Un bel sogno. Cagna Achille Giovanni

Un bel sogno - Cagna Achille Giovanni


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aggiunse Laura, con estrema finezza.

      – Dunque, Un addio allʼamico lontano, ribattè Alfredo. Bene, ma non troppo, quellʼamico…

      – Eh! via, osservò Letizia, non capisci che lʼamico è un amante!

      – È unʼamante?.. Allora non parlo più.

      Il volto di Laura era talmente acceso che fu vera fortuna per lei se le tenebre della sera le fecero velo.

      Dopo poco tempo, si fece ritorno nella sala di musica.

      Laura volle provarsi a cantare, ma invano, la voce rispondeva al sentimento che la agitava; nella sua piccola fantasia la povera giovinetta credette di aver commesso alcunchè di straordinario. – Alfredo tentò egli pure una cavatina, ma la troncò a metà, allegando unʼimpedimento di voce causato forse dallʼaria della sera.

      Ermanno pure era alquanto pensoso; pareva assorto in qualche grave riflessione, e sfiorava sbadatamente la tastiera del pianoforte, senza punto curarsi di ciò che ne usciva. Ad un tratto una vocina delicata che lo fece fremere, interruppe le sue meditazioni.

      Era Laura che durante quel martellare sul piano, erasi rimasta dietro a lui, non azzardando di sturbarlo; era dessa che scuotendolo dal suo letargo lo invitava a suonare – Ermanno alzò gli sguardi al soffitto come fanno i pianisti per richiamarsi alla mente qualche pezzo, indi nel riabbassarli, incontrò quelli di Laura che gli si era posta accanto; era un sorriso seducente, che egli contemplò a lungo senza che perciò la giovinetta sʼimbarazzasse.

      Ermanno suonò, ed alle prime note dʼintroduzione venne interrotto da Alfredo che gridava:

      Attente figliuole, attente a questa sublime musica, è di Talberg…

      Ermanno risalì al principio del Notturno che riuscì dʼun magico effetto. Letizia batteva le mani, e Laura invasa dal senso malinconico che la dominava, mormora al giovane:

      – Quanto è caro…questo notturno.

      Batteva la mezza dopo le dieci quando Ermanno si levò dal pianoforte per andarsene.

      – Così presto? chiesero le fanciulle.

      – Me ne duole signorine, ma mia madre non istà troppo bene, e non è prudenza lasciarla sola per tanto tempo.

      – Allora vada pure signor Ermanno, sarebbe dal canto nostro esigere un poʼ troppo.

      – Letizia dice bene sclamò Laura prendendo la mano ad Ermanno, e trattenendolo aggiunse. A rivederci quando?

      Ermanno si mostra imbarazzato.

      – Domani perbacco, disse Alfredo, non è vero?

      – Purchè mia madre stia bene…

      – Oh sempre inteso, anzi ascolta, ho un progetto per domani; suonare tutta la sera è troppa fatica con questo caldo; andremo a fare un giro in carrozza, vi pare madamigelle?

      – Va benissimo.

      – A domani dunque.

      – A domani. – Ermanno uscì salutato per lʼultima volta da Laura che gli aveva mormorato: Lʼaspetto!

      IV

      La felicità non è sempre la ben giunta nel cuore degli uomini. Taluni forse per eccesso di timidezza, diffidano della felicità che si rivela sotto troppo belle speranze – È bene lʼesser parco in tutto onde non avere a dolersi di troppo per la perdita di un bene vagheggiato, e coloro che accettano per buone tutte le gioie che arreca una dolce speranza, non agiscono ragionevolmente. – Chi più compra, più paga – e se tutti potessero tenersi impressa questa inevitabile conseguenza, sarebbe evitato lo spettacolo doloroso di tanti poveri illusi ai quali sembrava di toccare il cielo; che poi precipitano nel nulla della delusione. E perchè ciò? Perchè si erano affidati ad una falsa speranza; perchè non seppero giudicare a tempo se fosse possibile la sussistenza di unʼedifizio infondato.

      Diffidare di una felicità sperata, sarebbe gran virtù; ma come fare se è destino che la vita dellʼuomo sia una continua speranza? Sperare il male, sarebbe follia; e poichè si deve tendere a qualche cosa, meglio è sperare nella felicità.

      Laura aveva centomila lire di dote, ed era figlia unica. – Questa dichiarazione è assolutamente necessaria per giustificare i dubbii e le apprensioni di Ermanno. Il nostro giovinotto allʼuscire di casa Ramati era tormentato da tristissime meditazioni; ormai non vʼera più dubbio sulla realtà del suo amore. Invano egli avea lottato contro quel sentimento che minacciava la sua pace; lʼamore è più ostinato che mai, si potrebbe lottare allorchè non si ama; ma il primo sintomo di lotta e il primo sintomo dʼamore.

      Ermanno era ragionevole, a mente tranquilla egli non si sarebbe mai sognata una cosa tanto lontana dal possibile; eppure nel breve periodo di due giorni egli era soggiogato. Non era il caso dʼilludersi, il dolore che provava nel riconoscersi vittima di quel sentimento, era la più certa prova dellʼamor suo. Strana follia! Egli povero umile artista innamorarsi di una giovinetta appartenente a distintissima famiglia. Ma come mai colla sua sana intelligenza non aveva compreso che quellʼamore era un sogno, una chimera? – Ma quel sogno era tanto bello, che egli vi si addentrò senza avvedersene; ed ora che la prima riflessione gli parava innanzi la gelida realtà, ora che erasi abbandonato inscientemente nellʼonde delle illusioni, sentiva lʼimpossibilità di ritrarsi.

      Ciò che più di tutto lo addolorava, era la certezza che aveva dellʼamore di Laura. Come non accorgersene? come non credervi se ella stessa si era tradita con tanta sincerità. Egli avea accettato il fascino misterioso di una prima impressione, e difatti in quella prima sera non una triste idea era surta a funestarlo. La speranza gli sorrideva presentandogli la coppa delle illusioni; invece di respingerla, invece di sciogliere lʼincantesimo col soccorso della ragione, non seppe resistere al senso misteriosamente dolce che lo attraeva verso quella vezzosa fanciulla. – Ma gli infelici fruiscono poco del prestigio di unʼillusione, e la verità corre tosto premurosa a disperdere la trama delle speranze.

      La realtà! ed era ben dessa quella crudele che aveva atterrate le pure gioie del povero Ermanno! Spingendo il pensiero attraverso le nubi dallʼavvenire, egli non vi trovava che un cammino monotono privo di ogni sorriso dʼallegrezza; il campo dellʼarte divenne per sè stesso troppo arido; egli avea traveduto in sogno una mano gentile che poteva guidarlo ad altissima meta; accanto al sentiero di spine, aveva sognata una via di rose.

      È meglio non pensarci più, diceva fra sè; ma subito dopo gli tornava alla mente il bel viso di Laura, la sua grazia, il suo sguardo espressivo, che richiamavano in un cielo di dolcezze sante e pure; allora si apriva per poco lʼanimo suo alla speranza, e nel trasporto di tenerezza baciava quel mazzolino di fiori che ella gli aveva dato come pegno dʼaffetto; ma di quale affetto? Dove si fondava quellʼamore? E pur troppo Ermanno riconosceva in esso il frutto dellʼinesperienza, e pensava che allʼindomani quella giovinetta ingenua educandosi alla scuola della vita, avrebbe cessato di commoversi per un oggetto di poco conto; che domani Laura leggendo nel gran libro del mondo, riderebbe forse allo svegliarsi di quel sogno troppo puerile.

      Allʼetà di Laura, nulla avvi di certo sulle aspirazioni del cuore, nè si discute menomamente sulla possibilità o non di amare – In quel primo brillare dei raggi della vita, si fa tutto senza calcolo, e forse senza bisogno.

      Perchè Laura amava Ermanno? Perchè le piaceva; ecco tutto. A quellʼetà non si bada troppo alle esigenze sociali che pongono lʼamore fra le strettoie delle convenienze. Che importava ad essa se Ermanno non era ricco? Questo pensiero non le passava neanche per la mente. A diciasette anni la donna ama per amare; lʼanimo suo non ancora corrotto dal soffio delle passioni; risponde con entusiasmo alla prima parola dʼamore che si sente mormorare.

      Per tutta la susseguente giornata Ermanno stette in preda ad unʼagitazione febbrile; la musica non ebbe forza alcuna per distrarlo dalle sue dolorose meditazioni; infine dopo tanto riflettere, prese lʼeroica decisione di non porre più piede in casa Ramati. – Egli aveva troppo bisogno della sua pace per non cimentarla dietro ad una folle speranza.

      Man mano però che si appressavano le otto ore, egli sentiva che la sua costanza vacillava. Invano cercava di distrarsi, invano tentava nelle risorse della sua ragione un eccitamento


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