Racconti politici. Ghislanzoni Antonio

Racconti politici - Ghislanzoni Antonio


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signor De Mauro, vedendoli rientrare nel salotto, prese buon augurio da quella gioia. – E volgendosi alla figlia del marchese:

      – Mi pare, le disse, che le cose si mettano bene. Eravate usciti col portamento impacciato di due collegiali, ed ora tornate a noi colla spigliatezza di due amanti. A maraviglia! Dal canto nostro non si è perduto il tempo – col signor marchese è molto facile l'intendersi… e oramai si può dire: affare finito!

      Il marchese Contareno, rilevandosi della persona, e assumendo il fare grandioso dei suoi illustri bisavoli, diresse la parola ad Edoardo:

      – L'onorevole signor De Mauro qui presente… vostro padre e mio eccellentissimo amico…

      – Lasciamo da parte le grandi formule – interruppe il signor De Mauro – non vedete, marchese, non capite dai loro volti ch'essi sanno già tutto?.. Non è vero, adorabile signorina, che il cerimoniale è divenuto superfluo?.. Ad ogni modo, tanto che anch'io possa udire uno di quei sì deliziosi che, poco fa, avrete proferiti in giardino più di una volta, permettete che io vi domandi se è proprio vero che siate contenta di sposare questo scapato… questa testa balzana di mio figlio… Un cuore eccellente… vedete – ma un cervello… Basta! La signora Enrichetta penserà lei a fargli mettere giudizio.

      Il signor De Mauro parlava scherzosamente alla giovane Contareno; ma questa aveva già ripresa quella calma solenne che era l'espressione più naturale del di lei volto.

      – Il signor Edoardo – disse ella coll'accento più fermo – conosce i miei sentimenti a di lui riguardo, come anche le mie intenzioni. I nostri cuori sono già fidanzati da parecchi mesi: noi siamo vincolati da promesse reciproche, alle quali nè egli nè io potremmo venir meno. Ma il nostro matrimonio non può effettuarsi in questo momento… Il signor Edoardo lo sa… ed io ne vado orgogliosa… Quanto a me, non potrei stimare un uomo che si rifugiasse nelle dolcezze dell'amore al momento in cui tutti i giovani italiani vanno a sfidare la morte per l'indipendenza e la libertà del loro paese. Un tal uomo non potrebbe mai divenire lo sposo di Enrichetta Contareno.

      Il signor De Mauro rimase fulminato. Egli comprendeva che in quel fiero carattere di fanciulla i propositi dovevano essere tenaci come le convinzioni. Si volse al marchese, sperando che questi lo togliesse di imbarazzo: ma il vecchio Contareno guardava sua figlia cogli occhi ebeti e lacrimosi, e a stento poteva respirare. Aveva mangiato per quattro, e la lunga conversazione tenuta poco prima col signor De Mauro gli aveva prostrate le fibre.

      Impossibile descrivere le attitudini diverse di quei quattro personaggi. A sciogliere di qualche modo gli imbarazzi della situazione, sopravvenne la signora Serafina.

      – Ebbene? tutto è conchiuso… non è vero? – domandò bonariamente quella ottima donna entrando nella sala.

      – Sì, tutto è conchiuso – rispose il signor De Mauro dissimulando per quanto gli era possibile il suo cattivo umore – ma la signorina, a quanto pare, non ha molta fretta – a noi dunque non rimane che attendere i di lei ordini… o quelli dell'eccellentissimo signor marchese…

      – Sicuro!.. A domani!.. Per oggi basta!.. – disse il Contareno levandosi in piedi come uomo che si svegli dal letargo… L'ora è già tarda… non sarebbe tempo di andarcene, Enrichetta?

      La fanciulla stese la mano al signor De Mauro che la strinse di mala voglia.

      – Spero che non mi serberete rancore – in ogni modo, dopo la guerra, noi ripiglieremo le nostre buone relazioni!

      Ciò detto, la fanciulla pose il suo braccio in quello di Edoardo – e i due giovani uscirono insieme dalla sala, seguiti dal marchese che non cessava di ripetere macchinalmente: affare concluso! affare finito!

      XIII

      Due giorni sono trascorsi. Una immensa folla di popolo sta adunata dinanzi alla stazione della ferrovia.

      Un giovane abbigliato di rosso si ferma presso gli sportelli di una antica carrozza – i cristalli si abbassano – una mano lunga e sottile viene ad incontrare quella del giovane – il tumulto della piazza affollata copre il susurro di quell'addio misterioso e sublime.

      Chi bada agli episodii laddove c'è un popolo intero che si abbraccia nei santi fremiti dell'amore e della patria? Volgete intorno lo sguardo – e dappertutto vedrete delle eroiche madri, delle spose gagliarde, che si separano senza piangere dai figli e dai mariti! – Dove fiammeggia una camicia rossa, quivi si aggruppano dei cuori di amanti e di sorelle, quivi la canizie dei padri rifulge di nobile orgoglio e le rughe dei volti materni sembrano irradiarsi di giovinezza.

      Il segnale che richiama i viaggiatori al convoglio è suonato. Edoardo si stacca dalla carrozza stemmata, e slanciandosi nelle braccia di una donna che sta in un lato a rimirarlo con occhio di invidia – mia buona madre! – esclama – l'ultimo bacio è per te… perdonami ciò che mio padre ti fa soffrire per cagion mia!

      – Oh, nulla!.. Che la mia benedizione ti accompagni!

      E poichè gli occhi di quella madre aveano lasciato scorrere una lacrima – Edoardo la asciugò con un bacio – e s'immerse nella folla per entrare nella stazione.

      Dopo alcuni minuti, al fischio della locomotiva rispose dalla piazza e dai portici un urlo di acclamazioni. Le donne agitavano i fazzoletti… i fanciulli battevano le mani – i vecchi si drizzavano sulla persona coll'impeto dei loro venti anni.

      Frattanto il convoglio si involava, lasciando indietro un'onda di canti.

      Il torrente della folla si riversava nella città. – Tutte le parole suonavano ammirazione ed entusiasmo.

      Due uomini in sulla età si incontrarono a poca distanza dal sottopassaggio.

      L'un d'essi era là da alcuni minuti, quasi rannicchiato dietro uno stipite, e pareva assistere a quella scena da spettatore indifferente o sdegnoso.

      – To'!.. chi vedo! anche voi, signor De Mauro!.. – esclamò l'altro che veniva dalla stazione. – Si è mai dato uno spettacolo più sublime di questo?.. Scene da far piangere i sassi… e nessuno piangeva!.. Che giovani!.. che faccie!.. che slancio!.. Voi li avrete veduti quando montarono nei vagoni… Pareva che prendessero d'assalto una fortezza!..

      – Se li ho veduti! – rispose il De Mauro a voce alta – come volete che io non li abbia veduti, mentre c'era anche lui… quel bel mobile di Edoardo!

      – Come! vostro figlio?..

      – Sicuramente! mio figlio… Non avevo che quello… e non potevo dare di più… io!

      Alcuni, che si erano fermati ad udire, si partivano esclamando:

      – Anche lui! un figlio unico!.. un milionario!

      E il signor De Mauro, per la prima volta in sua vita, si illuse a tal segno da credersi un grande patriota, un martire della indipendenza italiana.

      PARTE TERZA

      Entusiasmo

      I

      La piccola città di… non aveva dato che cinque volontarii, avanzi anche questi dell'illustre drappello di Palermo e di Milazzo. – Era apatia? era diffidenza? Fatto è che una volta partiti quei cinque valorosi soprannominati i cinque abbonati delle vittorie garibaldine, non si ebbe più sentore in città che altri intendesse seguirli. A spegnere l'ardore della gioventù erano giunte – dicevasi – due lettere: l'una da Como, l'altra da Gallarate, nelle quali veniva dipinta coi più sinistri colori la situazione dei volontari già accorsi ai depositi. I preti e i così detti cittadini di senno esageravano le dicerie, fors'anche le sopracaricavano di calunnie, a quale scopo si intende.

      La popolazione di… nelle prime settimane di giugno presentava ancora il suo aspetto normale. Alla stazione della ferrovia, malgrado il quotidiano passaggio delle truppe che traevano al Mincio, il concorso dei curiosi non era di molto accresciuto.

      Volete di più? – Una compagnia comica era venuta ad installarsi nell'unico teatro della città, e mentre nelle capitali più popolose d'Italia si chiudevano tutti i luoghi di pubblico divertimento per mancanza di spettatori – quella piccola compagnia


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