Racconti e novelle. Ghislanzoni Antonio

Racconti e novelle - Ghislanzoni Antonio


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preso da indignazione. – Signora contessa! esclamai coll'accento più vivo – mi meraviglio che questi signori mettano in giro tali calunnie… Io non ho mancato mai alle lezioni, e la mia condotta fu sempre quella di un onesto figliuolo. Il maestro pretendeva fabbricarmi una voce da tenore, rinforzandomi i bassi – io mi sono uniformato a' suoi consigli, e mentre lavoravo a consolidare i fondamenti dell'edifizio, il tetto è crollato. Quel signor fabbricatore di voci non ha fiato in corpo per sè – ed io, quando entrai al Conservatorio, ne aveva tanto da gonfiarli tutti quanti… Insomma…

      – Insomma! Insomma! mi interruppe la contessa. – Voi siete un disgraziato., voi tornerete al paese a zappare le rape… Non si perdono il si bemolle e il la naturale senza qualche sconcerto dell'organismo, prodotto dai disordini e dai vizi. – So quello che mi dico… so quello che voi stesso ignorate… Il signor sindaco qui presente porterà la notizia a vostro padre… e voi partirete quando vi farà comodo.

      Ciò detto, la contessa mi fece cenno d'uscire. Il sindaco, per rinforzare l'apostrofe della contessa, mi annichilì con un motto spietato: – Avremo un bel campanile… al paese!

      Attraversando l'anticamera sentii afferrarmi pel soprabito da una mano tenace.

      Mi volsi – era la Savina.

      – Ho inteso tutto… Cos'è questo bemolle che hai perduto? Voglio saperlo…

      – Lasciami in pace… Savina…

      – No!.. voglio saperlo… Dio sa quante ne hai fatte!..

      – Savina… ti dico!..

      – Sento gente… va pure… Ci rivedremo domenica… all'ora della dottrina.

      Uscii dalla casa Bavoso coll'animo in tempesta.

      Dopo essermi aggirato per le vie di Milano, dibattendo molti progetti, entrai in una bottega da caffè dov'erano soliti a convenire alcuni artisti e studiosi di canto a me noti. Vedendomi accorato, mi interrogarono. Narrai ciò che mi era accaduto. Un signore di età matura che aveva prestato orecchio al mio racconto: «un altro Maccabeo!» esclamò con biblica amarezza – poi, voltosi a me direttamente: «Io conosco la contessa Bavoso, mi disse-è una pianista di gran talento e una dama di cuore – peccato ch'ella viva sotto la pressione del Conservatorio! – in ogni modo io non ho ancora disperato di convertirla… Chi sa! sareste voi disposto, figliuol caro, a fornirmi i mezzi per un'ultima prova?»

      La mia situazione era tale che le parole di quell'uomo, tuttochè enigmatiche, mi apersero il cuore alla speranza.

      – Se ti rimane un filo di voce, proseguì egli, a cui si possano riannodare dieci o dodici note, io mi incarico di restituirti in sei mesi ciò che i Bramini del Conservatorio ti hanno rubato nel corso di un anno.

      Ciò detto, mi porse il suo biglietto di visita, e mi fece promettere che il dì seguente, verso le dieci ore del mattino, mi sarei recato da lui. Immaginate la mia gioia, quando uno degli astanti, un certo Zilgo, tenore in aspettativa, mi avvertì che quel mio nuovo protettore era il più insigne maestro di canto dell'Italia e dell'Universo, il solo che sapesse realmente creare le voci o ridonarle al primiero stato in caso di deperimento.

      All'indomani fui esatto al convegno. Venni introdotto in una grande sala debolmente rischiarata. Il maestro sedeva al pianoforte – una dozzina di allievi d'ambo i sessi lo circondavano in vario atteggiamento. Al mio entrare, il maestro si levò in piedi, e, additandomi ai circostanti con un gesto da Geremia, si diè a cantarmi l'antifona: Venite ad me, vos qui egrotatis; hic salus! hic vita! hic bonum!

      Gli allievi di canto replicarono in coro la salmodia – ed io ristetti ombroso a guardarli, credendomi vittima di una crudele burletta.

      Il maestro mi mosse incontro, mi prese per mano, e mi condusse al pianoforte.

      – Come vedi, figliuol caro, tutti si rallegrano con te… La pecora smarrita si è rimessa sul buon cammino… Volgiti intorno… Tutte queste signorine avvenenti e intelligenti, tutti questi giovani bene organizzati e predestinati, non rappresentavano, pochi mesi sono, che dei naufraghi, respinti, come tu lo fosti, dall'arca fatale del Conservatorio, e abbandonati semivivi alle branche voraci dell'oceano. – Io ho raccolti questi naufraghi nel mio battello da salvataggio; ho riscaldati questi morenti colla fiamma dell'arte unica e vera – dell'arte divina!.. Quelli che ieri gemevano, oggi cantano – quelli che starnutivano, oggi trillano – i ranocchi divennero usignuoli – le cicale si mutarono in capinere. – Lasciamoli dunque in pace. – Abbandoniamo questi avventurati che già toccano le porte del cielo, per soccorrere all'ultimo arrivato, all'infelice che stava per soccombere. – Vieni qui, figliuol caro – e voi altri, schieratevi in giro – voglio che tutti assistiate alla diagnosi… Egli è sul cadavere che si studiano i problemi dell'esistenza; gli è dai morenti che si imparano i segreti della conservazione.

      Gli allievi si scostarono dal pianoforte, e andarono a sedere in una specie di anfiteatro all'estremità della sala.

      Il maestro cominciò a palpeggiarmi la testa – quindi scese colle mani alle altre parti del corpo parlando di tal guisa:

      – Abbiamo un occipite pronunziatissimo… buon principio!.. Sviluppo massimo di sensualità… di forza procreatrice! l'arte non è che amore – non si può essere artisti veri, artisti grandi, senza una straordinaria suscettività, o dirò meglio, irritabilità dell'organo simpatico. Gli è ciò che ho detto più volte a mademoiselle Guardinaire: – tu diverrai la Cleopatra delle cantanti in grazia del tuo occipite. – Sui parietali non c'è che dire – il frontale è in ottimo stato! Questo solido ripercussore delle note acute presenta tutte le condizioni desiderabili – abbiamo un edmoide ed uno sfenoide pienamente conformi a quelli di Rubini e di Zilgo – larghe narici, canali ampi, torace adiposo, clavicola ferma, scapula rilevata, osso sacro sporgente – in una parola lo scheletro di Lablache, di Filippo Galli e di… Zilgo. Vediamo ora (ed è quello che più importa) come si sta di visceri… Esaminiamo prima di tutto se i mantici funzionano, e qual grado conservino ancora di forza coibente e deprimente.

      Ciò detto, il professore tirò il cordone di un campanello e una grossa domestica entrò nella sala con un soffietto nella mano, domandando: «c'è forse qualcuno che ha bisogno di fiato?»

      – No – rispose il maestro seriamente – apporta gli ordigni per la prova dei mantici.

      Non comprendo, ripensandoci adesso, come io fossi in allora tanto ebete da prestarmi a quelle buffonesche esperienze. – Di lì a poco, la grossa fantesca rientrò nella sala, recando sulle braccia una dozzina di volumi. Il maestro mi ordinò di sdraiarmi supino sovra un canapè, soprappose al mio stomaco quattro volumi, e in quella difficile posizione mi fece ripetere più volte la scala ascendente e discendente. Mademoiselle Guardinaire, il tenore Zilgo, una giovane inglese assai brutta, e da ultimo, tutti gli scolari mi si fecero d'attorno, per istudiare, com'essi dicevano, il grande fenomeno della respirazione. Tutti parevano sorpresi della potenza straordinaria de' miei polmoni; la fantesca batteva le mani dalla meraviglia, esclamando: scommetto che se io gli monto sopra, costui con un do di petto mi slancia alla soffitta!

      Ciò che vi narro vi parrà inverosimile; eppure a quell'epoca c'erano in Milano dei maestri di canto che spingevano più oltre la ciurmeria. – E credete voi che oggigiorno le cose sieno mutate? Chiedetene notizia a quelle tante infelici, che dopo avere dal rigido settentrione trasmigrato in Italia per apprendervi la bell'arte del canto, ritornano in patria senza voce, senza quattrini, senza professione, senza… tutto quello che hanno dovuto immolare ai maestri, agli agenti teatrali ed ai giornalisti.

      In seguito alle esperienze ginnastiche che vi ho descritte, e ad altre di cui vi taccio per brevità, il mio nuovo maestro espose la sua ferma convinzione che in meno di sei mesi, seguendo il suo regime, io avrei ricuperata la mia bella voce di tenore, e di là a due anni, persistendo nello studio, sarei stato in grado di esordire con lieto successo alle scene. Queste promesse suonavano abbastanza lusinghiere; ma l'ispirato missionario dell'arte non pareva disposto a darmi lezione gratuitamente. Fu convenuto che io avrei diretto una supplica alla contessa Bavoso, onde ottenere qualche sussidio nei sei mesi di esperimento; il maestro si sarebbe egli stesso incaricato di presentare la mia lettera, perorando


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