Orlando Furioso. Lodovico Ariosto
fu di drago una scagliosa pelle.
Di questo già si cinse il petto e 'l tergo
quello avol suo ch'edificò Babelle,
e si pensò cacciar de l'aureo albergo,
e torre a Dio il governo de le stelle:
l'elmo e lo scudo fece far perfetto,
e il brando insieme; e solo a questo effetto.
Rodomonte non già men di Nembrotte
indomito, superbo e furibondo,
che d'ire al ciel non tarderebbe a notte,
quando la strada si trovasse al mondo,
quivi non sta a mirar s'intere o rotte
sieno le mura, o s'abbia l'acqua fondo:
passa la fossa, anzi la corre e vola,
ne l'acqua e nel pantan fin alla gola.
Di fango brutto, e molle d'acqua vanne
tra il foco e i sassi e gli archi e le balestre,
come andar suol tra le palustri canne
de la nostra Mallea porco silvestre,
che col petto, col grifo e con le zanne
fa, dovunque si volge, ample finestre.
Con lo scudo alto il Saracin sicuro
ne vien sprezzando il ciel, non che quel muro.
Non sì tosto all'asciutto è Rodomonte,
che giunto si sentì su le bertresche,
che dentro alla muraglia facean ponte
capace e largo alle squadre francesche.
Or si vede spezzar più d'una fronte,
far chieriche maggior de le fratesche,
braccia e capi volare; e ne la fossa
cader da' muri una fiumana rossa.
Getta il pagan lo scudo, e a duo man prende
la crudel spada, e giunge il duca Arnolfo.
Costui venìa di là dove discende
l'acqua del Reno nel salato golfo.
Quel miser contra lui non si difende
meglio che faccia contra il fuoco il zolfo;
e cade in terra, e dà l'ultimo crollo,
dal capo fesso un palmo sotto il collo.
Uccide di rovescio in una volta
Anselmo, Oldrado, Spineloccio e Prando:
il luogo stretto e la gran turba folta
fece girar sì pienamente il brando.
Fu la prima metade a Fiandra tolta,
l'altra scemata al populo normando.
Divise appresso da la fronte al petto,
ed indi al ventre, il maganzese Orghetto.
Getta da' merli Andropono e Moschino
giù ne la fossa: il primo è sacerdote;
non adora il secondo altro che 'l vino,
e le bigonce a un sorso n'ha già vuote.
Come veneno e sangue viperino
l'acque fuggia quanto fuggir si puote:
or quivi muore; e quel che più l'annoia,
è 'l sentir che nell'acqua se ne muoia.
Tagliò in due parti il provenzal Luigi,
e passò il petto al tolosano Arnaldo.
Di Torse Oberto, Claudio, Ugo e Dionigi
mandar lo spirto fuor col sangue caldo;
e presso a questi, quattro da Parigi,
Gualtiero, Satallone, Odo ed Ambaldo,
ed altri molti: ed io non saprei come
di tutti nominar la patria e il nome.
La turba dietro a Rodomonte presta
le scale appoggia, e monta in più d'un loco.
Quivi non fanno i Parigin più testa;
che la prima difesa lor val poco.
San ben ch'agli nemici assai più resta
dentro da fare, e non l'avran da gioco;
perché tra il muro e l'argine secondo
discende il fosso orribile e profondo.
Oltra che i nostri facciano difesa
dal basso all'alto, e mostrino valore;
nuova gente succede alla contesa
sopra l'erta pendice interiore,
che fa con lance e con saette offesa
alla gran moltitudine di fuore,
che credo ben, che saria stata meno,
se non v'era il figliuol del re Ulieno.
Egli questi conforta, e quei riprende,
e lor mal grado inanzi se gli caccia:
ad altri il petto, ad altri il capo fende,
che per fuggir veggia voltar la faccia.
Molti ne spinge ed urta; alcuni prende
pei capelli, pel collo e per le braccia:
e sozzopra là giù tanti ne getta,
che quella fossa a capir tutti è stretta.
Mentre lo stuol de' barbari si cala,
anzi trabocca al periglioso fondo,
ed indi cerca per diversa scala
di salir sopra l'argine secondo;
il re di Sarza (come avesse un'ala
per ciascun de' suoi membri) levò il pondo
di sì gran corpo e con tant'arme indosso,
e netto si lanciò di là dal fosso.
Poco era men di trenta piedi, o tanto,
ed egli il passò destro come un veltro,
e fece nel cader strepito, quanto
avesse avuto sotto i piedi il feltro:
ed a questo ed a quello affrappa il manto,
come sien l'arme di tenero peltro,
e non di ferro, anzi pur sien di scorza:
tal la sua spada, e tanta è la sua forza!
In questo tempo i nostri, da chi tese
l'insidie son ne la cava profonda,
che v'han scope e fascine in copia stese,
intorno a quai di molta pece abonda
(né però alcuna si vede palese,
ben che n'è piena l'una e l'altra sponda
dal fondo cupo insino all'orlo quasi),
e senza fin v'hanno appiattati vasi,
qual con salnitro, qual con oglio, quale
con zolfo, qual con altra simil esca;
i nostri in questo tempo, perché male
ai