Racconti politici. Ghislanzoni Antonio
e per ora io non ho stipulato verun contratto, nè saprei dove recarmi a dare delle rappresentazioni. Frattanto parliamo d'altro… Se non mi inganno, sarebbe ora che ci servissero da pranzo… Ci siamo tutti?..
– Non manca che il primo amoroso…
– È strano!.. Cherubini non si fa mai aspettare all'ora del pranzo – disse il capocomico… Ma eccolo! Mettiti al tuo posto, Cherubini! La compagnia è completa… Signor oste, voi potete servire la minestra!
Il Cherubini, appena entrato nella sala, erasi avvicinato al poeta per domandargli non so quale avviso sul modo di abbigliarsi, nella nuova produzione. Finito quel breve colloquio, egli andò a sedere presso la prima donna, e mentre il direttore della compagnia dispensava la minestra:
– Signori e signore – prese a dire – scommetto che questa volta io sono il primo a darvi la grande notizia!
– Una notizia! sentiamo! – esclamarono tutti ad una voce.
– E quale!.. Si vuole nientemeno… Ah! il signor poeta dovrà essere ben soddisfatto di quanto io sono per dire… Si vuole nientemeno che Garibaldi abbia lasciato Caprera…
– La bella novità!.. Il Pungolo l'ha già data non meno di dieci volte… Io non crederò che Garibaldi sia realmente partito da Caprera se non quando l'avrò veduto coi miei proprii occhi!
– Ebbene: se altro non vi abbisogna per rimanere convinti, non avrete che a recarvi domani alle due pomeridiane presso la stazione della ferrovia, e di là vedrete passare il generale che si reca col suo stato maggiore a visitare i depositi di Como e di Varese.
– Egli!..
– Garibaldi!..
– Domani!
– Egli… Garibaldi… domani… Alle due pomeridiane e cinque minuti sarà visibile alla stazione, dove probabilmente si arresterà un quarto d'ora.
Tutti i volti si animarono come se una favilla elettrica avesse percorso la comitiva. Quelle mascelle da comici atrocemente fameliche sostarono improvvisamente in segno di stupore e di venerazione. Le guancie degli attori più giovani impallidirono. Il brillante mormorò delle parole incomprensibili – i due, che poco dianzi si erano scambiati delle occhiate di intelligenza, questa volta si parlarono all'orecchio e parvero accordarsi in una mutua promessa.
– A costo di passare attraverso le inferriate, questa volta nessuno mi torrà di vederlo – esclamò la madre nobile che era una grassona di sessant'anni.
– Darei l'intiero prodotto della mia benefiziata di domani pur di accostarmi al suo vagone e baciargli la mano! – soggiunse la prima donna.
Ciascuno esprimeva il proprio entusiasmo con quel frasario iperbolico che è proprio degli artisti da teatro. Durante il pranzo uno solo fu il tema della conversazione. Il nuovo dramma fu obliato completamente – il poeta, gli attori, il padrone dell'albergo, i camerieri, i guatteri, il mozzo di stalla non ripetevano che un nome. Nelle sale, nella cucina, nel cortile, tutti i cuori e tutti i labbri inneggiavano ad un uomo.
VI
Vi è qualche cosa di magnetico nel nome di Garibaldi, come nella sua figura e nel suono della sua voce. La sua biografia si smarrisce nell'ideale come quella di tutti i profeti, di tutti i martiri della umanità. Delle sue gesta di Montevideo il popolo ignora i particolari, ma appunto da questo mistero che le involge quelle gesta assumono un carattere sovrumano. È accreditata la voce che Garibaldi in quelle remote regioni venisse orribilmente torturato dai nemici della libertà. Nelle tradizioni misteriose del popolo, Garibaldi apparisce vincolato all'albero di una nave come il Cristo alla colonna. Quando l'uomo delle Americhe apparve per la prima volta a Milano nel 1848, colla sua chioma raffaellesca, col suo sguardo fiammeggiante e soave, colla sua barba rossigna e flessibile, col prestigio di una virilità fiorente, colla sua tunica rossa e il fazzoletto a tracolla, egli parve il Nazareno risorto, il Cristo delle battaglie. L'apparizione fu breve, ma i tratti di quell'uomo si stamparono in tutti i cuori. Dopo i disastri d'Italia, Garibaldi dovette eclissarsi – pure le sue nobili sembianze rimasero scolpite nella mente del popolo come un simbolo di riscossa e di libero avvenire.
Che avvenne di Garibaldi dopo la sua ritirata da Roma? Dove si è recato? Quali furono le sue gesta?
Per circa dieci anni, l'eroe leggendario fu ancora travolto dal mistero. Un episodio lugubre, la morte di Anita, fu ripetuto sommessamente nei crocchi del popolo, il quale, tutto in massa, condivise i dolori del suo idolo. Milioni di cuori portarono il lutto per una donna, milioni di cuori giurarono vendicare una morte. – Di Garibaldi si disse: egli va errando sull'oceano, egli spazia fra le libere onde, aspettando il gran giorno della rivincita. Per dieci anni alla fantasia degli italiani umiliati ed oppressi l'intrepido difensore di Roma si dipinse errabondo e pensoso sovra una piccola prora agitata dai flutti. – La prima bandiera tricolore che ebbe a sventolare sulle alture lombarde nel 1859 fu piantata da Garibaldi. Pei Lombardi egli fu il Cristo risorto che viene a portare la buona novella! Le vittorie di San Fermo e di Palermo fecero stupire l'Europa – la disfatta di Aspromonte rattristò tutti i cuori liberali – l'eroe ferito al tallone ricordò l'Achille fatato, e il sangue che grondò dalla piaga rese venerabile l'ignorato promontorio siccome un nuovo Calvario. Tutti i partiti politici guardano riverenti a quella sublime figura. I despoti lo rispettano ed ammirano – i potenti gli invidiano la popolarità – i deboli e gli oppressi sentono che, lui vivo, la loro causa non è perduta. Dovremo noi aggiungere che le donne adorano in lui l'ideale della energia e della dolcezza, che le madri gli affidano la vita dei loro più cari con uno slancio di fiducia che tocca la passione? – Divinizzare una creatura umana è peccato di fanatismo, un peccato che molto spesso viene a scontarsi con amare delusioni. Ma quando il fanatismo si estende all'universo, quando un uomo diviene il simbolo di una idea, e come tale può rendersi adorato da tutti i suoi contemporanei, convien credere che questo uomo riunisca in sè medesimo tali doti da apparire colossale e quasi sovraumano. Se Garibaldi non è un colosso, è d'uopo confessare che a di lui confronto la società attuale è pigmea.
VII
La notizia era vera. Garibaldi, partito il giorno innanzi da Caprera, si recava nelle provincie lombarde ad ispezionare i suoi volontari e ad assumerne il comando.
All'indomani, verso le ore due, una folla considerevole traeva alla stazione della ferrovia. Quella popolazione scettica e letargica si era improvvisamente scossa. Nelle fisonomie brillava la luce. I fanciulli e le donne – questa eletta porzione della società che è la più ingenua e la più impressionabile – rivelavano nell'incesso, nel movimento concitato della persona, un immenso tripudio. Il popolo scamiciato, il popolo vestito di velluto si arrampicava sulle muraglie, invadeva i capitelli delle colonne. C'erano dei nani che parevano giganti, dei giganti che parevano pigmei. Quella moltitudine che si era precipitata nella sala di aspetto, che si era distesa per oltre mezzo miglio lungo il margine della ferrovia, all'approssimarsi dell'ora desiderata divenne immobile e muta. Quegli ultimi minuti di aspettazione parvero secoli.
Non mai il fischio di una locomotiva parlò più eloquente alla folla. Tutti i volti impallidirono. I fanciulli giunsero le mani – qualcuno cadde in ginocchio e fece il segno della croce.
Al silenzio, all'immobilità successe un uragano di grida, una agitazione indescrivibile. Il convoglio aveva rallentata la corsa, e tutti gli sguardi si erano pasciuti di una sublime visione. Garibaldi avea reso il saluto alla folla e ciascuno si era vivificato.
Prima ancora che il convoglio si arrestasse, i più enfatici erano saliti sui gradini e sui tetti delle carrozze. Il vagone occupato da Garibaldi e da' suoi intimi fu preso d'assalto con impeto formidabile.
– Silenzio! gridavano mille voci; lasciatelo parlar lui!.. Sentiamo cosa dice lui… Ma altre migliaia di voci non cessavano di urlare a tutta possa: «viva Garibaldi! viva l'Italia! viva la guerra!»
A un tratto la fisonomia di Garibaldi da ilare e benigna divenne radiante. I suoi occhi parevano salutare al di là della folla qualche persona amica e desiderata.
In un lampo tutte le teste si volsero.
– Fate largo! fate largo! tuonò il generale levandosi in piedi – ecco qualcuno che