Racconti e novelle. Ghislanzoni Antonio
con piglio fra il brusco ed il faceto.
– A dire la verità non saprei nemmen io… siccome per via della via… e siccome per venir presto al comprendonio… parendomi che anche lei, ecc., ecc.
– Capisco, capisco… Se questo fu il tuo modo di esprimerti, immagino che il colloquio non sarà andato per le lunghe…
E l'altro, vedendomi ridere, mi guardava e rideva a sua volta, colla espressione più franca dell'imbecille.
La lettera della signora, soprattutto quelle adorabili parole —io poteva illudermi di essere amata da un angelo– mi infiammarono la fantasia. Mi pareva che i raggi di quell'amore, deviando dal punto a cui erano diretti, anelassero ad una meta ignorata; che mentre, per effetto di una strana illusione ottica, quella donna credeva di amare il signor Arturo Della-Valle, il di lei cuore fosse invece attratto verso un altro ideale, verso colui che sapeva parlarle il linguaggio del sentimento e della poesia.
– Bisogna che io conosca… che io veda questa donna! Tale fu il pensiero che mi spinse a riprendere l'epistolario, e ad impetrare un secondo abboccamento.
E questo pensiero mascherava una determinazione colpevole, indegna, lo confesso, di un uomo leale, ma che allora, sotto gli impulsi della passione, mi pareva onestissima. Io era determinato a presentarmi in luogo di Arturo a quella donna, e rivelandole il vero autore delle lettere che tanto l'avevano impressionata e ammaliata, domandarle… Che cosa?.. Io stesso lo ignorava… In quella crisi di eccitamento appassionato, io non poteva prevedere lo scioglimento del dramma… Ma quand'anche la catastrofe non mi avesse promesso altro risultato fuor quello di troncare un equivoco mostruoso, di risparmiare ad una bella e amabile donna la vergogna di soccombere ad un fatuo, io non avrei indietreggiato nell'impresa.
La mia mente era in preda alla esaltazione; io non vedeva ciò che vi era di indelicato e di sleale nel mio modo di agire. Mi posi dunque all'opera con ardore – meditai per bene il mio piano strategico, e senza preoccuparmi dell'avvenire, corsi direttamente alla mia meta.
La corrispondenza epistolare fu ripresa alacremente, ed io perorai tanto bene per ottenere un secondo abboccamento, che dopo lo scambio di una decina di lettere, la signora accondiscese. Il luogo fissato pel ritrovo fu una stradicciuola nelle vicinanze del Conservatorio di musica, dove a certe ore del giorno non si incontra anima viva. La situazione era stata scelta da me, ed era quella che meglio si addiceva alla effettuazione del mio piano strategico. Io mi era prefisso di collocarmi sovra un'altura del bastione, dalla quale avrei potuto spiare le mosse dei due innamorati. Al momento della separazione, come avviene sempre in tali casi, i due amanti si sarebbero allontanati per opposto cammino. – Dalle alture, ove io contava stabilire il mio quartiere di osservazione, nulla più facile che piombare improvvisamente alle spalle della signora, seguirla, investirla, agguantarla… e, profittando della sua sorpresa, del suo turbamento, indurla, buono o malgrado, a porgermi orecchio. Voi sapete quanto io fossi sventato a quell'epoca, e con quale spensieratezza io corressi alle avventure di amore. Felici tempi della irriflessione e degli improvvidi ardimenti! Non vi scandolezzate, o miei ottimi amici, se mi permetto di rimpiangere quelle deliziose follie. Il matrimonio ci ha tramutati – noi apparteniamo oggimai alla classe rispettabile degli uomini morali, degli uomini di polso– noi occupiamo ciò che suol chiamarsi una posizione sociale, e il mondo, che prima del nostro matrimonio ci guardava con diffidenza e disprezzo, oggi comincia ad accordarci la sua stima, ad accoglierci con rispetto e venerazione… Ma pure, se in un lucido intervallo di antica gaiezza, noi gettiamo uno sguardo al passato per raffrontarlo al presente, difficilmente riusciamo a comprimere un sospiro all'indirizzo degli anni vissuti. Chi ci ridona la sventatezza dei nostri anni giovanili? Il mondo ci chiamava scapestrati, vagabondi, gente da nulla… E infatti, noi commettevamo, ridendo, piangendo qualche volta, delle enormi follie, riprovate dalle leggi e dalla sana morale… È vero – la nostra condotta non era regolare; confessiamolo francamente, non era sempre onestissima… Ma i nostri peccati erano frutto di quella santa inscienza del bene e del male, che costituiva, nel paradiso terrestre, la felicità dei nostri primi parenti – peccati che non lasciano rimorsi nè dolori, e la cui ricordanza, anche al presente, non può destarci nell'anima veruna amarezza, quando non la accompagni il rammarico di qualche omissione…
Amici: perdonate questo sfogo – prima di riprendere la mia storia, vi prometto che sarà l'ultimo.
Era un bel mattino… di primavera, già s'intende… Seduto sovra una panchetta di granito, io dominava le viuzze sottoposte – una siepe di robinie proteggeva il mio agguato. – Allo scoccare delle sei, il mio Arturo, colle mani in saccoccia e la testa ondeggiante, si introdusse nella piccola via, dove subito venne raggiunto da una donna semplicemente vestita, col capo ravvolto in un velo.
Il Della Valle si arrestò, trasse la mano di tasca e fece l'atto di stenderla alla donna; poi, arretrò di due passi come istupidito, e poichè la signora ebbe scambiato quattro parole con lui, si allontanò a passo lento, e disparve.
Il colloquio era stato tanto breve e la separazione così pronta ed inaspettata, che per poco il mio piano rischiò di andare a vuoto. Fortunatamente la signora prese la via del bastione: onde io, riavutomi dalla sorpresa, le mossi incontro, e, sbarrandole audacemente il cammino, la investii di tal guisa:
– Signora Amalia… perdonate…
– A chi ho l'onore di parlare? chiese la signora con voce pacata, arrestandosi a me dinanzi, senza dar segno di turbamento o di dispetto.
Quel contegno nobilmente disinvolto impose per un istante alla mia arditezza. Ma io mi accorgeva di trovarmi in una falsa posizione; se la mia esitazione fosse durata più a lungo, avrei fatto una ridicola figura, mi sarei irremissibilmente perduto.
– Ah! voi siete ben dessa! – esclamai dunque con voce commossa, ma coll'accento del più sentito entusiasmo – l'ideale della donna di spirito… l'incarnazione della poesia e dell'amore…
– Signore, mi interruppe ella con accento dignitoso ed amabile ad un tempo – io vi ho pregato di dirmi a chi ho l'onore di trovarmi dinanzi, e voi mi gettate in viso dei complimenti che appena sarebbero tollerabili se partissero da un amico.
– Gli è che io, ripresi con enfasi, sono propriamente un vostro leale amico. Noi ci conosciamo da un pezzo, signora Amalia… Noi ci siamo parlati tante volte… La nostra corrispondenza epistolare è stata così espansiva e sincera, che ben si può dire non esistere più segreti fra noi. Tutte le lettere che indirizzaste al signor Arturo Della Valle sono passate per le mie mani… In quelle lettere io ho veduto disegnarsi i tratti gentili della vostra fisonomia, ho assaporate le delicatezze del vostro cuore, ho respirato i profumi del vostro spirito… Voi vedete dunque che noi ci conosciamo… Se nelle lettere che portavano la firma di Arturo Della Valle (e voi stessa lo avete più volte confessato) vi erano espressioni ed accenti atti a commovervi e ad esaltarvi; se avete pianto di gioia per una frase di pietà o di amore; se avete gustato, nello scorrere quei fogli, delle estasi ignote; no, o signora, voi non avete più diritto di affermare che io vi sia sconosciuto. Noi ci siamo parlati… noi ci siamo compresi. Questo povero Della Valle, a cui io dettava le mie speranze e le mie angoscie, a cui voi, signora, indirizzavate le ideali aspirazioni della vostra grande anima, non era che una statua di granito, dove noi abbiamo deposto dei fiori, nella certezza che un'incognita divinità sarebbe scesa a raccoglierli, a respirarne i profumi… Ebbene, sappiatelo… quei vostri fiori… sono io che li ha raccolti… sono io che voluttuosamente li ho posati sul mio cuore… io che ve li ho rimandati coperti di lagrime e di baci… E, fatto audace dal desiderio, inebbriato dall'amore, io fui spinto a seguire le orme della diva misteriosa, ed ho osato sperare che ella un giorno, incontrandosi meco, mi avrebbe tosto riconosciuto. Se voi, signora, potete perdonarmi…
A questo punto, la giovine donna sollevò il velo che le scendeva sul volto, e guardandomi con ineffabile espressione di tenerezza e di affetto, mi disse «Non vi par tempo, o signore, di soddisfare alla mia curiosità, declinandomi il vostro nome e cognome?..
– Io mi chiamo Eugenio Renzi…
– Ebbene: se il signor Eugenio Renzi domattina vorrà recarsi verso dieci ore all'ufficio della posta, troverà una lettera al suo indirizzo.
E