Racconti politici. Ghislanzoni Antonio
un ferito?
– Questa casa è un piccolo ospedale, rispose il prete – vi sono già ricoverati cinque dei nostri, dei quali uno è morto e due in grave pericolo… Pure c'è ancora posto per uno… Il letto non è molto pulito… ma in questi momenti non si bada…
– Sta bene… A momenti giungeranno i carri delle ambulanze… Vi è un capitano tedesco che soffre orribilmente e domanda di riposarsi il più presto possibile. C'è qualche medico qui dentro?
– Il chirurgo se n'è andato poco fa… Il paese è pieno di feriti… Quei maledetti artiglieri di Ampola hanno tirato sui nostri tutti i fulmini e le saette dei loro arsenali… Non importa… Lei sa bene, signor sergente, che abbiamo fatto un po' di pratica anche noi… In caso di urgenza scommetto che ci riuscirei a tagliare una gamba come il più abile chirurgo dell'armata.
Mentre il cappellano parlava di tal guisa, la Guida era scesa dal cavallo. Il corteo de' prigionieri e dei feriti cominciava a sfilare. La lanterna del cappellano mandava un sinistro riverbero sulle faccie abbronzite dei cacciatori tirolesi e degli artiglieri che proseguivano il loro triste viaggio.
Da ultimo, giunsero i carri delle ambulanze. La Guida accennò al cappellano di accostarsi col lume, e fatto arrestare il veicolo ove il capitano tedesco giaceva ferito quasi privo di sensi, coll'aiuto di un infermiere lo trasportò nella casuccia.
Entrati nella stanza terrena, il cappellano indicò l'unico letticciuolo che ivi era disponibile. Vi adagiarono il moribondo, e tutti insieme, il cappellano, la Guida e l'infermiere, si diedero con pietosa sollecitudine a medicargli le ferite.
Quella stanza umida e tetra pareva l'albergo della morte.
Vi erano quattro letti, o piuttosto quattro pagliericci malamente dissimulati da certi drappi senza colore che non erano lenzuoli, non erano coperte, e somigliavano a grossi sacchi di tela.
Su ciascuno di quei letti era distesa una forma umana.
Un lumicino ad olio affisso alla parete e la lanterna del cappellano erano la sola luce di quelle tenebre.
All'entrare dei nuovi ospiti, uno dei feriti, levando la testa dal cappotto che gli serviva da guanciale, domandò con voce fioca: «ebbene? com'è finita la festa?»
– Ampola ha ceduto – rispose la Guida senza volgere il capo.
– E il caporale De Santi?..
– Vivo!
– Meno male!.. Domani gli darò mie notizie.
Un altro, che pareva più estenuato, senza muoversi dalla sua posizione, fece questa domanda: è dei nostri il ferito?
– No! gli è un capitano tedesco!..
– Un tedesco! – esclamò il ferito – badate che l'oste non sappia nulla… Avete capito? – fate attenzione a Gregorio!..
E la voce si tacque.
Il cappellano e la Guida, intenti a fasciare le ferite del capitano, non compresero quelle parole.
IV
– Convien scendere a Storo in cerca di un chirurgo, disse il giovine sergente delle Guide. Sarà bene che vada io stesso… Il ferito è in buone mani… è inutile che io vi raccomandi di trattarlo come fosse uno dei nostri.
– Tutti gli uomini sono fratelli – rispose il prete – e non potè astenersi dal soggiungere: per scannarsi l'un l'altro, salvo poi a prestarsi vicendevole aiuto quando si sono scannati!
Il sergente delle Guide uscì dalla stanza.
Il tedesco pareva assopito. – Don Remondo era rimasto a piedi del letto e recitava, da buon cristiano, le sue preci della sera, colla testa curvata dal sonno. L'infermiere, dietro ordine del cappellano, era uscito anch'egli per andar in cerca di ghiaccio.
Un grido lamentevole, partito dalla stanza superiore, scosse il cappellano dalla sua ascetica sonnolenza. – In quella stanza del secondo piano c'erano altri due letti; altri due garibaldini feriti…
Don Remondo non poteva esitare. – Tolse da terra la lucerna, e battendo sulla spalla di un vecchio che se ne stava rattrappito ed immobile presso il letticciuolo vicino: Gregorio! gli disse con voce amorevole: che serve ora mai?.. riprendi i tuoi uffizi di carità… gli è il miglior modo di rendersi accetti a Dio, e di far del bene ai poveri morti! Io sono chiamato là sopra!.. Quì non resta più alcuno… fa attenzione se questo povero diavolo che ha poche ore da vivere… reclama qualche servizio… Mi hai capito, Gregorio?..
E il cappellano, vedendo che il vecchio aveva rialzata la testa e lo aveva ascoltato con faccia compunta, salì frettoloso la scaletta per accorrere alla voce che non cessava di chiedere ajuto.
Il vecchio volse una occhiata al letticciuolo che il prete gli aveva indicato.
Poi crollò la testa, e ripiegandosi tosto sul guanciale che gli era più prossimo, si diede a singhiozzare e a parlare seco stesso.
Su quel guanciale spiccavano i contorni di una testa coperta da un sottile fazzoletto di tela bianca. Il vecchio sollevò un lembo di quel fazzoletto, e accarezzò con uno sguardo pieno di amore e di angoscia le pure sembianze di un fanciullo irrigidito dalla morte. – Un volto che pareva quello di una vergine, – un morto che sorrideva come l'angelo che dorme.
– «Morto!.. proprio morto!.. Ma dov'è la giustizia di Dio? Anch'essa ha dovuto morire… la povera Martina! E sua madre quasi impazzita…! I preti dicono dal pulpito che i prepotenti, o presto o tardi, la scontano!
«Io l'ho ancora presente… quel mostro…
«Sì… l'ho presente… poichè nelle fattezze di questo povero ragazzo che era un angelo, c'è pure qualche cosa di quel demonio! Forse ho fatto male a condurre un ragazzo in mezzo a questi orrori. Ho voluto vendicarmi da me… e il Signore ha detto: vediamo un poco cosa sai fare?.. Ci hanno cacciati fra queste montagne dove si combatte senza vederci in faccia… Ho avuto un bel cercarlo io… Quel mostro era forse là… dietro un macigno… a tirare i suoi colpi al sicuro… e me l'ha ucciso…! Cosa dirò a Veronica tornando al paese?.. Oh! ma io non tornerò!.. Te lo prometto, Ernani… Io mi arrampicherò su questi massi… come da ragazzo quando andavo alla domenica a snidare i falchetti… Andrò bene a trovarli io, quei brutti ceffi che non si fanno vedere… E quando ne avrò trovato uno…
In quel punto dal letto vicino si partì una voce lamentosa.
– Datemi un sorso d'acqua!.. per pietà, un sorso d'acqua… che io mi sento morire…!
Gregorio abbassò il pannolino sul viso del morto, e si volse dall'altro lato con sembianze mutate. In quella voce di moribondo gli era parso di udire un suono conosciuto.
Si levò in piedi – corse alla brocca per attingere acqua, e tornando al letto del ferito, gli accostò al labbro il bicchiere guardandolo fissamente.
– Ma voi… non siete dei nostri? – domandò il vecchio con terribile voce, dopo avere colla intensa avidità dello sguardo ricostruite quelle sembianze oramai scomposte dalla agonia.
Il morente non poteva indovinare il terribile segreto di quella domanda, non poteva sospettare che quelle ultime goccie d'acqua stillanti sull'arsura delle sue labbra, gli erano versate da un uomo che, riconoscendolo, lo avrebbe avvelenato collo sguardo.
– Fratello italiano: – prese a dire il tedesco con voce interrotta dai singulti – vi rendo grazie delle vostre cure… Non c'è tempo da perdere… io vi prego… chiunque voi siate… di inviare alla mia famiglia che vive a Pesth… la carta rinchiusa nel mio portafoglio… Fate sapere ai miei figli che ho combattuto fino all'ultimo… per la patria e per l'imperatore…
– Ma il tuo nome! il tuo nome, o dannato d'un tedesco! – urlò Gregorio come una iena…
L'altro si scosse… I suoi occhi nuotanti nella morte si spalancarono per terrore…
– Buono italiano! in guerra bisogna che tutti facciano il proprio dovere… io sono il capitano Francesco Neïper!.. e non ho fatto male a nessuno…
– Non