Racconti politici. Ghislanzoni Antonio

Racconti politici - Ghislanzoni Antonio


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giovani in camicia rossa si apersero il varco attraverso a quella immensa barricata di popolo, e animati dal sorriso e dalla voce del generale che loro stendeva le braccia come a fratelli, si lanciarono nella sua carrozza.

      Quasi al medesimo punto la campanella diede il segnale della partenza e il convoglio fra un uragano di viva uscì trionfalmente dalla stazione ed indi a poco disparve.

      Quei tre giovani, apparsi inaspettatamente a completare la solennità e l'entusiasmo di un istante, divennero il soggetto di tutti i discorsi.

      Chi erano? Nessuno li aveva riconosciuti. La camicia rossa aveva abbagliato gli sguardi. I meglio informati sostenevano che erano tre faccie forestiere; altri invece, affidandosi alle ipotesi, profferivano dei nomi e inventavano delle favole assurde; ma l'episodio dei tre garibaldini non cessava per questo di rappresentare un enigma.

      VIII

      Com'era da prevedersi, quella straordinaria effervescenza di popolo tornò propizia alla attrice che in quella sera dava in teatro la sua serata di benefizio. Il nuovo dramma La partenza dei volontarii, ritraeva dagli avvenimenti del giorno un'interesse di attualità quale l'autore ed i comici erano lungi dall'aspettarsi.

      Allo schiudersi delle porte il teatro fu invaso dalla folla. La platea, le gallerie, il loggione traboccarono di spettatori. L'intera città si era travasata in quell'angusto recinto.

      Eugenio Lanfranchi, l'autore della commedia, passeggiava fra le quinte collo sgomento nell'anima. S'egli avesse preveduto quel formidabile concorso di spettatori e di giudici, non avrebbe osato sfidarlo.

      Gli pareva che in paragone degli avvenimenti reali il suo dramma fosse una frivola e sbiadita parodia. Le forti commozioni da lui provate al cospetto di Garibaldi, alla vista dei tre sconosciuti che si erano slanciati nella carrozza dell'eroe per seguirlo sui campi di battaglia, gli rinfacciavano la pochezza delle sue espansioni drammatiche. Due giorni innanzi egli temeva di aver esagerato le tinte; ed ora vedeva impallidire i colori e smarrirsi i contorni de' suoi personaggi. – Quale orribile fiasco! pensava egli misurando la scena a passo concitato – darei due anni del mio stipendio, perchè la rappresentazione non avesse luogo!

      Frattanto gli attori attraversavano il palco scenico per recarsi ai loro camerini. Al di là del sipario la platea muggiva sordamente siccome un oceano in tempesta.

      Lo spettacolo doveva incominciare alle otto, e nondimeno alle ore sette e mezzo il pubblico imperversava di schiamazzi. Ciò accade quasi sempre nei teatri eccessivamente affollati. La insolita agitazione degli animi questa volta irritava le impazienze, produceva un parossismo.

      Si accendono i lumi – i professori di orchestra seggono ai loro posti innanzi tempo, e tentano, accordando gli istrumenti, di ammansare la belva-pubblico. – L'ispettore della questura va sul palco scenico per ottenere si anticipi la rappresentazione. Il buttafuori fa osservare che mancano dieci minuti all'ora convenuta – nondimeno egli dà il segnale ai suonatori, e frattanto percorre i camerini per avvertire gli artisti che si tengano pronti.

      Ai primi suoni dell'orchestra, – parecchie voci gridano: silenzio! – la platea si rimette in calma, non pochi sembrano disposti a prestare attenzione alla musica… – La sinfonia è troppo lunga… Basta! Avanti! Fuori! urlano ad un tratto diverse voci. – L'uffiziale di questura abbandona per la seconda volta la sua sedia e ritorna sul palco scenico per sollecitare gli attori.

      L'orchestra, o bene o male, ha finito il suo pezzo, e i professori deponendo gli istrumenti, lanciano sotto voce mille imprecazioni sul rispettabile pubblico. Questi, che al cessare della musica non vede alzarsi il sipario, riprende con maggior veemenza le proteste. I piedi, le mani, i bastoni, gli ombrelli, tutto serve a far chiasso. Gli uomini d'ordine si provano a reprimere lo schiamazzo con dei sibili impotenti. Ma ogni pretesto di ritardo compatibile, viene a cessare… L'orologio ha segnato le otto ore… la sfera non si arresta… Uno… due… tre minuti… l'edifizio sta per crollare… Il sipario si agita… Che vorrà dire?.. Qualche accidente impreveduto? Qualche malattia?.. La curiosità, l'impazienza toccano il colmo… La benemerita arma dei carabinieri si prepara a sedare un tumulto…

      Ecco finalmente qualcuno che potrà appagare la curiosità pubblica se non placare l'agitazione. – Un uomo di circa sessant'anni si è presentato al proscenio come una vittima che viene spontanea ad immolarsi. È il direttore della compagnia. I suoi capelli sono scomposti come la sua cravatta, gli occhi stralunati, le guancie coperte di pallore. Egli serra nella mano una lettera… si inchina a destra e a sinistra e accenna di voler parlare. «Abbasso!.. dentro!.. silenzio!» Prima che cessi il baccanale trascorrono parecchi minuti.

      Ma alla fine il partito dell'ordine riesce a dominare la situazione. L'intrepido capocomico ottiene di far intendere la propria voce e comincia a parlare in tal guisa:

      «Inclito pubblico… rispettabile guarnigione… cioè… mi inganno… io voleva dire il contrario… ma presso a poco è la medesima cosa… È avvenuto uno di quei fatti… uno di quei casi che fanno epoca nella storia del teatro e della civilizzazione europea… Nella mia lunga, e starei per dire, eterna carriera di capocomico non ricordo un avvenimento più deplorabile, e al tempo istesso più glorioso per l'arte… Io mi appello, o incliti abitatori di questa illustre… e commerciale città, mi appello al vostro specchiato buon senso come al vostro inalterabile patriotismo. Voi sapete che nel corso di queste brevi ma fortunate rappresentazioni per parte nostra, non vennero risparmiate spese e fatiche… onde appagare le legittime esigenze di un pubblico intelligente e benevolo. Noi toccavamo felicemente la riva… noi sbarcavamo gloriosamente in quel porto, donde un capocomico, simile al naufrago dell'immortale Alighieri,

      Si volge all'acqua perigliosa e guata…

      «Per chiudere le nostre rappresentazioni luminosamente, avevamo allestito un grandioso dramma di circostanza, scritto, come più volte fu ripetuto nei pubblici avvisi, da un attore troppo modesto per rivelare il proprio nome, ma troppo famoso in questa ed in altre città d'Italia per rimanere ignorato. – Voi siete accorsi al triplice appello dell'autore concittadino, dell'umile attrice benefiziata, e diremo anche del vostro illuminato patriotismo. Voi avete con urbane ma abbastanza sensibili dimostrazioni palesata la vostra impazienza. – Ed ora… che direte voi… nell'udire ciò che purtroppo io sono costretto ad annunziarvi? Quale sarà la vostra sorpresa… e fors'anche il vostro giusto risentimento allorquando mi udirete annunziare che la rappresentazione non può aver luogo, per questa semplice e durissima circostanza che i tre principali attori giovani della compagnia erano quegli stessi che oggi, vestiti della gloriosa camicia garibaldina, si sono slanciati nella carrozza del leone di Caprera per combattere con lui le supreme battaglie della indipendenza italiana…?..»

      Il pubblico, che ascoltando diffidente ed iroso la lunga tirata del capocomico, più volte si era permesso di interromperla con grida poco benevoli, rimase profondamente colpito dalla inaspettata conclusione. Un silenzio solenne successe improvvisamente alla sorda agitazione. Le parole del capocomico non solo scioglievano l'enigma della giornata, ma proponevano un nobile esempio. I generosi istinti della moltitudine furono scossi da quell'annunzio. Tutti obliarono lo scopo pel quale erano venuti in teatro; tutte le aspirazioni si portarono sovra un altro campo.

      I tre attori che avevano seguito Garibaldi erano un avvenimento reale, un avvenimento che sorpassava l'interesse di una rappresentazione drammatica, che trascinava le menti ed i cuori in un realismo più elevato e più poetico di qualsiasi finzione ideale.

      Il capocomico indovinò immediatamente il pensiero del pubblico – e profittando di quel silenzio solenne, riprese a parlare con maggiore naturalezza di linguaggio.

      «Per mostrarvi che non vi fu da parte nostra verun inganno o soperchieria, io vi leggerò, o signori, la lettera che ci venne recata pochi minuti sono – la lettera di quei disgraziati… e diciamolo pure… generosi figli dell'arte!»

      Il capocomico spiegò il foglio e proseguì leggendo:

      «Cari colleghi:

      «Al momento in cui riceverete questo foglio, noi saremo a Como, sdraiati probabilmente sulla paglia della caserma. La persona a cui affidiamo la presente è incaricata di consegnarla alle ore otto precise, al punto in cui sarà per aver principio la rappresentazione.


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