Racconti politici. Ghislanzoni Antonio

Racconti politici - Ghislanzoni Antonio


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partiti! – L'autore del nuovo dramma si era proposto di spronare i suoi concittadini ad accorrere sotto le bandiere di Garibaldi – orbene: noi crediamo che il nostro esempio gioverà meglio allo scopo. Noi abbiamo profittato delle camicie rosse che dovevano servire alla rappresentazione. Badate che c'è penuria di camicie rosse: quelle che ancora vi rimangono io vi consiglio di donarle ai giovani di buona volontà. Noi vi permettiamo di leggere in pubblico la nostra lettera. Dessa servirà a discolparvi. Noi conosciamo i cittadini di… Vedrete che gli spettatori, in luogo di esigere la restituzione del biglietto, proclameranno ad una voce di destinare l'introito della serata a benefizio della Commissione per le camicie rosse. Salute a voi, diletti colleghi, salute ai patriottici abitanti di… Viva l'Italia! Viva Garibaldi! Viva la camicia rossa!

«Vostri affezionatissimi fratelli«Simonelli – Viscardini – Rizzi.»

      All'ultime parole della lettera rispose un uragano di grida che fece impallidire il capocomico. – Gli spettatori della platea salirono sulle panche agitando i cappelli e i bastoni – tutti i fazzoletti sventolarono dai palchi e dalle gallerie – i professori dell'orchestra per impulso istintivo ripresero i loro stromenti, e si diedero a suonare con lena da invasati l'inno di Garibaldi.

      Vi sono delle commozioni popolari che nessuna penna può descrivere – e noi, per parte nostra, rinunziamo ad esprimere quell'entusiasmo collettivo, del quale ogni singolo episodio fornirebbe un poema.

      Il capocomico non trovava la via per andarsene dal proscenio. Egli si inchinava, piangeva, rideva, e da ultimo era rimasto impietrito colle mani in saccoccia.

      IX

      – Presto! una camicia rossa! – gridava un giovane pallido e scarno aggirandosi fra le quinte.

      – Carlo!.. tu qui!.. esclamò Eugenio Lanfranchi, muovendo incontro all'amico.

      – Non si perda un istante… Io ho contato sulla tua parola, e vengo a reclamare la mia camicia rossa prima che il palco scenico sia invaso.

      La prima donna che era presente a quel breve dialogo, corse nel camerino e ne uscì poco dopo con due camicie rosse, che offerse ai due giovani.

      – Andate! – disse l'attrice ad Eugenio Lanfranchi – è forse il primo caso in cui un autore drammatico debba supplire la prima donna… Io vi presto di cuore il mio vestiario – voi me lo renderete dopo la recita.

      – Non oso promettervi di riportarvelo intatto, rispose Eugenio sorridendo.

      E i due giovani si presero ciascuno una camicia rossa, e stretta la mano dell'attrice, uscirono dal teatro per la scala riservata agli artisti.

      X

      Qual mutamento di scena dopo quella giornata!

      La città di… in proporzione de' suoi abitanti è forse quella che ha fornito a Garibaldi il maggiore contingente di volontari.

      Un giorno, un'ora di entusiasmo basta talvolta a trasformare un'intera popolazione, a convertire un popolo scettico e sonnolento in una falange di eroi!

      EPILOGO

      I

      Le vallate del Tirolo erano rigide e buie in quella notte. Delle nuvole opache pesavano sulle creste dei monti, immenso e cupo velario fra il cielo e la terra, fra i tripudii del firmamento e gli atroci conflitti degli uomini.

      È una orribile cosa la guerra – ma pure, ove si consideri che la lotta è il principio che governa tutti gli atomi della creazione, bisogna credere che anche le battaglie e le carnificine della specie umana rappresentino una necessità dell'ordine universale. Chiniamo il capo alle leggi immutabili di chi ha creato questo immenso mistero che ci avvolge e ci trascina. È scritto nella Bibbia che Iddio si pentì una volta di aver creato l'uomo. Per quanto ripugni ammettere il pentimento in un Essere non soggetto a fallire, pure, al cospetto di un campo di battaglia, in faccia a questo sanguinoso risultato delle passioni e dei pregiudizii umani, non sembra del tutto inverosimile che Iddio debba inorridire di noi se non pentirsi di averci creati. Tutto ciò sia detto senza la menoma presunzione di indagare i segreti o di accusare gli intendimenti della Provvidenza.

      Nulla uguaglia l'orrore di un campo, dove le belve umane si sono urtate a migliaia coi loro istromenti di eccidio. Lo splendore delle immagini e l'armoniosa cadenza del verso rendono accette le sublimi epopee di Omero, di Virgilio e del Tasso. Lo spirito umano sembra elevarsi nel percorrere le file dei combattenti colla scorta di un enfatico ed ispirato poeta. Quelle falangi, che si gettano l'una contro l'altra per sterminarsi, ci riempiono di ammirazione. Nel poema, nel libro, noi non vediamo che dei giganti e degli eroi. – Portatevi sul campo, nella notte che succede alla battaglia di San Martino o di Custoza – e urtando nei cadaveri, respirando il singulto dei morenti, palpando le viscere de' fratelli nuotanti nel sangue, la vostra esaltazione verrà meno. I vostri nervi si incresperanno, i capelli vi si drizzeranno sulla fronte. Inorridirete di appartenere alla razza umana; maledirete il giorno in cui, poeti, dettaste delle energiche rime per spingere alla morte tanta giovinezza di fratelli, il giorno in cui il vostro inno clamoroso e vivace fece accorrere tante nobili vite verso la tomba.

      Patria – indipendenza – libertà! Sacri nomi e sacri doveri. Nomi che domandano delle vittime, doveri che impongono sacrifizii di sangue. Non è dato a noi di eliminare questa terribile necessità della lotta brutale, nè speriamo che in un avvenire prossimo o lontano i principii della ragione e del diritto abbiano a predominare nel mondo senza violenza e senza massacri. L'umanità segue le sue fasi di trasformazione, ma gli istinti dell'uomo non mutano. Pure, mentre riconosciamo necessario e provvidenziale questo istinto che ci obbliga alla vicendevole distruzione, permetteteci almeno di deplorarlo e di esecrarlo al cospetto di mille cadaveri squarciati che nuotano nel sangue.

      II

      Quella notte – la notte del 19 luglio – un lugubre drappello scendeva per la vallata. Erano tedeschi usciti dal forte di Ampola. La fortezza aveva ceduto alla prepotenza delle nostre artiglierie, e mentre i garibaldini vincitori bivaccavano sul baluardo espugnato, i prigionieri e i feriti, scortati da poche Guide, erano condotti al villaggio di Storo. La valle era tetra. – Quei soldati, scendendo pel sentiero tortuoso, parevano una processione di spettri. La voce dei garibaldini, che cantavano sulle ripide alture per ingannare l'appetito, giungeva sinistramente fioca all'orecchio di quei poveri prigionieri stanchi ed attoniti. La monotona cadenza dei passi e qualche favilla di zigaro accennava che quei lugubri viaggiatori erano individui della specie umana. La retroguardia si formava di cinque carrette, sulle quali, affratellati dalla sorte comune, parevano abbracciarsi i feriti dell'uno e dell'altro campo.

      – Come va, capitano? chiese una delle Guide, accostandosi col suo cavallo ad una delle carrette di ambulanza.

      Un lamentevole singulto fu l'unica risposta.

      – A momenti giungeremo a Storo, soggiunse la Guida.

      E il ferito, riprendendo coraggio da quella promessa – Vi prego, disse, di ricoverarmi nella prima casa che troverete, foss'anche un tugurio… una stalla… Io sento che poche ore mi restano da vivere…

      – Coraggio, capitano!.. la vostra volontà sarà fatta… Vedo dei lumi a poca distanza… Io corro a prepararvi l'alloggio.

      Ciò detto la Guida spronò il suo cavallo e in pochi minuti raggiunse il villaggio.

      III

      Al fermarsi della cavalcatura, sulla porta di una rustica casuccia apparve un uomo di atletiche forme e vestito d'una singolare divisa. Portava un cappello di grosso panno nero, quale usano i contadini dell'alta Lombardia; fra i suoi calzoni allacciati sotto il ginocchio da due rami di salice e le sue ghette da militare si espandevano due polpe adipose coperte da una maglia nera. Un soprabito lungo, sbottonato, che forse in altri tempi era una veste talare, lasciava scoperta sul davanti una camicia di color scarlatto trapunta di stelle d'oro. – Don Remondo, il papa di Val d'Intelvi, venuto al campo per combattere e per porgere ai morenti i conforti della religione, si era fornito a proprie spese un abbigliamento che simboleggiava di qualche modo il suo duplice ministero. Egli s'era fatto una camicia garibaldina coi residui di una pianeta rossa che gli era stata donata da una


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