della sera, e la prima del mattino.
Durante la giornata però, fu spesse volte preda di mesti pensieri; nel colmo dellʼebbrezza egli erasi dimenticato della prossima partenza di Laura; ed appena se ne rammentò, il suo cuore gemette amaramente.
– E sarà vero chʼella debba allontanarsi, che non potrò più vederla? pensava fra sè.
Ciò che mitigava alquanto il dolore della separazione era senza dubbio la certezza di possedere lʼamore di lei; ma finora ella non glie lo aveva detto; ed è tanto dolce il sentirsi dire che si è amato. Dʼaltronde come trovare il tempo per strappare a Laura quella dolce confessione? I cugini le erano sempre dietro – Due giorni ancora, e poi ella partirebbe senza poter pronunziare la parola che doveva essere il sostegno del povero Ermanno nei giorni di amarezza.
Andò alla sera da Ramati, ma senza frutto, vale a dire senza poterle parlare da sola; non vi rimaneva che un giorno, lʼultimo. Alla vigilia della partenza il povero giovane pensò con tutte le forze del suo ingegno onde trovare un mezzo per parlarle; ma tutto fu vano, ed al mattino di quel giorno disgraziato, egli aveva ancor nulla risolto. Verso mezzogiorno gli nacque unʼidea che gli parve buona; prese il cappello ed uscì frettoloso – Pochi minuti dopo egli entrava nel portone di casa Ramati.
Salì le scale collʼanimo agitato dal timore e dalla speranza, e fu introdotto da un servo che lo lasciò in anticamera dicendogli: Le damigelle sono nel gabinetto da lavoro, il signor Alfredo è uscito col padrone.
– Bene, rispose Ermanno, annunziami alle signorine.
Il servo eseguì, e poco dopo ritornò per dirgli che poteva passare.
Il salotto da lavoro era assai ben riparato dalla luce giacchè entrandovi stentavasi a discernere gli oggetti; tanto è vero, che Ermanno si arrestò sulla soglia mormorando confuso:
– Mille perdoni madamigella Letizia se…
Per tutta risposta sentì una mano che aveva stretta convulsivamente la sua, ed una voce delicata e commossa che gli disse:
– Venga