Un bel sogno. Cagna Achille Giovanni
scosso a quel tocco, lʼemozione rese tanto delicato il senso del tatto in quel punto ove le mani si posarono, che gli parve di accarezzarne le graziose dita.
Letizia alzò lo sguardo su Laura, e sorrise nel vederla in tale abbandono; la giovinetta arrossì, e ritirò lestamente le mani. – Si suonò dellʼaltra musica, indi fu concessa un poʼ di tregua al povero pianista che era tutto in un sudore, ed allora si appiccò una conversazione animatissima. Parlarono di musica, di teatri e di mille cose che sarebbe follia ripetere; basti notare che la chiacchierata durò due ore. In tanto tempo si possono dire molte cose, due ore sono lunghe con una nojosa compagnia, ma parvero due istanti specialmente a Laura, e diciamolo pure ad Ermanno.
Durante quel lungo discorrere i loro sguardi sʼincontrarono parecchie volte, e lasciamo immaginare al lettore cosa poterono dirsi quegli occhi. Non staremo certo a svelarne i dolci misteri, ci manca il coraggio di accingerci a tanto, giacchè gli occhi parlano spesso assai più della lingua, ed il loro silenzio è tanto eloquente da rendere inetta la parola ad esprimere tutto ciò che possono racchiudere.
Lʼallegrezza di Laura in quella sera fu portata al colmo; ora saltava, ora rideva; talvolta abbassavasi allʼorecchio della cugina mormorandole sommesse parole, mentre di sottecchi sorrideva ad Alfredo ed Ermanno, come se essi potessero indovinare ciò che ella diceva.
A taluni parrà alquanto esagerata questa subita espansività, ma noi possiamo affermare che quel brio, quella spontanea allegria sono naturali nelle ragazze che da poco lasciarono le mura di un collegio, ove imparano a desiderare il mondo colle sue illusioni e le sue libertà. Ai primi soffii dʼaria libera che le sfiorano il viso, esse si esaltano, si commovono, e vorrebbero nel loro entusiasmo abbracciare lʼuniverso intiero; il mondo traveduto nei vergini sogni si presenta ad esse come un mazzo di fiori freschi e profumati ma, non sanno ahimè che quel profumo stordisce, che quellʼaria balsamica spesse volte uccide!
Ermanno si sentiva commosso nel mirare quella fanciulla così bella e felice; lʼocchio del giovane errava spesso a fare, unʼesame troppo scrutatore di quelle bellezze, talchè Laura accorgendosene ne arrossiva sorridendo, mentre con infantile civetteria si guardava negli specchi.
Il tempo, quel giudice crudelmente imparziale segnò le undici ore sullʼinesorabile Clepsidra, ed una torre lontana rispose a quel segno a colpi di squilla.
– Undici ore? chiese Letizia.
– Propriamente, rispose Alfredo guardando il pendolo.
– Diggià! mormorò Laura un poʼ uggiosa.
– Allora, disse Ermanno alzandosi, me ne vado.
– Oh non ancora, sclamò Laura, bisogna suonare anco una volta il notturno.
Ermanno si rimise al piano, e Laura riprese la stessa positura. Il notturno era piuttosto lungo, e la stagione non troppo favorevole per una lunga fatica al piano, per cui alla fine del pezzo Ermanno aveva la fronte madida di sudore; Laura se ne accorse, titubò alquanto, guardò prima Letizia, poi Alfredo; indi per un moto quasi involontario trasse il fazzoletto e lo passò leggermente sulla fronte del giovane pianista, il quale la ringraziò con un dolce sorriso.
Ermanno non si potè partire da casa Ramati senza prima aver promesso di tornarvi alla dimane, ed ancora mentre stava per scendere le scale, Laura trattenendolo per mano sclamò: Si ricordi che lʼaspettiamo!
III
Potrebbe mai mente umana esprimere con parole tutto ciò che passava per la testa al giovane artista mentre avviavasi verso casa?.. Egli stesso mal sapeva darsi ragione di ciò che provava in quei momenti. – Tutto lʼaccaduto di quella sera gli appariva come un sogno, un lungo e dolcissimo sogno; alcunchè di nuovo agitavasi nellʼanimo suo, un senso ignoto di malinconica beatitudine a cui lʼimmagine di Laura non era affatto estranea. – Quanto è bella quella giovinetta! ripeteva fra sè, e con piacere riandava col pensiero su tutto ciò che ella gli aveva detto. – Era una piena di nuove sensazioni che gli scaturivano dallʼanima, ed egli ne assaporava le dolcezze senza comprenderle. – Con infantile compiacenza ripetevasi mentalmente il nome di Laura, e quel nome era seguito da qualche cosa che rassembrava ad un sospiro.
Rammentavasi poscia quel leggiero alito della fanciulla che stavagli alle spalle mentre egli suonava; quellʼalito che gli aveva sfiorata la guancia come una carezza, quel soffio delicato che aveva scossa la sua fantasia costringendolo ad amplificare le frasi del suo notturno. E tutto ciò non era che un sogno? quellʼadorabile creatura non era una visione, unʼideale? No, giacchè egli avea sentite le mani di lei appoggiarsi alle sue spalle, ne aveva strette le delicate dita.
No, egli non sognava, solamente la sua esistenza accennava ad una fase novella; le sue idee subivano una reazione, la mente era più serena, il cuore più agitato.
Giunto a casa Ermanno si assise al pianoforte, suonò, od almeno cercò di suonare perchè era distratto; le idee ed i concetti musicali venivano disturbati da dolci meditazioni. – Se ne andò al riposo chiudendo gli occhi onde non interrompere le belle fantasmagorie dellʼimmaginazione; chiuse gli occhi e si addormentò sognando di trovarsi ancora in casa Ramati, accanto a colei che aveva suscitato un mondo di idee nuove nellʼanimo suo.
Sognava, ed il suo sogno era felice. Allʼindomani la madre di Ermanno che si alzava sempre per la prima, scorse sul labbro del figlio un sorriso di compiacenza; quel volto addormentato esprimeva la felicità, e la buona donna si ritirò con tutta precauzione onde non turbare lʼincanto del sogno che faceva sorridere il suo Ermanno.
Cosa è il sogno? Chi lo disse una rimembranza del passato, chi un riflesso del presente, chi un presagio dellʼavvenire. Non sarebbe egli invece un complesso di tutto, un crogiuolo dove si fondono le memorie del passato, il bene od il male del presente, le speranze od i timori dellʼavvenire?
Il sogno è un compendio delle nostre idee, un sunto ristretto della storia di nostra vita; una specie di romanzo fondato su fatti reali ingranditi dalla fantasia.
Ermanno sognò, ed il suo sogno fu tanto dolce che allo svegliarsi trovò il sole splendente di luce più bella, il cielo più sereno. – Quel sorriso che gli errava sulle labbra nel sonno, durò tuttavia mentre era desto. Guardò lʼorologio, erano le otto del mattino, e quasi senza volerlo riflettè che per arrivare alle otto di sera, si dovevano trascorrere ancora dodici ore.
Durante la giornata che gli parve un poʼ lunghetta, studiò quasi sempre, ripassando alcuni pezzi che da molto tempo aveva lasciati in oblio, come per cercarne uno che piacesse…a lei; diciamolo pure, in tutto quel giorno egli non agì per conto suo; il suo spirito era rivolto ad altro oggetto. In quel giorno i suoi pensieri non furono tutti per sua madre, la quale dal canto suo non poteva esser tanto egoista da adombrarsi se le aspirazioni del figlio non erano tutte a lei rivolte.
In questo mistero dellʼesistenza, la felicità appare tanto più bella, quanto più è incompresa, ed Ermanno senza discutere sulle cause del suo benessere, ne accettava le dolci conseguenze. – Importa forse sapere il perchè si è felici? La felicità assorbe in un punto tutti i desiderii, anche la curiosità; lʼafflitto esamina la causa deʼ suoi dolori per porvi riparo, lʼinfelice cerca nellʼorigine del male per trovarvi il mal seme che turbò la sua pace? chè perciò? Lʼuomo contento dovrebbe forse indagare sulle cause che produssero il suo bene? Il dolore concentra, la felicità distrae; cercare lʼorigine del bene sarebbe follia quanto quella di cercarne il termine. – Se Ermanno avesse esaminato il perchè della sua allegrezza ne avrebbe guadagnato qualche dolore, giacchè era facile scoprire che la sua gioia altro non era che unʼedifizio senza base, un castello in aria, unʼillusione.
– Spesso la conoscenza della causa distrugge il prestigio dellʼeffetto, e lascia lo sconforto della realtà.
Ermanno era felice; e chi non lo fu alla sua età? Chi non sorrise di gioia allo spettacolo dellʼavvenire traveduto nello sguardo di una giovinetta? Chi come il nostro artista non abbandonossi intieramente alla lusinghiera carezza di una dolce speranza? – Il bene della vita si riduce ahimè! pur troppo ad una lunga fila di speranze le quali cadono ad una ad una nel nulla sconfortante della delusione; la realtà dʼun bene non è sufficiente a costituire la vera felicità, se non vi si mesce la speranza di un miglioramento.
Verso sera